I mercati flettono perché gli utili si riducono e i rendimenti probabilmente saliranno. Si capiscono le ragioni della flessione e quindi dei venditori. Ma, se uno vende, per forza un altro compra. Uno compra perché i prezzi sono flessi e quindi le azioni costano meno: il movente della caduta; uno compra perché la recessione finisce nel 2010: il movente della ripresa; uno compra quote importanti delle imprese ad un prezzo inferiore: il movente del controllo.
Il movente della caduta del prezzo al di sotto del valore.
Il prezzo corrente è notevolmente inferiore a quello di poco tempo fa: uno compra pensando che il prezzo non rifletta il valore dell’impresa quotata. Il ragionamento si fonda su una premessa: il prezzo di un’azione varia, ma il valore dell’impresa è costante. Il valore, invece, varia secondo come va l’impresa. E questo complica molto le cose. Il prezzo soddisfa l’obiezione di San Tommaso: lo si “vede” e lo si “tocca”; basta, infatti, comprare un giornale o un’azione. Il valore, invece, non soddisfa l’obiezione di San Tommaso: se lo si calcola, si possono avere dei valori molto diversi. Uno dovrebbe, infatti, scontare i flussi di utili con un tasso appropriato. Nessuno conosce in modo preciso l’ammontare degli utili futuri - nemmeno all’interno delle aziende lo si conosce - ed il tasso appropriato è difficile da quantificare.
Chi compra scommette che il dato tangibile (il prezzo) sia inferiore al dato intangibile (il valore). A posteriori può benissimo avere ragione. In partenza però non lo sa. Non è un caso che chi compra quando il prezzo cade molto si richiami alle figure: “Fiat vale in borsa meno del suo magazzino”, “Unicredit vale in borsa meno del palazzo di piazza Cordusio”. Le difficoltà legate al calcolo del valore portano a sostituire l’astratto (il valore, appunto), con il concreto (il magazzino, il palazzo).
Il prezzo corrente è notevolmente inferiore a quello di poco tempo fa: uno compra pensando che il prezzo non rifletta il valore dell’impresa quotata. Il ragionamento si fonda su una premessa: il prezzo di un’azione varia, ma il valore dell’impresa è costante. Il valore, invece, varia secondo come va l’impresa. E questo complica molto le cose. Il prezzo soddisfa l’obiezione di San Tommaso: lo si “vede” e lo si “tocca”; basta, infatti, comprare un giornale o un’azione. Il valore, invece, non soddisfa l’obiezione di San Tommaso: se lo si calcola, si possono avere dei valori molto diversi. Uno dovrebbe, infatti, scontare i flussi di utili con un tasso appropriato. Nessuno conosce in modo preciso l’ammontare degli utili futuri - nemmeno all’interno delle aziende lo si conosce - ed il tasso appropriato è difficile da quantificare.
Chi compra scommette che il dato tangibile (il prezzo) sia inferiore al dato intangibile (il valore). A posteriori può benissimo avere ragione. In partenza però non lo sa. Non è un caso che chi compra quando il prezzo cade molto si richiami alle figure: “Fiat vale in borsa meno del suo magazzino”, “Unicredit vale in borsa meno del palazzo di piazza Cordusio”. Le difficoltà legate al calcolo del valore portano a sostituire l’astratto (il valore, appunto), con il concreto (il magazzino, il palazzo).
Il movente della ripresa: lo scommettitore ottimista
Se uno prende la migliore delle previsioni, allora nel 2010 si ha la fine della recessione. Prendere la migliore delle previsioni, e non la peggiore, e neppure quella media, è una scelta soggettiva. Uno scommette sulla previsione migliore. Non si ha modo di sapere, alla linea di partenza, quale sarà la migliore delle previsioni. A ben guardare poi, la scommessa è doppia. La prima sulla ripresa, la seconda sugli utili. Gli utili possono, infatti, salire molto durante la ripresa del 2010, così come possono salire poco. In partenza però non si sa. A posteriori lo scommettitore ottimista può benissimo avere ragione. Non è un caso che, quando si ha grande incertezza sul futuro ed i prezzi salgono lo stesso, in gergo finanziario si affermi che sta tornando l”appetito per il rischio”. L’appetito per il rischio è espressione buffa, nessuno infatti mangia il rischio, ma rende bene il desiderio di scommettere.
Il movente del controllo a prezzi contenuti
Chi è arrivato alla crisi con delle grandi disponibilità, e non deve rendere conto ogni giorno del valore del portafoglio, come deve fare il gestore di un fondo comune, può comprare in maniera mirata delle quote importanti nelle imprese le cui azioni sono cadute sotto certe soglie di valore, di cui ha un’idea non troppo imprecisa. Di solito non è interessato solo agli utili dell’impresa di cui compra azioni, come accade al risparmiatore, perché potrebbe stringere alleanze. Interessi strategici, orizzonti temporali lunghi, ed un’idea meno imprecisa sul valore dell’impresa, possono spingere a comprare di questi tempi.
Naturalmente può avere ragione, ma alla linea di partenza anche l’investitore con un gran potere finanziario non sa come andrà a finire. Si ricordi che i fondi sovrani dei paesi petroliferi e dei paesi industriali emergenti, dotati di stuoli di consiglieri, comprarono tempo fa le azioni delle banche finite poi in crisi. Magari un giorno avranno ragione, magari torto.
Se uno prende la migliore delle previsioni, allora nel 2010 si ha la fine della recessione. Prendere la migliore delle previsioni, e non la peggiore, e neppure quella media, è una scelta soggettiva. Uno scommette sulla previsione migliore. Non si ha modo di sapere, alla linea di partenza, quale sarà la migliore delle previsioni. A ben guardare poi, la scommessa è doppia. La prima sulla ripresa, la seconda sugli utili. Gli utili possono, infatti, salire molto durante la ripresa del 2010, così come possono salire poco. In partenza però non si sa. A posteriori lo scommettitore ottimista può benissimo avere ragione. Non è un caso che, quando si ha grande incertezza sul futuro ed i prezzi salgono lo stesso, in gergo finanziario si affermi che sta tornando l”appetito per il rischio”. L’appetito per il rischio è espressione buffa, nessuno infatti mangia il rischio, ma rende bene il desiderio di scommettere.
Il movente del controllo a prezzi contenuti
Chi è arrivato alla crisi con delle grandi disponibilità, e non deve rendere conto ogni giorno del valore del portafoglio, come deve fare il gestore di un fondo comune, può comprare in maniera mirata delle quote importanti nelle imprese le cui azioni sono cadute sotto certe soglie di valore, di cui ha un’idea non troppo imprecisa. Di solito non è interessato solo agli utili dell’impresa di cui compra azioni, come accade al risparmiatore, perché potrebbe stringere alleanze. Interessi strategici, orizzonti temporali lunghi, ed un’idea meno imprecisa sul valore dell’impresa, possono spingere a comprare di questi tempi.
Naturalmente può avere ragione, ma alla linea di partenza anche l’investitore con un gran potere finanziario non sa come andrà a finire. Si ricordi che i fondi sovrani dei paesi petroliferi e dei paesi industriali emergenti, dotati di stuoli di consiglieri, comprarono tempo fa le azioni delle banche finite poi in crisi. Magari un giorno avranno ragione, magari torto.
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