L’efficacia delle iniziative della Commissione Europea in tema di economia circolare è stata messa sotto indagine dalla Corte dei conti europea. I revisori hanno voluto verificare come i piani d’azione per l’economia circolare abbiano influenzato il circular design, ovvero la progettazione circolare di prodotti e processi produttivi negli Stati membri.
Sulla carta mosse corrette
Sebbene non obbligati, dopo il 2015 quasi tutti i paesi dell’Unione hanno elaborato una strategia nazionale di economia circolare, e alcune amministrazioni hanno anche ideato strategie regionali o a livello cittadino. A giugno 2022 una strategia nazionale ispirata al Piano d’azione per l’economia circolare (Circular Economy Action Plan - Ceap) risulta ancora in corso di definizione nei paesi baltici e dell’Europa dell’Est.
I reali progressi compiuti dagli Stati membri nella transizione verso un’economia circolare vengono poi sintetizzati dal “tasso di circolarità” dei singoli paesi, che misura la percentuale di materiali riciclati e reintrodotti nell’economia. L’Eurostat ha misurato che tra il 2015 (anno del primo Piano d’Azione per l’Economia Circolare) e il 2021 il tasso medio di circolarità a livello europeo è aumentato di appena 0,4 punti percentuali (fig. 1) con notevoli differenze in base all’area geografica (fig. 2).
Fig. 1: Tasso medio di circolarità dell’Ue-27. Fonte: Relazione speciale sull’economia circolare della Corte dei Conti, 2023
Fig. 2: Tasso di circolarità per paese al 2021. Fonte: Relazione speciale sull’economia circolare della Corte dei Conti, 2023
«Vi sono scarsi elementi che dimostrino l’efficacia delle misure del Ceap 1 nel promuovere la transizione degli Stati membri verso un’economia circolare». Suona lapidario il report di audit della Corte dei Conti. In parte è stata riscontrata l’assenza di un quadro di monitoraggio e rendicontazione efficiente, in parte la strategia della Commissione Europea non ha dato seguito a investimenti e innovazione sufficienti al conseguimento degli obiettivi di efficientamento dell’uso delle risorse.
Una doppia accusa
L’Ue è passata dall’utilizzare il mero concetto di efficienza delle risorse (obiettivo della strategia Europa 2020 adottata dalla Commissione nel 2010) ad abbracciare il vasto modello di economia circolare che guarda all’intero ciclo di vita dei prodotti per preservare il valore dei materiali e prevenire i rifiuti. Una serie di atti legislativi sono stati pensati per spianare la strada all’implementazione di un modello economico circolare: la direttiva sulla progettazione ecocompatibile, quella sulla restrizione dell’uso di sostanze pericolose, quella sugli imballaggi e quella sulla plastica monouso, per esempio.
Eppure, non sembra essere andata a buon fine la sostituzione di alcune sostanze chimiche visto che la quantità di rifiuti pericolosi prodotti è in aumento da quasi un ventennio, e L’Ue non è uscita vittoriosa neanche dai tentativi di test per individuare l’obsolescenza programmata, ovvero “la pratica di limitare artificiosamente la vita utile di un prodotto fin dalla fase di progettazione, in modo che diventi obsoleto dopo un periodo di tempo prestabilito”. Ma l’osservazione forse più spiacevole è che i finanziamenti previsti a sostegno della transizione verso l’economia circolare siano stati utilizzati in minima parte per questo scopo.
La politica di coesione
Come ricordato dalla Corte dei Conti, la Commissione aveva specificato che la politica di coesione avrebbe finanziato i progetti di prevenzione dei rifiuti a livello locale e regionale. Tra il 2014 e il 2020 si intendeva mettere a disposizione oltre 10 miliardi di euro di finanziamenti Ue per l’economia circolare a titolo dei fondi della politica di coesione, principalmente il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), nonché di altri fondi Ue in regime di gestione diretta (quali Orizzonte 2020, il programma Life e il programma per la competitività delle imprese e le Pmi (Cosme) e di gestione indiretta (quale il Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis) e InnovFin – Finanziamento dell’Ue per l’innovazione).
Finanziamenti Ue per l’economia circolare fino al 2020. Fonte: Relazione speciale sull’economia circolare della Corte dei Conti, 2023
Con i finanziamenti in mano si è caduti nell’errore più banale che riguarda il concetto di economia circolare. La spesa è stata diretta in gran parte per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti piuttosto che per impedirne la generazione. È risaputo che l’impatto positivo maggiore lo si ottiene con la prevenzione dei rifiuti, non con il loro trattamento a fine vita. Fino all'80% dell'impatto ambientale di un prodotto è determinato nella fase di progettazione, quindi finché il concetto di circular design non entrerà in maniera determinante nei processi produttivi la riduzione dell’impatto di un bene sull’ambiente sarà limitata e inefficiente.
Un errore replicato
Errore che si continua a perpetuare. Guardando all’Italia e al Pnrr, i progetti destinatari di un miliardo e mezzo di euro di investimenti (a fronte del quale sono arrivate richieste per oltre sei miliardi) avranno principalmente il compito di migliorare la rete di raccolta differenziata dei rifiuti urbani e realizzare nuovi impianti di trattamento/riciclaggio.
Bruxelles ha fatto dell’economia circolare uno dei suoi cavalli di battaglia nella transizione verso uno sviluppo sostenibile. Come spesso accade i numeri e le verifiche vanno a ridimensionare gli slogan e la retorica.
L’Ue ha la tendenza (lodevole) di alzare sempre molto l’asticella quando si tratta di fissare obiettivi di sviluppo sostenibile. Sarebbe un peccato però che le politiche, i piani d’azione, le strategie comunitarie non si traducessero in interventi concreti degli Stati membri e delle industrie.
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