All'inizio di febbraio l'Istat ha comunicato i dati provvisori sul lavoro in dicembre. L'occupazione è diminuita dello 0,4% su novembre con un calo di 101mila unità. Rispetto a dicembre 2019 si registrano 444.mila occupati in meno (-1,9%). La diminuzione dell'occupazione rispetto a novembre coinvolge le donne, i lavoratori sia dipendenti sia autonomi e caratterizza tutte le classi d'età, con l'unica eccezione degli ultracinquantenni. Il livello di occupazione è inferiore a quello di febbraio 2020 di oltre 420 mila unità. Il tasso di disoccupazione è salito a dicembre al 9,0% (+0,2 punti).
Ma qual è la composizione della occupazione in Italia?
In attesa che gli effetti della crisi pandemica dispieghino tutti i loro effetti sul mercato del lavoro - specie con il termine del blocco dei licenziamenti – il quadro dell’occupazione in Italia ha subito radicali modifiche con una importante rimonta del lavoro dipendente. Lo scopraimo leggendo i dati che emergono dall’Osservatorio lavoratori dipendenti e indipendenti per l’anno 2019 redatto pochi giorni fa da Giulio Mattioni e a cura del coordinamento generale statistico attuariale dell’Inps che vede al vertice Gianfranco Santoro.
Naturalmente, sono numeri e percentuali che non tengono conto del Coronavirus, ma che enfatizzano gli effetti di politiche del lavoro che hanno indirizzato i contratti sulla strada del lavoro dipendente che ha finito per tornare ai livelli del 2008. L'onda d'urto del Covid si tradurrà in una caduta del lavoro autonomo e in misura minore di quello dipendente per ora attenuati dal massiccio ricorso alla Cassa integrazione ma che poi si manifesterà con maggiore durezza.
L'aumento dei dipendenti
Tra il 2014 e il 2019 si contano sempre meno lavoratori autonomi (-10,2%), una discesa a picco dei parasubordinati, collaboratori e voucher (-21%) e l'aumento di dipendenti (+13%) e lavoratori pubblici (+1,8%); con un lavoro concentrato per oltre la metà tra Nord-Ovest e Nord-Est. Il reddito medio anno si colloca intorno ai 23mila euro con punte di 33.500 euro per i dipendenti pubblici e livelli minimi di 1.200 euro per il cosiddetto "lavoro accessorio". Si attenua soltanto il gender gap visto che il 56,6% dei lavoratori è di sesso maschile, anche se la componente femminile cresce lievemente più di quella maschile; inoltre il divario resta più forte sul fronte retributivo con redditi “maschili” medi a quota 25.751 e quelli “femminili” fermi a 19.193 euro.
Oltre 25 milioni di lavoratori
Nel 2019 il numero di lavoratori dipendenti e indipendenti nell’anno è risultato pari a 25.473.000, in leggera crescita rispetto al 2018 (+0,3%). Dal 2014 il numero complessivo di lavoratori è aumentato di quasi 80mila unità (+3,2%). A tale incremento del numero di lavoratori si è accompagnato una modesta crescita del numero medio di settimane lavorate, passate da 42,6 nel 2014 a 42,9 nel 2019 (+0,7%), mentre nello stesso periodo il reddito medio annuo da lavoro è cresciuto da 21.515 a 22.906 euro (+6,5%).
La caduta del lavoro autonomo
Nel dettaglio, il lavoro indipendente classico (artigiani, commercianti e autonomi agricoli) mostra una generale contrazione, con gli artigiani che tra il 2014 e il 2019 perdono circa 174mila unità (-10,2%), i commercianti -100mila (-4,8%) e gli agricoli autonomi -15mila lavoratori (-3,4%). Al contrario, sempre nel periodo 2014-2019, il lavoro dipendente privato, inteso come attività prevalente, cresce del 13%, consentendo il recupero di quasi 1,8 milioni di lavoratori e riportando l’occupazione ai livelli del 2008, cioè prima delle due crisi che hanno interessato il nostro Paese (la crisi finanziaria dei subprime e più recentemente tra il 2011 e il 2013 la crisi del debito sovrano). Crescono anche i dipendenti pubblici con un incremento dell’1,8% tra il 2014 e il 2019 e con 100mila unità in più nell’ultimo anno.
I lavoratori domestici presentano invece un trend decrescente (-9,2% nel periodo 2014-2019). L’andamento dei parasubordinati nel complesso, sia senza partita Iva (collaboratori, dottorandi, amministratori) sia con partita Iva (professionisti senza Cassa previdenziale), è fortemente decrescente con una perdita di 247mila lavoratori tra il 2014 e il 2019 (-21%). Tale diminuzione è dovuta quasi esclusivamente alla forte contrazione delle collaborazioni conseguenza dei diversi interventi legislativi che hanno interessato questa categoria di lavoratori (riforma Fornero, legge 92/2012, e Jobs Act, Dlgs 81/2015).
Redditi medi a quota 23mila euro l’anno
Il reddito medio annuo (a prescindere dalla durata della prestazione) nel 2019 ammonta nel complesso a poco meno di 23.000 euro. Tale importo è analogo per i lavoratori che nell’anno sono stati prevalentemente dipendenti privati. Al di sopra troviamo solo i parasubordinati, con circa 28.700 euro e i dipendenti pubblici con circa 33.500 euro. Molto più bassi i redditi medi di autonomi agricoli (12.500 euro), domestici e operai agricoli (7-8.000 euro) e ovviamente in coda si trovano i prestatori di lavoro accessorio (meno di 1.200 euro di reddito medio annuo).
Resiste il gender gap
Ancora lontana la parità di genere. Nel 2019 i maschi rappresentano il 56,6% dei lavoratori dipendenti e indipendenti anche se, dal 2014 al 2019, il numero delle lavoratrici è cresciuto maggiormente (+3,4% contro +3,0% dei maschi). Sempre nel 2019 i maschi presentano un numero medio di settimane lavorate nell’anno pari a 43,5 e un reddito medio annuo da lavoro di 25.751 euro, mentre le femmine evidenziano 42,1 settimane medie lavorate e un reddito medio annuo di 19.193 euro.
Più giovani e più anziani al lavoro
Analizzando l’andamento del numero di lavoratori nell’anno per classe di età emerge un netto incremento dei giovani fino a 19 anni (+41% tra il 2014 e il 2019 e +5,6% nell’ultimo anno) e da 20 a 24 (+8,5% nel periodo 2014-2019 e +2,4% nell’ultimo anno). Anche le classi di età più anziane, in particolare 55 anni e oltre, fanno registrare andamenti decisamente crescenti, conseguenza del generale invecchiamento della popolazione. Le classi di età centrali presentano invece trend negativi sia nel periodo 2014-2019 (-14,2% per la classe 35-39 anni e -11% per la classe 40-44 anni) sia nell’ultimo anno (rispettivamente -2,2% e -4,1%).
Il lavoro abita per la gran parte al Nord
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale dei lavoratori, si può osservare che nel 2019 il 29,3% svolge l’attività lavorativa nel Nord Ovest, si tratta di quasi 7,5 milioni di lavoratori. A seguire il Nord Est con il 22,8% (circa 5,8 milioni di lavoratori), il Centro con il 21,3% (oltre 5,4 milioni di lavoratori), infine il Sud con il 18,3% (circa 4,7 milioni di lavoratori) e le Isole con l’8,3% (2,1 milioni di lavoratori).
Il peso degli extracomunitari
Nel 2019 il 9,4% dei lavoratori è cittadino extracomunitario, con una crescita pari al 3,3% rispetto al 2018, mentre i lavoratori comunitari sono pressoché stabili rispetto all’anno precedente. Analizzando la quota di extracomunitari si osserva che essa è massima (49,1%) tra i domestici ed è minima (appena lo 0,2%) tra i dipendenti pubblici. Quote significative di lavoratori extracomunitari si riscontrano anche tra gli operai agricoli (19,5%) e tra i commercianti (10,5%). I lavoratori extracomunitari sono caratterizzati da valori più bassi, rispetto ai comunitari, sia per quanto riguarda il numero medio di settimane lavorate (38,9 contro 43,3 dei comunitari) sia in termini di reddito medio da lavoro (13.729 euro contro 23.863 euro dei comunitari).
I pensionati al lavoro
Infine i lavoratori pensionati. Nel 2019 poco meno di 1 milione di lavoratori (pari al 3,8%) risultano anche pensionati. Più precisamente 685.156 (pari al 2,7% dei lavoratori dell’anno) sono sicuramente pensionati che lavorano, in quanto sono beneficiari di una pensione diretta di vecchiaia o anzianità già da prima del 2019.
Chi è interessato a recuperare il report dell'Inps può farlo cliccando qui. Cliccando qui, invece, potete leggere la proposta lanciata da Mondo Economico a inizio 2021 dei «Cantieri di lavoro pubblico temporaneo» per affrontare l'emergenza occupazione.
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