New York - Anche a 8mila chilometri di distanza, a Washington e a New York non sfugge a nessuno che l’invasione dell’Ucraina avrà ricadute forti e di lungo termine negli Stati Uniti. La portata degli effetti della guerra non è ancora chiara, ma negli States è palpabile una inquietante certezza: dal punto di vista sia geopolitico sia macroeconomico, l’America sta assistendo alla fine del suo predominio mondiale. 

Ai vertici delle istituzioni finanziarie, politiche e accademiche degli Usa domina la consapevolezza che l’ingresso di carri armati russi sul suolo ucraino ha segnato la chiusura dell’epoca di relativa pace e benessere nota come “pax americana”, che ha fatto da humus alla globalizzazione. 

L’inizio con la crisi finanziaria del 2008

«Attorno al 1991 siamo passati da un mondo dominato da due superpotenze, gli Stati Uniti e l’Unione sovietica, a uno in cui la supremazia politica, militare ed economica, ma anche in termini di idee, era degli Stati Uniti — spiega Carmen Reinhart, capo economista della Banca Mondiale —. Questo è il mondo in cui abbiamo vissuto per quasi trent’anni. Ma ha cominciato ad atrofizzarsi con la crisi finanziaria del 2008 e con la guerra in Iraq, che hanno fatto apparire l’America più debole. E più ancora dal 2010 quando la Cina è diventata più forte e la Russia più assertiva, tanto da immischiarsi nelle elezioni americane del 2015 e del 2016. A mio parere l'era d'oro per la globalizzazione si è conclusa dieci anni fa».

Carmen Reinhart, capo economista della Banca Mondiale

Il grande riallineamento geopolitico

Il primo vero conflitto in Europa in quasi 70 anni sta segnando allora non solo la prima sfida frontale all'egemonia americana, ma anche l’avvio di un «grande riallineamento geopolitico ed economico globale», come ha evidenziato in Congresso il presidente della Federal Reserve Jerome Powell. «Questo evento sembra essere un punto di svolta e sarà con noi per molto tempo», ha concluso il capo della Banca centrale Usa.

E dopo le macerie della pax americana?

La difficoltà sta nel predire che cosa sorgerà dalle macerie della pax americana. L’analista politico Fareed Zakaria è pronto a scommettere su una struttura che tenderà al bipolarismo, con gli Stati Uniti e la Cina che si spartiranno l'influenza mondiale. Ma per ora domina l’incertezza, con il suo corollario, l’instabilità. E il rischio che i missili di Vladimir Putin distruggano in modo irreparabile non solo la supremazia americana, ma l’intero sistema internazionale.

Fareed Zakaria, analista politico tra i più influenti negli Usa

La riabilitazione di Maduro

Di qui il senso d’ansia che si respira in questi giorni a Washington, e di qui mosse fino a due settimane inconcepibili, come la riabilitazione del dittatore venezuelano Nicolás Maduro da parte dell’Amministrazione Biden che l’aveva esiliato dalla scena internazionale. «In questo momento bisogna avere chiare le proprie priorità — incalza Fareed Zakaria — e isolare la Russia per difendere l’ordine internazionale. Il Venezuela è un passo necessario. Un altro sarebbe un’apertura alla Cina per mettere un cuneo tra Mosca e Pechino, che ha molto da perdere dall’indebolimento delle istituzioni globali. Gli interessi economici della Cina dipendono ancora molto dal sistema odierno».

I calcoli di Pechino

Se la Russia, Stato petrolifero, beneficia infatti dell'instabilità e dal greggio alle stelle, la Cina ha ancora molto da guadagnare dal mantenimento dello status quo geopolitico, della World Trade Organization e dell’integrazione finanziaria — un mondo in cui è già potente e può diventarlo sempre di più, sfidandone le regole ma giocando al suo interno. 

Esiste però il rischio che Pechino decida che le convenga tagliare sempre i più i ponti con gli Stati Uniti e loro alleati, sul fonte finanziario, tecnologico e produttivo.  Interviene ancora Carmen Reinhart della Banca Mondiale: «Anni di deterioramento delle relazioni Usa-Cina hanno già interrotto la crescita dell’integrazione finanziaria e commerciale che era stata prevista durante il massimo splendore della globalizzazione». 

La globalizzazione è finita?

I volumi del commercio mondiale sarebbero quasi il doppio oggi se avessero continuato ad aumentare al ritmo visto fra il 2000 e il 2008, secondo il CPB Netherlands Bureau for Economic Policy Analysis. 

«La Cina si sta progressivamente adattando a un mondo meno globalizzato — conferma l'economista premio Nobel Joseph Stiglitz —. Sa che si sta chiudendo la porta sul capitolo di un mondo interconnesso che barcolla da anni, anche a causa della pandemia e dei nodi nella catena di approvvigionamento. Quello che vedremo è un processo di disconnessione e disimpegno da parte di Usa e Cina. Ma sarà lento, in particolare nel caso della Cina».

Joseph Stiglitz, Premio Nobel per l'economia nel 2001

Sicuramente le autorità cinesi, osservando gli Stati Uniti e i loro alleati spingere deliberatamente la Russia in una profonda recessione, intensificheranno gli sforzi per diventare più autosufficienti. Anche gli Stati Uniti si stanno muovendo in quella direzione con l'iniziativa "made-in-America" di Joe Biden. 

Ma se un progressivo allontanamento dalla globalizzazione e un ritorno al bipolarismo potrebbero essere inevitabili nel lungo termine, nel breve gli Usa possono proteggere il loro status di superpotenza e di difensore della libertà tendendo la mano alla Cina. Che è un avversario degli Usa e della democrazia, ma anche un nemico del caos e dell’instabilità globale.