Il Mar Cinese Meridionale è campo di battaglia tra diversi Paesi della regione per il controllo di isole o tratti di acque, a causa delle risorse energetiche presenti, ma soprattutto per motivi strategici

Negli ultimi anni, il Mar Cinese Meridionale è campo di battaglia tra diversi Paesi della regione per il controllo di isole o tratti di acque. I tre focolai principali si raccolgono attorno all'arcipelago delle Isole Spratly, a quello delle Paracel e al Golfo di Thailandia (Figura 1).
Nel caso delle Spratly, il controllo di tutte le isole è stato finora rivendicato da Cina, Taiwan e Vietnam, mentre Brunei, Malesia, Filippine e Indonesia si sono limitati a rivendicarle soltanto in parte. L'insieme delle Isole Paracel, invece, è conteso da Cina, Taiwan e Vietnam. Infine, il Golfo di Thailandia ha visto contrapposti Cambogia, Malesia, Vietnam, oltre alla stessa Thailandia.
Le cause di queste contese possono essere ricondotte al movente energetico, sotto diversi aspetti.
Innanzitutto, l'aumento della domanda di risorse da parte dei Paesi asiatici. Un recente rapporto della British Petroleum (BP) segnala come il consumo totale di energia nella regione del Pacifico asiatico crescerà per il 2035 del 60% rispetto al consumo attuale. La percentuale della domanda asiatica su quella mondiale ammonterà al 47%, mentre Europa ed Eurasia domanderanno soltanto il 18% dell'energia globale (Figura 2). Sempre nel 2035, la domanda di gas nella regione sarà cresciuta del 99% rispetto al livello odierno, mentre la domanda di petrolio aumenterà del 41% (Figura 3).

Il secondo aspetto riguarda invece la dimensione energetica "orizzontale" del Mar Cinese Meridionale: il traffico commerciale via nave. Secondo la Energy Information Administration (EIA) statunitense, nel 2013 sono passati a bordo di nave per lo Stretto di Malacca, il "cancello" d'ingresso del Mar Cinese Meridionale, 15,2 milioni di barili al giorno di petrolio e altri combustibili liquidi, circa un quarto del totale trasportato mondialmente (Figura 4).
La terza dimensione energetica, quella "verticale", è la più dibattuta, e riguarda la presenza di risorse sottomarine. Nelle aree di mare non ancora esplorate, i dati della US Geological Survey parlano di una quantità di petrolio stimata che oscilla tra i 5 e i 22 miliardi di barili e tra 2 mila e 8 mila miliardi di metri cubi di gas naturale.
Ancora più incerti sono i dati sull'entità delle risorse presenti nelle zone focolaio di scontro. La EIA segnala che le Isole Spratly e le sue acque non nascondano alcuna riserva di petrolio, mentre le riserve di gas naturale sarebbero inferiori ai 3 miliardi di metri cubi. La maggior parte di queste risorse si troverebbe nella cosiddetta Reed Bank, la punta nord orientale delle Spratly: un'area contestata da Vietnam, Cina e Taiwan. Altri analisti, tuttavia, parlano di dati più promettenti. Ad esempio, il magazine online di settore Offshore Technology parlava nel luglio del 2012 di riserve potenziali di idrocarburi pari a 225 miliardi di barili di petrolio equivalente.


L'altro arcipelago della discordia (le Isole Paracel) giace nel confine conteso tra le Zone Economiche Esclusive di Vietnam e Cina. Il territorio e i mari delle Isole Paracel, secondo le stime della EIA, non presentano alte probabilità di giacimenti significativi di petrolio e gas. Le attività esplorative intraprese dal Vietnam gli scorsi anni, assieme all'impresa indiana Oil and Natural Gas Corporation (ONGC), hanno dato scarsi risultati, tanto che ben presto la ONGC ha abbandonato le operazioni.
Durante l'estate del 2014, la Cina ha suscitato l'ira di Hanoi iniziando nuove esplorazioni proprio nell'area contesa. Con risultati soddisfacenti, a sentire gli operatori di Pechino, che tuttavia non hanno diffuso altre indicazioni.

Per quanto riguarda il terzo focolaio, il Golfo di Thailandia, i dati sembrano più chiari. La rivista di settore Oil and Gas Journal indica che l'80% delle riserve di greggio della Thailandia - 449 milioni di barili - sarebbe conservato nell'area del Golfo. Le riserve tailandesi di gas naturale, invece, ammonterebbero a 255 miliardi di metri cubi e la maggior parte della produzione avverrebbe nel giacimento di Bongkot e nel Bacino di Malay, entrambi nell'area del Golfo di Thailandia, il secondo a cavallo tra le acque Tailandesi e Malesi.
Malgrado l'ottimismo cinese, peraltro non suffragato da dati, sulle riserve delle Isole Paracel, e a parte un'attività produttiva avviata nel Golfo di Thailandia, le scarse attività esplorative nelle altre zone non hanno in realtà fornito finora risultati soddisfacenti.
Alla luce di questi dati, appare plausibile considerare gli scontri per le isole come tentativi di conquista di basi strategiche, piuttosto che di potenziali bacini di risorse, in un mare che, viste le previsioni di crescita della domanda di idrocarburi, diventerà sempre più cruciale per il traffico commerciale via nave. E, di conseguenza, per lo sviluppo dei Paesi dell'area.
In primis la Cina che, sotto lo schermo della caccia alle risorse sottomarine - da qui le stime ottimistiche sulle riserve probabili – potrebbe in realtà celare l'intento di voler garantire alle navi dirette verso i propri porti una serie di "approdi sicuri" nel mare adiacente alle sue coste (Figura 5): il coronamento della cosiddetta "strategia del filo di perle".