Chi inquina paga, ma l’obiettivo è fare inquinare sempre meno, penalizzando i sistemi produttivi che emettono grandi quantità di anidride carbonica. E L’Unione europea ha varato in fretta e furia, ma dal 2026, un sistema di protezione delle imprese comunitarie che, pure per nobili motivi (non inquinare) rischiavano – e rischiano tutt’ora come dimostra il caso del comparto ceramico - di essere sopraffatte dalla concorrenza di Paesi dove inquinare è più che mai lecito (Cina in primis).
Nasce così il meccanismo degli Ets (Emissions Trading System) che è uno schema per fissare un prezzo alle emissioni di Co2, sotto forma di crediti che le aziende di determinati settori ad alto impatto (industria pesante ed energia in primis) devono acquistare per avere il diritto ad emetterne Co2 nell’atmosfera. Il sistema – che in Italia riguarda circa 1.200 impianti responsabili del 40% delle emissioni di gas serra nazionali - è stato introdotto e disciplinato nella legislazione europea dalla Direttiva 2003/87/CE ed è di tipo cap&trade, ossia fissa un tetto massimo complessivo alle emissioni consentite sul territorio europeo nei settori interessati (cap) cui corrisponde un equivalente numero “quote” (1 tonnellata di Co2 equivalente = 1 quota) che possono essere acquistate/vendute su un apposito mercato (trade),
Oggi una quota costa intorno agli 88 euro. I prezzi delle quote sono cresciuti del 135% negli ultimi anni e la ragionevole certezza che il valore delle quote Ets fosse destinato ad aumentare significativamente nel tempo, ha indotto, a partire dal 2020, importanti players finanziari (banche di investimento ed edge funds in primis) a investire nel mercato Ets e su strumenti derivati aventi come sottostante le quote Ets (un po’ quel che è successo con il gas nel 2022). Questo ha avuto l’effetto di aumentare vertiginosamente il prezzo di tali quote, penalizzando di conseguenza gli impianti che devono acquistarle sul mercato per esigenze produttive.
Ue, interessate 11mila industrie
Ogni operatore industriale con emissioni attivo nei settori coperti dallo schema (circa 11mila in Europa) deve “compensare” su base annuale le proprie emissioni effettive (verificate da un soggetto terzo indipendente) con un corrispondente quantitativo di quote. Le quote possono essere allocate a titolo oneroso o gratuito. Nel primo caso vengono vendute attraverso aste pubbliche alle quali partecipano soggetti accreditati che acquistano principalmente per compensare le proprie emissioni ma possono alimentare il mercato secondario del carbonio. Nel secondo caso, le quote vengono assegnate gratuitamente agli operatori a rischio di delocalizzazione delle produzioni in Paesi caratterizzati da standard ambientali meno stringenti rispetto a quelli europei. Le assegnazioni gratuite sono appannaggio dei settori manifatturieri e sono calcolate prendendo a riferimento le emissioni degli impianti più “virtuosi”.
Dazi sulle merci “inquinate” di Co2
Con una recentissima riforma votata il 18 aprile, Il Parlamento europeo ha votato una modifica del sistema che prevede la costruzione di una barriera di ingresso per merci prodotte in Paesi e aree nelle quali una certificazione simile non c’è e che quindi fanno concorrenza sleale ai nostri prodotti sul mercato europeo. E poi la creazione di un nuovo schema (Ets2) che copra settori che fino a oggi non erano toccati. Con l’attivazione di un fondo sociale per il clima per applicare i principi di giusta transizione e aiutare famiglie e imprese che rischiano di essere messe più in difficoltà da un aumento dei prezzi dell’energia dovuto al rafforzamento di Ets. Che dalla fine di questo decennio, per esempio, coprirà anche il riscaldamento domestico. Uno dei punti più controversi e discussi della riforma era la data di interruzione per il flusso di certificati gratuiti concessi alle imprese più inquinanti per permettere loro di essere competitive sul mercato. La data di chiusura approvata dall’Unione è il 2034, con un dimezzamento previsto per il 2030.
L’orizzonte è quello di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 e azzerarle entro metà secolo, come previsto dal Green Deal. Per arrivarci, le attività a maggior impatto dovranno tagliare le proprie emissioni del 62% entro la fine di questo decennio. In parallelo, dal 2026, entra in forza il Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam), dopo un periodo di transizione di tre anni. Il Cbam è una sorta di dazio doganale climatico e servirà a fissare un prezzo alle emissioni contenute nei prodotti che vengono immessi nel mercato comune, per evitare concorrenza sleale ed ecodumping. Cioè che costino di meno solo perché nei Paesi dove vengono prodotti (come la Cina) non si tiene conto a sufficienza della crisi climatica. Il Cbam coprirà acciaio, ferro, elettricità, idrogeno, cemento, fertilizzanti e alluminio.
La tariffa ai prodotti di importazione deve rispecchiare il prezzo interno dell’Unione per la Co2. Dal 2026 una tonnellata di acciaio cinese e una italiana dovranno avere lo stesso costo in termini di compensazione delle emissioni. Un’altra misura di protezione delle aziende europee rispetto al prezzo della Co2 è che un quarto dei permessi per inquinare Ets sarà in una riserva costruita per garantire la stabilità dei mercati. E potranno essere rilasciati per calmare questi ultimi qualora i prezzi della Co2 dovessero diventare troppo alti.
L’impatto sul settore ceramico
Molti grandi produttori utilizzano gas metano per i loro processi produttivi ed emettono perciò anidride carbonica in grande quantità. Per compensare tali emissioni, devono per legge acquistare quote Ets pagando perciò dei “costi ambientali” che poi ribaltano sul prezzo di vendita ai propri clienti. Per ridurre l’impatto di tali oneri sulle industrie manifatturiere più energivore, l’Unione europea ha previsto per alcuni settori (14 in totale) una compensazione, ma tra questi non figura la ceramica, comparto estremamente energivoro e particolarmente colpito dalla crisi energetica dell’ultimo anno. Da qui, un’azione trasversale a livello politico e geografico, che vede tutti i Paesi europei a vocazione ceramica e tutti gli schieramenti politici di questi Paesi impegnati nella stessa direzione a Bruxelles: chiedere che la ceramica sia inclusa nella lista dei settori che beneficiano della compensazione dei costi indiretti Ets.
L’iniziativa è partita da un’europarlamentare italiana, l’onorevole Elisabetta Gualmini, che nel suo ruolo di presidente dello European Parliament Ceramics Forum (Epcf), ha inviato una lettera a Margarethe Vestager, vice-presidente esecutiva della Commissione europea e commissario alla Concorrenza, per chiedere l’inserimento dell’industria ceramica nella lista. La lettera è stata firmata da 34 europarlamentari di sette Stati membri (Italia, Spagna, Francia, Grecia, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca) e appartenenti, come detto, a diversi gruppi politici.
L’industria ceramica Italiana contribuisce per meno dell’1% alle emissioni italiane e rappresenta il 4% di quelle dell’industria. Essa dà lavoro con l’indotto ad almeno 60 mila posti di lavoro e genera un valore aggiunto lordo di 2,7 miliardi. Pur essendo fortemente penalizzata da alti costi di produzione e di logistica vende all’estero l’85% dei suoi prodotti. I costi energetici hanno inciso nel 2020 per circa il 20% del costo della piastrella ceramica e sono destinati ad aumentare ulteriormente. ll costo diretto del settore nel 2021 per l’acquisto di quote Ets sarà di almeno 70 milioni «con una forte perdita di competitività – fanno sapere da Confindustria ceramica - per le produzioni ceramiche italiane. Va sottolineato infatti che molti competitors producono in Paesi non soggetti al sistema Ets e dunque stanno beneficiando di un ulteriore vantaggio competitivo rispetto ai produttori europei ed italiani».
Una significativa riduzione delle emissioni di Co2 dell’industria ceramica potrà avvenire solo con l’utilizzo di nuove tecnologie di processo, che utilizzeranno green fuel come idrogeno e/o bio-gas ed energia elettrica prodotti da fonti rinnovabili, in sicurezza e con costi sostenibili: si stima che tali tecnologie non saranno disponibili su scala industriale per gli impianti ceramici prima di 10 anni. Da qui ad allora non ci saranno alternative, se non quella di perdere competitività e di delocalizzare, per chi potrà/vorrà farlo, le produzioni in Italia ed in Europa, in attesa di poter disporre di tecnologie meno inquinanti.
Gli Ets arrivano al sistema marittimo
Dal 2027 il sistema Ets raddoppia e si applicherà anche ai trasporti privati, al riscaldamento degli edifici, allo smaltimento di rifiuti e al traffico marittimo. Qui l’impatto rischia di pesare direttamente sui budget delle famiglie e il meccanismo di compensazione ideato dall’Unione Europea è il cosiddetto Climate Social Fund, un fondo da 87 miliardi di dollari. Che dovrà aiutare i cittadini dell’Unione a combattere la povertà energetica fino al 2032. Inoltre, per questo schema Ets2 il prezzo della Co2 sarà fissato a un massimo di 45 euro. Ciò per evitare fluttuazioni troppo violente, costi elevati e rivolte in stile gilet jaunes francesi.
Quale costo avrà per l’armamento italiano l’introduzione dell’Emission Trading Scheme al trasporto marittimo nei prossimi anni? La risposta è che a livello globale l’intero comparto dovrà sborsare annualmente quasi 7 miliardi di euro se durante il 2024 il carbonio continuerà a oscillare intorno ai 90 euro/tonnellata. Per il mercato marittimo italiano e i suoi armatori e noleggiatori, si parla di un costo che gradualmente potrebbe passare da circa 250 milioni di euro all’anno nel 2024 fino a 800 milioni dal 2026 in poi raggiungendo probabilmente il miliardo alla fine del 2029. Dal 2024 in poi armatori e noleggiatori di navi con stazza lorda superiore alle 400 tonnellate dovranno progressivamente acquistare e trasferire permessi di Co2 per ogni tonnellata di gas serra rilasciata nell’atmosfera durante un anno solare.
Per dare un’idea dell’impatto, basti pensare che un classico viaggio fra i porti di Sarroch (dove ha sede la raffineria di Saras) e Genova potrebbe costare circa il 62% più nel 2026 rispetto a oggi.«Confitarma guarda con molto interesse, ma anche preoccupazione, agli sviluppi dell’applicazione allo shipping di questo sistema di tassazione. Ribadisce anche la necessità di esentare le linee di Autostrade del Mare e quelle di cabotaggio con tutte le isole, incluse le maggiori, non solo quelle con meno di 200 mila abitanti come è oggi», commenta il presidente di Confitarma Mario Mattioli.
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