A parole la famiglia è al centro dell’azione del governo ma le misure messe in campo, nella realtà, avranno effetti molto blandi. Di certo non spingeranno le famiglie a fare figli e la delusione non manca per le poche risorse reali messe sul capitolo della famiglia (circa un miliardo) dalla legge di bilancio, anche se non si può certo dire che sia tutta colpa di questo governo a cui, invece, va riconosciuto il merito di aver mantenuto, e anzi finanziato in maniera più forte, l’assegno unico varato dal precedente esecutivo. E resta il fatto che l’aiuto più importante alle famiglie, nel 40% dei casi, lo stanno dando non le politiche pubbliche ma i nonni, che il fisco “tradisce” la famiglia e che servono contratti di lavoro stabili e stipendi adeguati se si vuole che le giovani coppie tornino a fare figli.
Sono queste le valutazioni del Cisf, Centro internazionale studi famiglia – nato nel 1974 su iniziativa di don Giuseppe Zilli, storico direttore del settimanale Famiglia Cristiana – contenute nel report 2023 sulla famiglia che sarà in libreria dal 10 novembre per i caratteri delle Edizioni San Paolo. Cisf è diretto dal sociologo Francesco Belletti e dal 2005 è ente autonomo ed è una voce di riferimento nazionale per gli studi e le ricerche sulla famiglia.
Famiglie strategiche
Perché sostenere le famiglie? Per la semplice ragione che sono socialmente strategiche in quanto esse assolvono una quantità enorme di funzioni che nessuno Stato, nessuna amministrazione collettiva, nessun mercato può sostituire; in particolare, la famiglia è l’istituzione che più di ogni altra sostiene e tutela i soggetti deboli, garantisce una redistribuzione economica e solidale dei redditi, educa alla solidarietà verso gli altri e alla responsabilità. «Per troppi anni – spiega Belletti - le politiche familiari in Italia hanno vissuto una stagione di marginalità, in cui sono state spesso contrapposte, o appiattite, alle politiche sociali e/o di contrasto alla povertà, con scarsi finanziamenti, spesso giocate sulla logica dell’una tantum o dei target circoscritti, con un paradossale rovesciamento di funzioni: la capacità solidaristica delle reti familiari, capaci di offrire sostegno, aiuto e protezione ai giovani senza lavoro, agli anziani con pensioni basse, fronteggiando servizi socio-sanitari spesso di scarsa qualità, ha portato alla retorica della famiglia come primo e più importante ‘ammortizzatore sociale’ nel nostro Paese».
Serve un fisco amico
La nuova considerazione e centralità della famiglia potrebbe partire dal fisco. E sarebbe giusto che, a parità di reddito complessivo, una famiglia con più componenti pagasse meno imposte di un singolo. Sia per i riconoscimenti che la Costituzione attribuisce alla famiglia (articoli 29-31) ma anche per una questione di equità rispetto alla capacità contributiva (articolo 53): chi con l’impiego del proprio reddito investe a sostegno di iniziative che producono un bene nell’interesse generale ha diritto a una misura agevolativa in materia tributaria. «Con il proprio contributo alla società, l’istituzione familiare – spiega Belletti - consente un risparmio di spesa pubblica attraverso lo svolgimento di funzioni oggettivamente pubbliche quali sono educazione, istruzione, accoglienza e cura, promozione della crescita dei soggetti; un contributo ‘in natura’ che ogni nucleo familiare presta alla società».
I limiti dell’assegno unico
A questo riguardo l’assegno unico è una tappa importante ma non basta. Istituito con il Dlgs 230/2021, l’assegno unico ha accorpato tutti i sostegni precedenti, comprese le detrazioni fiscali per i figli a carico, prevedendo un solo contributo economico. L’importo 2023 è di 189 euro al mese a figlio per i redditi fino a 16.215 Isee, poi decresce fino alla quota minima universale di 54 euro. Di fatto, molti nuclei del ceto medio si trovano di fatto privi di un supporto adeguato. E tra gli istituti giuridici più penalizzanti oggi in Italia vi è proprio l’Isee che è computato in base a un meccanismo secondo cui, per ricostruire l’indicazione della situazione economica della persona, i redditi e patrimoni del nucleo familiare devono sommarsi, ma non devono dividersi per un numero corrispondente a quello dei componenti del nucleo familiare stesso, bensì per un numero diverso e inferiore, secondo una scala di equivalenza in base alla quale al secondo membro della famiglia, da inserire al divisore della formula di calcolo, non si assegna il valore di 1, bensì di 0,57; al terzo di 0,47, al quarto di 0,42 e così via a scendere.«In questo modo – spiega Belletti - nell’accesso alle prestazioni di finanza pubblica, il soggetto viene penalizzato dall’essere inserito in un nucleo familiare, perché la sua ricchezza viene calcolata su base familiare, ma senza dividere correttamente per il numero dei membri della famiglia stessa».
Fisco, vince il modello tedesco
Dal punto di vista fiscale, per dare attuazione ai principi costituzionali è indispensabile concepire un sistema che vada oltre il meccanismo delle detrazioni e che assuma carattere strutturale, guardando finalmente alla famiglia come una “tax unit” a sé stante, dotata di una soggettività giuridica di diritto tributario ulteriore e distinta rispetto a quella dei suoi membri. «Lo scenario di una modifica della tassazione della famiglia dovrebbe essere imperniato sul modello di splitting tedesco, che prevede la sommatoria (cumulo) dei redditi dei coniugi, la divisione per due di tale cumulo (due essendo i coniugi) e l’applicazione sul totale del reddito (suddiviso tra i due coniugi ai fini degli obblighi strumentali) dell’aliquota marginale applicabile al risultato della divisione. In questo modello, il divisore familiare prende il posto della detrazione per il coniuge a carico, mentre vanno mantenute, per importi effettivi, le detrazioni per figli a carico (ove non sostituite da altre misure, come l’Assegno unico) e in ogni caso le deduzioni o detrazioni (in sede di formazione dell’imponibile o di determinazione dell’imposta) delle somme corrispondenti alle spese di tutti i membri della famiglia (coniugi e figli) per spese mediche, farmaceutiche e rette scolastiche dei figli)».
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