Sulla ruota dell'industria farmaceutica in Italia è uscito il 97. Ed è un numero che sbanca nella storia della manifattura italiana. Mai nessun comparto finora era riuscito a esportare in un anno il 97 per cento del fatturato. Un record. Dietro questo exploit – 47,6 miliardi di export su 49 di produzione – c'è anche la pillola antivirale per il Covid prodotta da Pfizer ad Ascoli Piceno.
Il record marchigiano
Nello stabilimento marchigiano – uno dei tre scelti in Europa dalla multinazionale americana per produrre il farmaco – sono usciti 15 milioni di pezzi nel 2022, quest'anno scenderanno, si fa per dire, a dieci milioni. Però sarebbe davvero riduttivo spiegare così il successo dell'industria farmaceutica nazionale. Nell'insieme lo stabilimento marchigiano con quasi dieci miliardi di export (9,5 per la precisione) ha coperto il 20 per cento del totale di farmaci prodotti in Italia che hanno preso le strade del mondo. Non solo. Un altro dato dà forma alla performance: in dieci anni il peso delle imprese del farmaco sul totale del manifatturiero è passato dal 3,9% al 9,3% con un incremento del 176%.
Ed è questo il meccanismo che vale la pena di raccontare.«Un'eccellenza europea tra innovazioni e sfide globali» dice con orgoglio Marcello Cattani, presidente di Farmindustria. Un meccanismo che potremmo definire glocal considerato che il 40 per cento delle aziende sono italiane e il restante 60 per cento estere. Ma ecco gli altri numeri di un successo: 68,6 mila addetti (il 44% donne) con una crescita che sfiora il 10% in cinque anni, dato ancora superiore per i giovani (+16%). Il 90 per cento sono laureati o diplomati.
E ancora: quasi settemila addetti impegnati in ricerca&sviluppo dove, per inciso, finisce più della metà degli investimenti delle aziende: 1,9 miliardi su 3,3 totale. Cifra che corrisponde al 6,8% di quanto l'Italia spende per sviluppare nuovi prodotti. Se ai 68,6 mila addetti diretti si aggiungono fornitori e indotto si arriva a quota 300 mila lavoratori. Con un contributo al Pil nazionale che è attorno al 2 per cento. Il saldo estero positivo per oltre 9 miliardi mostra che l'Italia è un vero hub europeo della farmaceutica, che produce per tutto il mondo.
Una scalata lunga 10 anni
Una crescita cominciata più di 10 anni fa e che di anno in anno si è fatta più forte grazie a un mix che mescola innovazione e tradizione, recuperando il gap con altri Paesi. Così dalle aziende italiane escono farmaci biotecnologici e di sintesi chimica, vaccini e plasmaderivati. «Rispondiamo alla domanda di salute con la nostra innovazione molto diversificata, che usa nuove piattaforme per la ricerca e ha permesso di arrivare al record storico di oltre 20 mila farmaci in sviluppo nel mondo, tra cui molti medicinali e vaccini innovativi» dice ancora Cattani. Con una posizione di primato nel conto terzi: il contract development and manufacturing organization garantisce una produzione di 3,1 miliardi pari al 23 per cento del totale in Europa.
Buoni numeri, eppure c'è spazio per crescere. E voglia. Con due obiettivi. Il primo: ricostruire e mettere in sicurezza filiere strategiche e diminuire la dipendenza di principi attivi e intermedi dall'estero. Il secondo: contrastare la forte concorrenza internazionale anche da parte di Paesi emergenti come Arabia Saudita, Emirati e Singapore pronti a tutto per assicurarsi investimenti farmaceutici. Dice il presidente di Farmindustria: «Con misure a favore degli investimenti nel giro dei prossimi cinque anni si potranno centrare altri obiettivi ambiziosi: contribuire all'incremento del Pil fino all'1% in più rispetto ad adesso e aumentare l'occupazione di ventimila addetti diventando sempre di più protagonisti in Europa».
Pragmatismo di governo
Un ottimismo che si spiega anche con l'attenzione che il governo sembra riservare al settore: «L'approccio pragmatico, basato sul confronto continuo con le rappresentanze delle imprese è particolarmente apprezzabile in un mondo in grande evoluzione che richiede soluzioni rapide e lungimiranti. In gioco ci sono i 1600 miliardi di dollari di investimenti internazionali dell'industria farmaceutica in R&S da oggi fino al 2028 ai quali se ne potrebbero sommare altrettanti in produzione. L'Italia può farcela ad attrarne una quota importante, grazie al valore della sua presenza industriale, agli investimenti all'eccellenza delle risorse umane e alle competenze», sottolinea Cattani.
Già, le competenze. Proprio di recente a Roma è stato inaugurato il primo "Campus pharma academy" dalla Fondazione Its per le nuove tecnologie della vita. Il progetto - avviato nel 2019 - ha l'obiettivo di far acquisire agli studenti le competenze tecniche richieste dall'industria farmaceutica. Ad oggi i corsi sono quattro, gli studenti cento. A formarli manager del settore. «Le nostre aziende - sottolinea Cattani – pretendono eccellenza sia nella ricerca sia nella produzione. Serve dunque competenza. Per questo abbiamo potenziato un modello di collaborazione strategica tra pubblico e privato. Solo attraverso una forte sinergia è possibile individuare i bisogni del settore e pianificare percorsi didattici adeguati».
Ma restano alcuni nodi da sciogliere. «C'è bisogno dell'immediata riduzione del payback e della sua progressiva eliminazione. Perché è una tassa iniqua che pesa sulle aziende da anni per diversi miliardi – conclude il presidente di Farmindustria-. È anche fondamentale e non più differibile la riforma dell'Aifa per avere processi regolatori più veloci, che riconoscano il giusto valore dei farmaci e siano al passo con i tempi e con la complessità della competizione globale. Così come una gestione della spesa compatibile con la sostenibilità della presenza industriale, messa a dura prova dagli aumenti dei costi di tutte le materie prime (+30% rispetto al 2021). E che le aziende non trasferiscono sui prezzi, perché sono negoziati, con una pressione che mette in fortissima difficoltà le aziende farmaceutiche, come ha recentemente sottolineato Banca di Italia nella sua relazione annuale».
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