«Il mercato del lavoro in Italia è malato, pieno di rigidità». Giampaolo Galli, economista con esperienze dal Fondo monetario internazionale a Confindustria, passando per Bankitalia e ora direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell'Università Cattolica (Cpi) è l’interlocutore giusto per fare il punto sul pianeta salari e tutto quanto ruota intorno.

Professore, secondo una recente indagine di Bankitalia sulla ricchezza delle famiglie, i giovani di oggi hanno redditi più bassi non solo rispetto ai più anziani ma anche nei confronti dei loro coetanei di 30-40 anni fa. Come si spiega?

«Di sicuro con un’economia che negli ultimi 30 anni non è cresciuta o lo ha fatto in percentuali minime. Il reddito pro capite è rimasto quello di 20 anni fa. E i giovani pagano il prezzo più alto. Alcuni gruppi sociali come i pensionati sono più protetti. Una delle tante storture dovuto a un mercato del lavoro malato, pieno di rigidità dove dopo i passi avanti con il Jobs act siamo tornati indietro. Rinunciando a un elemento chiave quale la flessibilità. Anche sui salari. Ma anziché incentivare la contrattazione aziendale come è avvenuto in altri Paesi qui si è preferito preservare il contratto unico nazionale, uguale per tutti, da Nord a Sud, indipendentemente dalla produttività».

Quali sono le spie di questo mercato malato?

«Abbiamo il record di lavoratori autonomi, di microaziende e di precari. Il tutto per favorire scappatoie alle regole imposte dallle leggi e dai Ccnl. Così è più facile liberarsi del lavoratore o dell’azienda stessa se le cose vanno male. Il risultato è che è i lavoratori dipendenti full time a tempo indeterminato sono appena 12 milioni su 23 milioni di occupati. Un’altra anomalia tutta italiana».

Insomma un Paese pieno di “false” Partite Iva, cooperative di facciata e lavoro nero. C’è un rimedio?

«Il Pnrr è pieno di riforme che dovrebbero servire a rimettere in moto la macchina inceppata ma va riempito di contenuti. Solo così potremo avere una pubblica amministrazione di qualità, dove i processi si celebrano più rapidamente e la struttura pubblica nell’insieme funziona meglio. Ci aveva provato la riforma Brunetta del 2009, ma poi è rimasta lettera morta. E così anziché far avanzare i meritevoli si va avanti per anzianità. Ma servirebbe applicare il merito anche nel privato. La strada giusta è la contrattazione aziendale che la Germania già applica con profitto. Lì azienda e dipendenti scommettono insieme sapendo che è la base per nuovi investimenti. Da noi invece per le resistenze sindacali restiamo ancorati ai contratti nazionali».

Con quale risultato?

«Che c’è chi trova sempre delle scorciatoie. Per esempio il fuoribusta, ovviamente tutto in nero al dipendente che accetta di impegnarsi di più. Oppure il sistema delle false cooperative, un modo scandaloso di sfruttare le persone. Pagati niente e senza diritti perché soci. Tutti sanno, ma a nessuno conviene sollevare il problema. Se lo fai poi ti trovi a dover affrontare la questione della flessibilità sul lavoro. Meglio preoccuparsi dei pochi lavoratori protetti. Ma così prolifera la giungla dei contratti. Che, in fondo, è un modo, per quanto inefficiente, attraverso il quale il mercato si vendica delle rigidità imposte dal legislatore e ritrova il suo ruolo».

Il salario minimo potrebbe aiutare?

«Io sono favorevole. Molti alti Paesi già ce l’hanno. Si potrebbe fissarlo a livello regionale. Ma c’è da vincere le resistenze del sindacato che crede che il salario minimo toglierebbe peso al contratto di lavoro mentre invece lo rafforzerebbe. Certo non risolverebbe tutto ma aiuterebbe gli ispettori per esempio nell’individuare e reprimere gli abusi. Ma anche le organizzazioni datoriali sono contrarie ragione per cui escludo che il governo se ne possa occupare. Tra l’altro non c’è nel programma».

Secondo Assolavoro nel 2022 c’è stato un boom di occupati tra gli assunti dalle Agenzie interinali: è questa la strada per garantire stipendi degni?

«Credo di sì. D’altronde sui Centri per l’impiego pubblici ho perso ogni speranza. Tutto l’opposto rispetto a quel che accade in altri Paesi dove gli uffici del lavoro fanno quel che si deve fare: prendere il lavoratore, dirgli cosa può fare, formarlo per proporlo alle aziende. Ma da noi ci riescono i privati e i dati di  Assolavoro ne sono la testimonianza».

L'economista Giampaolo Galli, direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici

Qual è l’impatto dell’inflazione sui salari?

«Devastante. Già nel 2022 con un tasso dell’8,7% c’è stata una riduzione del salario molto consistente. Ma a differenza di quel che era accaduto negli anni ’70 per ora i sindacati non hanno rivendicato aumenti perché consci dello shock energetico che le aziende si sono trovate ad affrontare: molte hanno rischiato la chiusura di fronte alle superbollette. Ma l’impatto si fa sentire anche sui dipendenti pubblici. Il miliardo stanziato dal governo per la vacanza contrattuale non copre l’impatto dell’inflazione sugli stipendi di medici, insegnanti, impiegati».

Vede rischi per i conti pubblici?

«Come Osservatorio abbiamo fatto i conti: gran parte della spesa pubblica non è indicizzata all’inflazione. Se lo fosse aumenterebbe di 40 miliardi nel 2023 per raggiungere i 100 nel 2025. Ci sarebbe un effetto devastante sul  deficit. Questo è un fattore di rischio per i conti pubblici. Purtroppo siamo  stretti tra l’incudine e il martello, o si è prudenti sulla finanza pubblica oppure ci si preoccupa degli stipendi dei dipendenti pubblici».

Lei ha sostenuto in un paio di articoli su “Il Foglio” che l’inflazione non è colpa della guerra. I prezzi avevano già preso a salire prima. Dunque la Bce si è mossa in ritardo?

«Il vero errore della Bce e anche della Fed americana è aver considerato per un bel po’ nel 2021 che l’inflazione era temporanea, legata alla rapida ripresa delle attività dopo il post Covid. Così si sono persi mesi importanti per contrastare da subito il rialzo dei prezzi e anche un po’ di autorevolezza da parte delle banche centrali»

Crede fattibile il rientro dell’inflazione al 2% entro il 2025 ipotizzato dalla Bce?

«Queste sono le previsioni. Anche sui titoli indicizzati le aspettative vanno in quella direzione. Io però qualche dubbio lo conservo su una discesa così rapida. Considerato di quanto è salita l’inflazione core».

L'intervento di Giampaolo Galli al seminario sul merito