Gli ESG fanno bene alle imprese. Gli ESG fanno bene alla finanza. Degli ESG, ormai, si parla ovunque: a proposito e, spesso, anche a sproposito. Come si sta muovendo Bruxelles per dare indicazioni normative che siano utili a limitare gli eccessi e gli abusi della ormai (quasi) magica sigla? E in che modo, soprattutto, questi interventi potranno aiutare una crescita anche culturale sull’argomento?
Intanto, ricapitoliamo: l’acronimo ESG richiama i termini environmental, social e governance. E si riferisce ai tre parametri fondamentali che regolano la valutazione di un’attività al di fuori del contesto economico/fiscale e che dovrebbero essere tenuti in considerazione da ogni organizzazione che si definisca sostenibile. In altre parole, impostare un’attività secondo i criteri ESG richiede di tenere conto di tutta una serie di aspetti non immediatamente economici (ossia impatto ambientale, capitale umano su cui l’attività ha un qualunque impatto e trasparenza della governance di riferimento) al fine di perseguire un traguardo di sostenibilità intesa come un equilibrio complessivo e sistemico tra tutti i fattori. Analogamente, questo accade in finanza, dove l’acronimo indica che l’investimento è orientato a sostenere progetti o aziende che a questi criteri si ispirano.
Una E ipertrofica
Uno dei massimi esperti in materia di sostenibilità e impact economy, il professor Mario Calderini del Politecnico di Milano, ha più volte osservato come l’attenzione delle organizzazioni, delle imprese, dei mercati finanziari o degli organi legislativi appare incentrata particolarmente sulla E (environmental). Quindi, sui pur fondamentali aspetti climatici e ambientali (forse più facili da misurare e meno contrapposti al profitto), «sbarazzandosi di tutto ciò che ha a che fare con disuguaglianze, esclusione e povertà», ossia non rappresentando, con riferimento alla S (social), «gli aspetti più strutturali e sistemici legati alle disuguaglianze territoriali, gli effetti redistributivi, le nuove povertà o la mobilità sociale». Insomma, se abbiamo iniziato a preoccuparci (giustamente) per il clima, al contrario l’inclusione, l’uguaglianza e i diritti umani continuano a non essere sufficientemente oggetto di attenzione e di valutazione.
La risoluzione del Parlamento europeo
Bisogna ricordare con favore (ma anche monitorare con molta attenzione…) il fatto che il 10 marzo 2021 il Parlamento europeo ha emanato una risoluzione con la quale ha proposto un testo di direttiva in allegato alla risoluzione stessa «relativa alla dovuta diligenza e responsabilità delle imprese» quotate e non quotate ad alto rischio. La proposta ha lo scopo di fare in modo che le imprese rispettino i diritti umani, l’ambiente e la buona governance nelle loro attività e nella catena di fornitura, onde evitare impatti negativi proprio con riferimento ai tre parametri ESG, di cui sarebbero pertanto pienamente responsabili.
Ferma restando la necessaria attuazione da parte dei singoli Stati membri della direttiva una volta che sarà emanata (dunque, la strada è ancora lunga), le imprese dovrebbero acquisire metodologie di monitoraggio del rischio con successiva pubblicazione di una strategia di dovuta diligenza (soggetta a revisione) e valutazione del rischio. Dovranno quindi chiarire gli impatti negativi e la catena del valore e adottare tutte le politiche necessarie per minimizzare i predetti rischi. La proposta di direttiva prevede poi meccanismi di riparazione degli impatti negativi, di piani d’azione, vigilanza e indagini.
La “Legge sul clima” dell’Unione Europea
È più recente il Regolamento 1119 del 30 giugno 2021 (cd. Climate Act europeo) entrato in vigore il 29 luglio 2021, definito in occasione della sua emanazione “la legge europea sul clima”. Il provvedimento istituisce un quadro per «la riduzione irreversibile e graduale delle emissioni antropogeniche di gas a effetto serra dalle fonti e l’aumento degli assorbimenti dai pozzi regolamentati nel diritto dell’Unione» (art. 1), con «l’obiettivo vincolante della neutralità climatica nell’Unione entro il 2050» (art. 1). E un traguardo intermedio vincolante al 2030 di «una riduzione interna netta delle emissioni di gas a effetto serra (emissioni al netto degli assorbimenti) di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990» (art. 4). Gli Stati membri sono tenuti ad adottare piani nazionali; entro il 30 luglio 2022 la Commissione adotterà orientamenti con principi e pratiche comuni (art. 5) e entro il 30 settembre 2023 (e poi ogni cinque anni) valuterà i progressi degli stati e le misure nazionali (artt. 6 e 7); in caso di inadeguatezza potrà formulare raccomandazioni (art. 7).
ESG e mercati finanziari
Il 6 febbraio 2020, invece, l’Autorità Europea della Finanza e dei Mercati (ESMA) era intervenuta sul tema della finanza sostenibile chiarendo l’intenzione di porre la sostenibilità al centro delle sue attività e in particolare facendo riferimento ai fattori ESG. Steven Maijoor, president dell’ESMA, aveva chiarito che «The financial markets are at a point of change with investor preferences shifting towards green and socially responsible products, and with sustainability factors increasingly affecting the risks, returns and value of investments. ESMA, with its overview of the entire investment chain, is in a unique position to support the growth of sustainable finance».
Da un punto di vista normativo, sull’argomento, va citato il Regolamento 2088 del 27 novembre 2019 entrato in vigore il 10 marzo 2021. È relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari. L’obiettivo, in questo caso, è consentire agli investitori finali di effettuare investimenti consapevoli e orientati al rispetto della sostenibilità, ossia che possano tenere conto degli eventuali “rischi di sostenibilità” intesi come eventi o condizioni di tipo ambientale, sociale o di governance che, se si verificano, possono avere un impatto negativo sul valore dell’investimento. Il Regolamento 2088 è stato in parte modificato dal Regolamento 852/2020 che ha introdotto criteri per l’individuazione di attività ecosostenibili.
Che cos’è l’investimento sostenibile?
Il citato Regolamento 2088 ha sancito la valenza duplice (ambientale e sociale) del concetto di sostenibilità vista all’inizio fornendo una duplice definizione di investimento sostenibile. Da una parte, quello che contribuisce a un obiettivo ambientale collegato a indicatori come l’impiego di energie rinnovabili, le modalità di utilizzo di materie prime, di risorse idriche, del suolo, la produzione di rifiuti, le emissioni di gas a effetto serra. Dall’altra, quello che contribuisce a un obiettivo sociale quale la lotta alla disuguaglianza, la promozione della coesione sociale e dell’integrazione sociale o che implica il sostegno al capitale umano o a comunità economicamente o socialmente svantaggiate. Si può vedere, in tal senso, la definizione n. 17 dell’art. 2 che prevede anche la condizione che le imprese che beneficiano di tali investimenti «rispettino prassi di buona governance, in particolare per quanto riguarda strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione del personale e rispetto degli obblighi fiscali».
Tra parametri e nuovi regolamenti
Per completare il quadro, va ricordato ancora il Regolamento 2089/2019 che modifica il Regolamento 2016/1011 per quanto riguarda gli indici di riferimento UE di transizione climatica, gli indici di riferimento UE allineati con l’accordo di Parigi e le comunicazioni relative alla sostenibilità per gli indici di riferimento.
Il 21 aprile del 2021, infine, sono stati approvati i Regolamenti nn. 1253, 1255, 1256, 1257 che si applicheranno dal 2 agosto 2022 e le Direttive nn. 1269 e 1270 da recepire tra luglio e agosto 2022. Attengono all’integrazione dei fattori di sostenibilità e alla identificazione dei rischi di sostenibilità e delle preferenze di sostenibilità di cui tenere conto per gli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari, in taluni requisiti organizzativi e condizioni di esercizio delle attività delle imprese di investimento e di gestione dei fondi di investimento, nella governance delle imprese di assicurazione e di riassicurazione nonché nelle norme di comportamento e nella consulenza in materia di investimenti per i prodotti di investimento assicurativi.
Il cammino di regolazione normativa sugli ESG, va da sé, risulterà ancora lungo e complesso. Ma proprio perché – in qualche modo – riguarda il futuro delle prossime generazioni e l’impostazione delle imprese e della finanza, va seguito e monitorato con grande attenzione.
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