L’agricoltura è stata per secoli – e lo è ancora, se si eccettuano gli anni più recenti – la Cenerentola degli studi di economia.

Non era così per Adam Smith e David Ricardo, due “padri fondatori” della disciplina: il concetto di “margine”, introdotto da quest’ultimo e punto base dell’analisi microeconomica, si riferiva in origine ai terreni fisicamente “ai margini” di quelli coltivati: metterli a coltivazione poteva essere conveniente e o non conveniente a seconda del prezzo di mercato in quel momento.

Il brutto risveglio

Ebbene, l’agricoltura oggi è tornata al centro della scena economica mondiale. È stato un brutto risveglio per molti operatori del settore il dover constatare che la guerra russo-ucraina aveva largamente ridotto l’offerta internazionale di grano e mais, il cui prezzo ha fatto un balzo senza precedenti sui mercati mondiali. Nella parte Sud del bacino del Mediterraneo, grandi clienti del grano ucraino, come il Libano e l’Egitto si trovarono in difficoltà e in un quadro di forte tensione sociale e politica: il fattore geopolitico aveva influenzato l’agricoltura e ora il fattore agricolo influenzava, a sua volta, la geopolitica.

Risultato: l’inflazione di oggi, sperimentata pressoché in tutto il mondo, ha una componente, sia pure secondaria, ma certo non trascurabile, che non si può curare a colpi di rialzi del costo del denaro, ma evitando di sparare colpi di cannone sulle grandi rotte, marittime e terrestri, lungo le quali si muovono i prodotti agricoli.

Il climate change

Purtroppo, però, non è sufficiente smettere di sparare. Una terza forza è entrata in gioco da almeno un paio di decenni in questo mondo tormentato: si tratta del mutamento climatico, ossia del riscaldamento globale dovuto in buona parte (secondo alcuni, totalmente) all’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera. Non solo: se l’aumento continua al ritmo attuale, potremmo essere al “punto di non ritorno” di qui a pochissimi anni e doverci preparare all’innalzamento del livello dei mari e allo scioglimento dei ghiacci polari.

Naturalmente, questo riscaldamento, per lo più accompagnato da tempeste e inondazioni, non fa bene all’agricoltura. Il raccolto di quest’anno del riso italiano – concentrato tra il “basso Piemonte” e una parte della “bassa Lombardia” – si è rivelato molto inferiore alle previsioni per la mancanza di piogge primaverili, mentre quello dei frutti estivi, come le albicocche, è risultato compromesso a causa delle eccessive piogge successive, con relative alluvioni e frane che, hanno devastato l’Emilia – e soprattutto la Romagna - , infliggendo danni di lungo periodo a quell’agricoltura, e soprattutto alla produzione di frutta, e introducendo un’altra tendenza al rialzo ai prezzi del “paniere della spesa”.

 

Quello che è successo da noi è poca cosa rispetto all’aumento della siccità in Africa, che ha costretto all’emigrazione decine di milioni di famiglie verso le periferie delle grandi città di quel continente (nonostante quanto normalmente si pensa, solo un 20-30 per cento dell’emigrazione africana è rivolto all’Europa).

Le origini dell'inquinamento

C’è però un ulteriore elemento da prendere in considerazione: l’agricoltura non è soltanto vittima di questi cambiamenti, in parte non piccola li provoca. Basti pensare che, nei Paesi Bassi, 17 milioni di persone convivono con oltre 100 milioni di polli, 12 milioni di maiali, 4 milioni di mucche; in Australia, la popolazione bovina supera quella umana del 40 per cento. Le emissioni di questi animali sono un’importante fonte dell’inquinamento dell’atmosfera e non è un caso che nei Paesi Bassi e in Australia ci sia un forte movimento politico contrario a ridurre questo tipo di inquinamento.

I lettori si renderanno conto del perché l’economia “verde”, pur avendo “conquistato” fasce importanti dell’opinione pubblica, trovi anche accanite fasce di opposizione. E anche la proposta della “carne vegetale” (definizione infelice per una “base alimentare” che potrebbe anche non avere colore, forma e gusto di carne, è a base di legumi e ha come unica caratteristica importante quella di contenere proteine in quantità simile a quella della carne “naturale”) non susciti l’entusiasmo collettivo, anzi; in Italia si sta lavorando a un progetto di legge per bandirla e mettere fuori legge anche la ricerca scientifica del settore.

In definitiva, si può concludere che – purtroppo, forse – l’agricoltura del pianeta è uscita dalla soffitta. Al di là delle buone intenzioni e delle buone parole, proprio dall’agricoltura parte un sentiero difficile lungo il quale è indispensabile muoversi per recuperare gli equilibri di base del pianeta Terra.

Si ragionerà di questi temi, proprio sotto la guida dell'economista Mario Deaglio, lunedì 20 novembre al Circolo dei lettori di Torino con inizio alle 18. Si tratta del primo appuntamento che porterà alla seconda edizione del Festival internazionale dell'Agricoltura, ColtivaTo2025.