“Cambiamenti nel mondo del lavoro” è il titolo del dialogo tra Elsa Fornero, economista, ex ministra del Lavoro nel governo Monti e Roberto Moncalvo, imprenditore agricolo e presidente di Coldiretti Piemonte dopo aver guidato la più importante associazione di agricoltori a livello nazionale. L’incontro – in programma domenica 2 aprile alle 10 nella sala Codici del museo del Risorgimento – fa parte del calendario di “ColtivaTo” il primo festival internazionale dell’agricoltura che per tre giorni nel fine settimana a cavallo tra marzo e aprile punta a raccontare la ricerca che esiste dietro l’agricoltura.

Presidente, come sta l’agricoltura italiana?

«Resiste, nonostante le emergenze, prima fra tutte il cambiamento climatico che ci sta mettendo a dura prova. Mai dieci anni fa, quando si iniziava a parlarne, avremmo potuto immaginare un mutamento di scena così improvviso, rapido e intenso, con regioni come il Piemonte da sempre ricche d’acqua trasformate nell’epicentro della siccità. Ma l’agricoltura resiste dopo vent’anni passati a riorganizzarsi, a cambiare pelle. Grazie a innovazione, scienza e tecnologia: tre ingredienti del festival torinese. La prova di questa resilienza è in due numeri: in Italia negli ultimi dieci anni i giovani imprenditori agricoli sono aumentati del 4 per cento mentre nel resto dell’Europa in media sono calati del 20 per cento».

Come spiega questa controtendenza?

«Senza dubbio un ruolo chiave lo hanno avuto i nostri coltivatori diretti, capaci di una resistenza maggiore rispetto ad altre zone del vecchio continente, anche grazie ai risultati ottenuti sul fronte normativo e fiscale. Hanno saputo combattere e non arrendersi nei momenti più difficili».

C’è una parola chiave che riassuma la metamorfosi dell’agricoltura italiana?

«Direi multifunzionalità. L’aver saputo ricavare dall’attività primaria beni e servizi secondari che hanno davvero cambiato pelle all’azienda agricola. Che oggi non è più soltanto un posto dove si semina, si munge o si vendemmia. Ma dove il prodotto si trasforma e si commercializza. Ecco allora che ai lavoratori tradizionali si sono affiancate figure nuove, con altre competenze: da chi sa usare le tecnologie dell’industria 4.0 a chi sa gestire con redditività la parte turistica di una cascina. Le faccio un esempio: la rete dei mercati di “Campagna amica”, per la vendita diretta dei prodotti delle cascine, lanciata da Coldiretti conta più di mille mercati in giro per l’Italia e fattura 4 miliardi l’anno, quanto un’azienda della media distribuzione. E oggi con i progetti di filiera le industrie più lungimiranti investono sul vero Made in Italy, costruendo rapporti più solidi con i produttori, con la garanzia di un giusto prezzo riconosciuto alle nostre imprese»

Roberto Moncalvo, imprenditore agricolo è stato presidente di Coldiretti nazionale e ora guida l'associazione piemontese

Senza dimenticare l’aspetto sociale, vero?

«Questa è forse una delle cose che ci inorgoglisce di più. Con iniziative come l’agriasilo, le fattorie didattiche, i servizi per gli anziani nove mila aziende agricole in Italia sono diventate un presidio sociale, un luogo di protezione per chi è più fragile. E in questo progetto includo anche le persone diversamente abili, che nelle cascine possono trovare una dimensione tale da rassicurare le famiglie, anche i genitori sul “dopo di noi»

Qual è il ruolo dei giovani nella nuova agricoltura?

«Decisivo. Anche nei numeri. In questi anni gli iscritti agli istituti di agraria sono cresciuti costantemente, indenni a qualsiasi moda, segno che lavorare nei campi magari in modo diverso, con ruoli e compiti nuovi affascina. Anche se poi non è facile avviare un’azienda. Ci vuole la terra, ci vogliono i mezzi. E si può rischiare di fallire. Ma con il ricambio generazionale emerge un’agricoltura più forte, dove ci sono aziende più strutturate e con più addetti. E dove soprattutto si lavora sempre di più a progetti di filiera, mettendo insieme chi produce, chi trasforma e chi distribuisce. Che è la strada giusta per valorizzare di più il prodotto e dunque il lavoro»

Quali le note dolenti?

«La prima l’ho già accennata, gli effetti del cambiamento climatico. L’agricoltura è una sorta di avamposto, esposta senza difese: i nostri terreni sono a cielo aperto, senza un tetto che li protegga come accade alle altre aziende. Poi c’è la fauna selvatica che sta creando danni sempre più ingenti al settore, con interventi insufficienti delle istituzioni. E, ancora, i prezzi bassi per molte filiere. Mentre abbiamo esperienze innovative ad esempio sul latte in Piemonte, con il prezzo indicizzato nel progetto di filiera Coldiretti Inalpi e Ferrero, su molti altri prodotti siamo ancora indietro. Sopravvivono retaggi medievali, a danno delle imprese agricole. La frutta in Piemonte da anni vede riconosciuto un prezzo che è più basso dei costi di produzione, con tempi di pagamento superiori ai 12 mesi. E’ questo è fuorilegge. Ma bisogna che si applichi il decreto legislativo sulle pratiche commerciali sleali, impedendo l’acquisto di prodotti agricoli a prezzi inferiori rispetto ai costi medi di produzione pubblicati da Ismea».

Sulla siccità cosa vi aspettate dal governo?

«Che dia spazio a iniziative concrete in tempi rapidi. Per esempio al piano invasi che Coldiretti ha presentato già dal 2017 con Anbi, l’associazione dei consorzi irrigui. Progetti che possono diventare subito cantieri per invasi sostenibili, moderni, sicuri, facilmente integrabili nel contesto ambientale. Per sfruttare la raccolta dell’acqua piovana dove siamo davvero indietro. L’Italia ne raccoglie l’11 per cento, la Spagna il 35».

Che ne pensa di un commissario per l’emergenza?

«Ci sembra una idea giusta per fronteggiare soprattutto un’estate che si preannuncia difficile. Ecco perché serve qualcuno che imponga regole, decida come quando e a chi va la poca acqua che ci sarà, ricordando la priorità idropotabile, agricola e in subordine energetica. Ma bisogna uscire fuori dalle secche della burocrazia ordinaria. Per questo mi auguro che il commissario possa agire con poteri altrettanto speciali, anche nel campo della programmazione e delle nuove infrastrutture necessarie. Che insomma si riesca dare il via ai cantieri in tempi celeri. Come è accaduto a Genova per la ricostruzione del ponte Morandi»