Pensate a un settore nel quale gli investimenti siano notevoli, la durata dei prodotti si accorci, i clienti siano esigenti e reclamino contenuti e qualità senza offrire fedeltà e la concorrenza sia implacabilmente in aumento. La domanda è: può mai un settore come questo essere più redditizio della media? No, e infatti secondo uno studio della NY Stearn School of business i ROE (return on equity) medi dei costruttori di auto (negli Usa) sono del 9% e quelli dei componentisti del 5%, mentre la media del mercato è al 15%, con il settore del software al 22% e  quello dei semiconduttori al 33% (dati aggiornati a gennaio 2024).

Che l’auto fosse un settore a bassa redditività ed alta richiesta di capitale lo hanno sempre saputo gli azionisti delle diverse case, che non a caso hanno cercato sponde e spalle in Governi nazionali e locali, banche sistemiche, fondi pensione di categoria. L’auto in passato è stato un settore invitante quando si potevano comprare complessi a prezzo di bancarotta per ristrutturarli. Ma non ideale per investimenti ripetuti. Oggi è un settore invitante per chi punta ad arrivare primo sulle nuove tecnologie (dall’elettrificazione all’auto autonoma), sempre sperando che il cliente voglia comprare e pagare per tutto ciò.

L’Europa ha rappresentato a lungo il secondo mercato del mondo per la vendita di automobili, e la sua industria è emersa per importanza subito dopo quella americana nel secolo scorso. E' stato un mercato ricco ed ambito anche per il numero dei clienti degli autosaloni. In Europa il tasso di motorizzazione (auto per 1000 abitanti) ha superato il valore di 700 (con gli Usa a 850 e la Cina a 310). Negli anni ottanta il mercato europeo è stato preso di mira dalle case giapponesi e coreane, per queste caratteristiche, che volevano trovare uno sbocco per le loro industrie che andavano internazionalizzandosi.
La cosa ha creato più di qualche grattacapo ai produttori europei, generando crisi ricorrenti degli stessi, e non solo in Italia. Gli incumbent europei sono sempre stati troppi (negli Usa erano tre, e uno ripetutamente in bilico per fallire), figurarsi se fossero arrivati altri costruttori. Ma proprio l’industria europea frammentata e protetta aveva prezzi delle auto gonfi rispetto a quelli internazionali e finì per attrarre i concorrenti globali come mosche sul miele quando si aprirono i varchi del Mercato Unico Europeo. Giapponesi e Coreani vennero a produrre in Europa. Furono salutati con amicizia dai componentisti, ma guardati in cagnesco dai costruttori.

I produttori europei cercarono di resistere sul mercato interno, ma la perdita di quote di mercato fu inevitabile. Quindi si lanciarono anche essi alla ricerca di sbocchi esterni. L’industria francese si dedicò prevalentemente all’Africa, al Medio Oriente e alla Russia. Quella italiana al Sudamerica, alla Turchia e alla Polonia e poi, con la fusione di FCA si espanse in Nord America. Si trattava di un continente simile a quello europeo, ma con margini più risicati e che quindi richiedeva modelli premium o economie di scala. Ad ogni modo, Chrysler volò a nozze con Daimler, ma la combinazione non funzionò. Quella successiva con Fiat andò bene. E i tedeschi? I costruttori tedeschi in un primo tempo sbarcarono negli Usa con i loro modelli premium, e siccome furono graditi iniziarono a costruirli in loco. Non evitarono però di subire l’umiliazione del dieselgate. Successivamente, affamati di volumi (l’industria dell’auto è sempre alla ricerca di volumi da produrre), i tedeschi considerarono il nascente mercato cinese come ispirazione per le loro vendite, decidendosi infine a produrre in Cina buona parte delle auto per il mercato cinese, realizzando così un gigantesco imprudente trasferimento di know-how.

A comprendere la crisi attuale dell’auto europea servono queste premesse, perché la crisi è la conseguenza di tre dinamiche, tutte in concorso a determinare l’esito non scontato delle difficoltà di oggi. Difficoltà che, lo rammentiamo, determinano la chiusura di stabilimenti Volkswagen, con impatti sui lavoratori ancora da decidere, il taglio di 4000 addetti di Ford in Europa, di 14000 di ZF in Germania e così via. La somma dei tagli potenziali supera, compreso l’indotto, le 70 mila unità, e potrebbe essere solo l’inizio.

La prima questione è la letargia del mercato europeo

Troppo facile imputare tutto alle costose BEV, le auto elettriche, accusate di costare anche il 50 per cento in più di un equivalente modello termico. Non si vendono più bene nemmeno le auto termiche, quanto meno non si vendono come prima. Lo spartiacque è stata la pandemia del 2020. Terminata la pandemia è cambiato qualcosa, perché tutti i settori sono tornati ai volumi di vendite precedenti, inclusi quelli dei viaggi, ma non la vendita di automobili (Figura 1). Prima della pandemia il regime di vendite era di oltre un milione al mese, adesso siamo intorno a 750 mila. E’ come se fosse evaporato un quarto delle vendite. Le cause sono le più varie, ma pesano soprattutto i cambiamenti della domanda di mobilità individuale a scapito dell'auto, il cui uso è collegato alla storia del boom economico. Oggi l'uso individuale dell'auto è scoraggiato dalle autorità per motivi di congestione e ambientali, e anche per ammortizzare le infrastrutture. All'inizio dell'era automobilistica, poche città europee avevano una metropolitana. Oggi, 198 città nel mondo ne possiedono una. Negli ultimi venti anni, sono stati costruiti 2000 km di metropolitane, eliminando circa 200.000 auto dalle strade ogni anno. A questo si aggiunge il fattore generazionale. Il 66 per cento della generazione Z ama il car sharing o il car pooling, contro il 33 per cento dei boomer. Nel 2022 sono state costruite in Europa 15 milioni di biciclette, e 5 milioni di queste erano elettriche, ossia idonee al traffico urbano. L’industria punta al raddoppio entro il 2030, anno nel quale le bici elettriche vendute potrebbero perfino superare le automobili.

Figura 1 – Autovetture vendute mensilmente in Europa

Elaborazione Mondo Economico

La seconda dinamica è quella cinese

Le auto in Cina si vendono sempre meglio, e la motorizzazione potrebbe salire dalle attuali 310 a 600 autovetture per 1000 abitanti entro il 2050. Il mercato interno (figura 2) è così florido che molte imprese di auto cinesi sono nate, prosperando grazie all’ingente patrimonio di conoscenze portato dagli europei, grazie a una generosa politica di sussidi statali e grazie alla precoce intuizione di elettrificare i modelli, anticipando quella che è diventata una scelta europea obbligatoria, e tuttavia avvenuta senza che nessuna impresa europea avesse una leadership di mercato nelle Bev (oggi è contesa tra la americana Tesla e la cinese BYD) e neppure un vantaggio tecnologico o di proprietà sulle materie prime.
Il crollo della speranza europea nelle batterie, Northvolt, che era stato finanziato fino a 13 miliardi di dollari, è stato dovuto al fatto che i costruttori di batterie cinesi (che vendono il 75% delle batterie usate dagli europei), hanno continuato anno dopo anno a ridurre il costo per kWh delle batterie, grazie alla loro esperienza e alle loro materie prime. Quando Northvolt nacque, nel 2015, 1 kWh di batterie costava sul mercato 463 dollari, oggi costa 115 e un pacco da 75kWh è sceso a circa 8.000 dollari. Gli europei non sono riusciti a battere queste cifre. La conseguenza di ciò è che la Cina è diventata il primo produttore mondiale di automobili e leader in quelle ibride o completamente elettriche. Tanto da contendere a Tesla il primo posto. In Europa le auto cinesi hanno conquistato il 3 per cento del mercato in 5 anni, e c’è da pensare che il processo non sia finito, soprattutto se molte di queste case verranno a produrre in Europa, come fecero i Coreani e i Giapponesi. In definitiva, nel settore è cruciale produrre, indipendentemente da dove, perché i volumi abbattono i costi medi e il mercato europeo è un target facile. Gli europei non si possono permettere i dazi del 100% degli americani, semplicemente perché non hanno la stessa autonomia tecnologica dai cinesi.

Figura 2 – Vendite di auto in Cina, in Milioni, per anno.

Elaborazione Mondo Economico

Terza questione, la accessibilità del prezzo delle auto

Non si tratta di un argomento da poco. L’inflazione ha colpito le automobili più che il paniere medio dei consumi. E non parliamo dei prezzi delle auto elettriche. Abbiamo preso il prezzo di un modello europeo, termico, di segmento C dalla lunga vita, e l’abbiamo seguito dal 2010 al 2024. In 14 anni il prezzo di questo modello, peraltro oggi meno richiesto di allora, è aumentato del 59 per cento. L’inflazione generale nello stesso periodo è stata del 32 per cento e le retribuzioni italiane sono salite del 22 per cento. Acquistare una Tesla 3 invece del benchmark C a motore termico, costerebbe il 91 per cento in più del benchmark C nel 2010. Nonostante, come si vede, la discesa di prezzo delle autovetture Tesla, in parallelo all’aumento dei volumi e del calo del costo della tecnologia elettrica, l’automobile è meno accessibile, per il consumatore medio italiano, rispetto a 14 anni fa e questo è il dato di fatto. Questo giustifica allungare la vita utile delle auto in circolazione, comprare pochi modelli elettrici, e anche in generale formulare una domanda di modelli accessibili, che sono quelli offerti dall’industria cinese.

Figura 3

Numeri indice (base 2010=1) della inflazione generale Ipca in Italia, delle retribuzioni in Italia, del prezzo di vendita di una auto di segmento C benchmark, del prezzo di acquisto di una Tesla. Per quest’ultima, il prezzo è espresso in multiplo del valore di un’auto C del 2010. Elaborazione Mondo Economico

Per concludere, l’industria dell’auto europea difficilmente riuscirà ad eludere la tempesta perfetta che si è generata e che non è solo dovuta ai regolatori, i quali hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo, obbligando alla adozione di una tecnologia costosa, non pienamente matura, nella quale l’Europa non poteva esprimere alcun vantaggio. Anche se si tornasse a considerare l’opzione della neutralità tecnologica per decarbonizzare la mobilità, la domanda è cambiata, i volumi sono cambiati e questi cambiamenti sono strutturali. Inoltre la domanda di prodotti accessibili non è stata ascoltata dai produttori europei.

Per evitare i tagli nel settore non basta fare marcia indietro almeno sulle multe del 2025. Quello sarà il minimo. Bisogna mettere in cantiere politiche per aumentare i volumi delle vendite, anche se questo costerà ai produttori la compressione dei margini. Non sarebbe la prima volta nel settore. Anzi, per la verità, nell’auto è sempre accaduto così.