Ci siamo ritrovati tutti a fare i conti con la pandemia nella nostra abitazione, molti di noi nella nostra città. Ed entro questi confini si è iniziato a considerare quali presupposti degli attuali insediamenti urbani andrebbero rivisti. Uno dei concetti che dalla scorsa estate rimbalza tra dibattiti politici e riviste di addetti ai lavori e non è quello della “15 minute-city”.
Il concetto alla base di questa idea di città è che ognuno dovrebbe avere accesso ai servizi essenziali attraverso una passeggiata o una pedalata di massimo quindici minuti da casa. Con accesso ai servizi si intende la vicinanza di negozi, ma anche di spazi verdi, di servizi educativi e assistenza sanitaria, luoghi per praticare sport e organizzare attività culturali.
Lo scenario post pandemia
Questo desiderio di prossimità è stato motivato prima di tutto da ragioni ambientali, di sicurezza e dalla necessità di cambiare stile di vita. Viviamo in città congestionate, rumorose, con blocchi auto sempre più frequenti per cercare di far fronte a un’aria irrespirabile. I progettisti e gli urbanisti sostenitori dell’idea hanno edificato le loro riflessioni sulla critica alla città moderna, accusata di aver fornito solo apparentemente comodità e accelerazione nei servizi. Dover percorrere lunghi tragitti per raggiungere i centri commerciali, emblema del risparmio di tempo, o aver abbandonato interi quartieri residenziali privi di alcun diversivo, sono i controsensi della città come siamo abituati a vederla oggi e su cui punta il dito questo gruppo di studiosi.
Con la crisi sanitaria che stiamo attraversando, il concetto della “città dei quindici minuti” ha trovato un’ulteriore motivazione per farsi concreto, proponendosi come soluzione all’esigenza di limitare gli spostamenti e rendere i quartieri più vivibili.
Indubbiamente, questo periodo di prolungate chiusure e ingegnose trovate casalinghe ci ha portati a rivedere le priorità degli spostamenti e svolgere da casa o nelle vicinanze parte delle attività per cui prima era imperativo allontanarsi. Gli spazi di coworking che già stavamo vedendo nascere potrebbero moltiplicarsi.
Il primo passo dell’auspicata rivoluzione urbana sta proprio nel ripensare agli spazi comuni, ampliandoli, reinventandoli e creandone di nuovi. L’essenza dell’agglomerazione urbana, da restituire dove si fosse persa, sta nel favorire le comunicazioni, l’incontro tra domanda e offerta e alimentare la creatività.
Un volano per l'economia locale
E se la 15-minute city fosse più che un modo per superare la disfunzione delle città moderne?
Se venisse implementata in modo ragionato e sistematico come strategia per rilanciare l’economia locale e valorizzare il territorio?
Suona paradossale dopo aver visto tante serrande abbassarsi durante le tragiche settimane della pandemia. Eppure, oltre che aiuti per tamponare i mancati introiti, ai commercianti spetterebbero agevolazioni per ripopolare vie semideserte, per insediarsi in zone periferiche della città e offrire servizi attualmente non garantiti. La città, inoltre, può essere motore per il territorio circostante. Disseminare i quartieri di punti vendita in cui ritirare prodotti a Km 0, per esempio, favorirebbe la filiera corta e faciliterebbe i cittadini a rifornirsi di prodotti locali. Investire nella città è un modo per infondere forza al territorio dando vita a molteplici connessioni positive e processi generativi.
Diverse città hanno intrapreso la riprogettazione urbana cavalcando l’onda della “città dei quindici minuti”, Parigi in testa. Con il secondo mandato del sindaco Anne Hidalgo e la guida del professor Carlos Moreno (docente all’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne e pioniere nel teorizzare la 15-minute city) la ville lumière inizia a prendere la forma della ville du quart d’heure. La strategia adottata dal primo cittadino francese ha una regola d’oro: destinare a molteplici usi ogni metro quadro già costruito. I primi interventi, per esempio, si sono concretizzati rendendo le scuole il cuore pulsante del quartiere, i cui cortili in orario extra scolastico si trasformano in parchi pubblici dove organizzare attività per la cittadinanza di ogni fascia di età.
Un percorso praticabile
Il concetto è indubbiamente alla portata delle città italiane. Milano, consapevole di dover far fronte a una riorganizzazione post-Covid, ha prontamente dichiarato di voler ripensare lo sviluppo urbano secondo il parametro della distanza percorribile a piedi o in bicicletta. Già nel documento “Milano 2020. Strategia di Adattamento”, elaborato in previsione della fase 2 della pandemia, si fa cenno alla “città dei quindici minuti”. Un intero capitolo del progetto FareMilano (format lanciato per immaginare il futuro della città in maniera partecipata), intitolato “La Metropoli dei Quartieri”, è dedicato al recupero di aree e edifici in disuso o sottoutilizzati, alla creazione di luoghi ibridi che favoriscano il lavoro da remoto e la socialità, e alla accessibilità dei servizi tramite trasporto pubblico metropolitano e rete capillare di piste ciclabili.
Milano non è la sola città chiamata alle urne in questa primavera. Come ricordava Marco Cantamessa su Mondo Economico lo scorso novembre, altri candidati sindaci di città chiave italiane avranno l’opportunità di confrontarsi sulla riprogettazione urbana, tema che è stato alla base della campagna elettorale di Hidalgo e si è dimostrato vincente in una delle maggiori capitali europee.
La strategia potrebbe essere replicata.
È necessario partire da un’attenta diagnosi quartiere per quartiere per capire quali e quanti siano i servizi presenti, gli spazi riconvertibili, con l’obiettivo di massimizzare l’uso delle risorse esistenti e rafforzare la rete commerciale di vicinato.
La «democratizzazione» della città
Rendere la città un insieme di quartieri connessi ma autosufficienti vuol dire anche omogeneizzare i suoi quartieri contribuendo alla riduzione delle disuguaglianze sociali e della disparità di accesso ai servizi. È un processo di “democratizzazione” della città.
Avere quello che quotidianamente serve a una manciata di minuti oltrepassata la soglia di casa è un modo per rendere la vita in città più piacevole e flessibile, non certo per imporre vincoli. L’uomo per natura cerca di trascendere i limiti, a partire da quelli fisici. Ampliare gli orizzonti e le possibilità di incontro, raggiungere mete lontane sulle rotaie dell’alta velocità, sono frutto dell’irrinunciabile progresso umano e tecnologico che non si intende ostacolare. Questo modello di città invita a ripensare agli spostamenti non indispensabili per giovare invece della vicinanza spaziale e temporale guadagnando (e vivendo) più tempo di qualità.
Scommettiamo sui commercianti dando fiducia a loro e ai cittadini che hanno voglia di vivere il proprio quartiere.
E creiamo le due parole d’ordine della nuova città: policentrica e polifunzionale.
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