L’indice di riproducibilità a livello nazionale continua il suo costante rallentamento iniziato il 26 febbraio per attestarsi, sui dati di ieri 24 marzo, a 0,92 (0,86 - 1,00), sfiorando il valore critico di 1 solo nella parte alta dell’intervallo di confidenza.
Analogo comportamento per il dato piemontese che si conferma stabilmente a 1,02 (0,92 - 1,12).
Questi sono numeri da zona gialla. Leggiamo invece (su La Stampa) che il Presidente del Consiglio Mario Draghi ipotizza il mantenimento delle zone rosse dopo Pasqua, aprendo, con il Ministro dell’Istruzione (Orizzontescuola) ad una ipotesi la riapertura delle scuole fino alla prima media.
E mentre siamo costantemente sottoposti a questo turbine di ipotesi, opinioni, forse e “aspettiamo”, ci colpisce la notizia che ieri la Cancelliera Angela Merkel ha annunciato l’annullamento del lockdown generale di Pasqua, scusandosi per l’errore con i cittadini tedeschi: “Per essere assolutamente chiari, questo errore è mio e solo mio, poiché alla fine sono io che ho la responsabilità finale”
A parte la questione di stile e morale del chiedere scusa, quello che colpisce è la dichiarazione di errore: implica l’esistenza oggettiva e misurabile di una decisione giusta e una sbagliata. E’ questo succede solo se si usano bene i dati, preservandone l’oggettività, come mostra il nostro metodo. Diverso da quanto vediamo succedere in Italia, con decisioni vaghe e controfase basate su dati che vengono resi inutili da ritardi e forchette di confidenza che sembrano costruite ad arte per poter dire tutto e il contrario di tutto.
Un altro esempio di uso oggettivo dei dati, per prendere decisioni corrette ci arriva dalla Francia, che decide di tenere aperte scuole aperte anche in lockdown (qui su Il Fatto Quotidiano), perchè, dati alla mano, in media solo lo 0,5% degli allievi si contagia a scuola.
Potremmo farlo anche noi? Sì: è proprio di questi giorni la pubblicazione dello studio di un team di epidemiologi, medici, biologi e statistici, tra cui Sara Gandini, epidemiologa e biostatistica dello IEO (Istituto Europeo di Oncologia) di Milano, in cui si conclude, dati alla mano, che non c’è evidenza di associazione tra l’apertura delle scuole lo scorso settembre e la seconda ondata registrata in autunno. Traducendo alla lettera l’abstract del paper:
<<Dal 12 settembre al 7 novembre 2020, infatti, l'incidenza di SARS-CoV-2 tra gli studenti è stata inferiore a quella della popolazione generale di tutte le regioni italiane tranne due. Dal 28 agosto al 25 ottobre in Veneto, dove la scuola ha riaperto il 14 settembre, la crescita dell'incidenza di SARS-CoV-2 misurata in tutti i gruppi di età è stata inferiore negli individui in età scolare, massima negli individui di 20-29 e 45-49 anni. Inoltre, l'aumento del numero di riproduzione Rt non è stato associato alle diverse date di apertura della scuola. Reciprocamente, le chiusure scolastiche in due regioni dove sono state attuate prima di altre misure non hanno influenzato il tasso di declino della Rt. Nelle scuole, nonostante l'alta frequenza di test settimanali, le infezioni secondarie sono state inferiori al 1% e i cluster in una settimana rappresentativa di novembre sono stati poco frequenti.>>
Siamo già messi male, con la scuola italiana all’ultimo posto europeo per giorni di apertura (e di parecchio), non basta riaprire le scuole medie. Bisogna riaprirle tutte. E’ urgente usare i dati, e usarli bene.
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