Con 0,81 a livello nazionale, relativo al 7 aprile, ieri 23 aprile l’ISS ha finalmente raggiunto il minimo che con il nostro metodo pubblichiamo su Mondo Economico dal 9 aprile.
I dati che vediamo su Mondo Economico per le settimane successive, fino ad oggi, ci dicono che, nonostante il perdurare delle restrizioni, l’indice di riproducibilità è risalito lievemente, dopo il minimo, per attestarsi oggi su un trend costante inferiore a 1, in particolare 0,93 (0,86 - 0,99).
E’ molto probabile infatti che le restrizioni agiscano in modo efficace in scenari di Rt superiore a 1, andando a ridurre la riproduzione del contagio e quindi contribuendo a “spingere” l’Rt al di sotto di 1. Al contrario, dal grafico emerge come procrastinare o inasprire le restrizioni sia sostanzialmente inutile quando l’Rt è al di sotto di 1, e quindi il numero di nuovi contagi è già di per sé destinato a scendere.
Morale: potevamo anticipare al 26 marzo le riaperture che partiranno da lunedì 26 aprile, e invece abbiamo sprecato un mese di attività economiche, di scuola, di università e di vita sociale un po’ più normale.
E come se non bastasse parte della comunità scientifica ha già iniziato a mettere le mani avanti contro le riaperture di lunedì; a titolo esemplificativo, ecco qualche risultato di una facile ricerca su Google: Ivan Cavicchi su Il Fatto Quotidiano, Il rischio accettabile per un epidemiologo è zero, Gianni Rezza su Repubblica, Andrea Crisanti su Huff Post, Alessandro Ferretti su Orizzontescuola. Quando venerdì prossimo l’ISS comunicherà un Rt in lieve rialzo (pubblicando il dato del 14 aprile sul nostro grafico), aspettiamoci sicuramente proclami che, scordandosi che il dato è di 3 settimane prima, ci ricorderanno che “ce lo avevano detto”.
C’è evidentemente un “bias” per il quale parte dell’accademia e dei media sono sistematicamente spostati verso un principio di “rischio zero”, rispetto al “rischio ragionato” a cui si è rifatto il Primo Ministro Mario Draghi; se poi a questa propensione aggiungiamo la confusione e il ritardo sui dati ufficiali, che ancora ad oggi impediscono un monitoraggio efficace, cosa ci rimane? Tenere tutto chiuso fino a quando avremo vaccinato tutta la popolazione?
Dei tre ingenti danni causati dalla pandemia, sulla salute dei cittadini, sull’economia e sui giovani, del terzo si parla meno. Abbiamo sistemato la questione con la DAD (ridicola), tralasciando la parte sociale dello stare insieme, sostituita in gran parte da centinaia di migliaia di ore trascorse su YouTube o sulla PlayStation.
Abbiamo speso la nostra credibilità (di insegnanti, genitori, decisori, adulti in generale) nel chiedere ai giovani di modificare il loro stile di vita da più di un anno. Lo hanno fatto capendo che era una questione urgente, e non per loro, che non rischiano, ma per tutti gli altri.
Mentre la misura dei danni sulla salute dei cittadini e sull’economia si basa su dati concreti e disponibili oggi, misurare i danni sui giovani è più complicato: se prestiamo attenzione possiamo cogliere frammenti di dialoghi che testimoniano il disagio, ma gli effetti saranno misurabili solo tra qualche anno in termini, per esempio, di abbandono scolastico, diminuzione delle iscrizioni all’università, o, speriamo di no, aumento del consumo giovanile di psicofarmaci o alcolici. Non dimentichiamoci che, anche senza pandemia, le nuove tecnologie stanno già modificando profondamente i lavori che i nostri figli potranno fare e dove li potranno fare.
Per questo sarebbe utile capire cosa ne pensano gli studenti universitari, i più prossimi al mondo del lavoro, e, paradossalmente, quelli di cui parliamo di meno. Come è la vita fuori sede in tempo di Covid? Si trovano lavori adatti per studenti? Si riescono a costruire quelle relazioni che, nate per caso, per molti di noi sono poi durate tutta la vita e hanno anche reso possibili sviluppi professionali?
Dei pochi dati che si trovano sul tema, colpisce il report Coronavirus and higher education students del Office for National Statistics del Regno Unito: analizza i dati di due sondaggi rivolti agli studenti universitari in UK, comparando i risultati di Novembre 2020 e Gennaio 2021 e comparando le risposte degli studenti in relazione alla popolazione generica. Da Novembre a Gennaio è aumentato dal 57% al 63% (incremento superiore all’intervallo di confidenza) la quantità di studenti che riportano un peggioramento della salute mentale, mentre è aumentata dal 29% al 37% la quantità di studenti che sono insoddisfatti dell’esperienza accademica. Nel grafico di seguito si riporta invece il confronto tra le risposte degli studenti rispetto a quelle della popolazione generica
Certo, i risultati dei sondaggi, come spiegano gli stessi autori, vanno sempre interpretati con cautela, ma, ciononostante, offrono dei chiari indicatori di trend compatibili con gli intervalli di confidenza.
Non credo che possiamo più permetterci, dopo 14 mesi, prediche ispirate al “rischio zero”, altrimenti al prossimo megaraduno come quello di Bologna non avremo più niente da controbattere.
Lo ripetiamo da novembre, usando bene i dati che abbiamo il monitoraggio puntuale e la gestione del rischio sono possibili; ecco quindi, per chiudere, i dati di Rt delle regioni al 23 aprile:
- Abruzzo: 1,12 (0,82 - 1,45)
- Basilicata: 1,23 (0,95 - 1,53)
- Calabria: 1,07 (0,93 - 1,21)
- Campania: 1,11 (0,99 - 1,23)
- Emilia-Romagna: 0,89 (0,80 - 0,98)
- Friuli Venezia Giulia: 1,02 (0,81 - 1,24)
- Lazio: 0,94 (0,85 - 1,03)
- Liguria: 0,88 (0,75 - 1,02)
- Lombardia: 0,91 (0,80 - 1,02)
- Marche: 0,95 (0,77 - 1,15)
- Molise: 1,53 (0,76 - 2,41)
- A. Bolzano: 0,69 (0,45 - 0,93)
- A. Trento: 0,90 (0,65 - 1,16)
- Piemonte: 0,81 (0,72 - 0,90)
- Puglia: 1,02 (0,84 - 1,22)
- Sardegna: 1,07 (0,90 - 1,24)
- Sicilia: 1,29 (0,94 - 1,69)
- Toscana: 0,95 (0,87 - 1,04)
- Umbria: 0,83 (0,63 - 1,04)
- Valle d'Aosta: 0,82 (0,59 - 1,06)
- Veneto: 0,92 (0,82 - 1,02)
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