James M. Buchanan (Murfreesboro, 3 ottobre 1919 – Blacksburg, 9 gennaio 2013), Premio Nobel per l’Economia 1986, era Harris University Professor alla George Mason University. Ha insegnato anche alla University of Virginia (fondando il Thomas Jefferson Center), alla University of California (Los Angeles), alla Florida State University, alla University of Tennessee, al Virginia Polytechnic Institute and State University (dando vita al Center for the Study of Public Choice, poi trasferito alla George Mason University).

Primo elaboratore della teoria di Public Choice (Teoria della scelta pubblica), Buchanan ha svolto lavori fondamentali nel campo dell’economia politica, dell’economia pubblica e della filosofia politica, riconoscendo un debito intellettuale verso la scuola italiana di scienza delle finanze dell’inizio del XX secolo, rappresentata da De Viti De Marco, Puviani e Girotti, che aveva iniziato a sviluppare alcuni temi su cui la Public Choice avrebbe poi fornito il suo contributo nella secondo metà del secolo.

 

1. Prima della formulazione della teoria alla base della Public Choice, le ‘scelte pubbliche’ venivano considerante in modo completamente antitetico a quelle private: mentre le seconde erano il regno della massimizzazione del benessere individuale da parte del singolo decisore economico, le prime erano prese da un dittatore benevolente volto alla massimizzazione del benessere sociale. Il principale lascito di Buchanan è stato quello di trapiantare l’individualismo metodologico dal campo delle scelte private, a quello delle scelte pubbliche, non trovando alcuna motivazione analitica l’ipotesi, allora ampiamente accettata, che i politici, i partiti ed i governi non massimizzassero una qualche funzione di utilità individuale. In questo senso la politica viene trasformata nel mercato politico in cui i politici offrono politiche pubbliche per massimizzare il numero di voti e restare al governo (o passare dall’opposizione al governo) e gli elettori scelgono la combinazione di politici/politiche che massimizzano la loro utilità.

Se l’obiettivo dei politici è quello di essere rieletti, si ottengono una serie di interessanti modelli. In primo luogo, il voto degli elettori non è semplicemente basato su preferenze ideologiche verso, per esempio, una maggiore/minore presenza dello stato nell’economia, o verso una visione più o meno tradizionale dei diritti civili, ma sul beneficio che ciascuno – per esempio in quanto membro di un gruppo sociale – può ottenere dalla spesa pubblica. Ogni gruppo portatore di interessi è interessato ad una legislazione che possa trasferire risorse a suo vantaggio, e per questo è interessato ad eleggere rappresentanti che possano portare le istanze di questi gruppi nell’assemblea rappresentativa. I politici, d’altra parte, devono sostenere campagne elettorali costose e quindi hanno bisogno di finanziamenti da questi gruppi (che possono essere sindacati, imprese, associazioni di vario genere), un investimento che poi dovrà avere un rendimento per questi gruppi.    

2. In secondo luogo, se i politici si fanno portatori degli interessi dei gruppi che li hanno votati, dovranno trasformare questo sostegno in attività legislativa. Qui si incontra un secondo importante contributo di Buchanan, quello relativo al commercio dei voti (logrolling): ogni rappresentante promette di votare a favore dei progetti di legge presentati da altri se gli altri rappresentanti votano per il suo, in questo modo si ottiene la maggioranza semplice dei voti dell’assemblea e i singoli progetti diventano legge e ripagano l’investimento realizzato dai gruppi di interesse finanziando i singoli candidati. Questo tipo di comportamento, mettere insieme diversi progetti di legge che determinano trasferimenti di risorse dallo stato ai diversi gruppi di interesse, ha l’effetto rilevante di espandere la dimensione del settore pubblico: ad un trasferimento ne viene aggiunto un altro ad un nuovo gruppo nei momenti di crescita, ed allo stesso modo nei momenti in cui fosse necessario ridurre la spesa pubblica, ogni rappresentante/gruppo cercherebbe di spostare su altri l’onere dell’aggiustamento, aggregandosi ad altri rappresentanti – portatori di altri interessi – per ottenere questo risultato. Ed ecco perché realizzare una efficace spending review è complesso: portatori di diversi interessi si coalizzano per rendere più difficile la riprogrammazione e diminuzione della spesa.  

3. Fino a ora abbiamo ricordato il contributo dato da Buchanan all’analisi positiva, cioè quella parte dell’analisi finalizzata a spiegare l’effettivo funzionamento della democrazia rappresentativa e del suo rapporto con la spesa pubblica. Accanto a questa, esiste anche una analisi normativa, volta a costruire istituzioni finalizzate a ridurre la discrezionalità dei politici che, come mostrato in precedenza, porterebbe ad un aumento della spesa pubblica (e quindi delle tasse e del debito pubblico). In questa analisi il riferimento principale è il volume The Calculus of Consent (scritto con Gordon Tullock nel 1962).

Ipotizziamo che una certa collettività debba decidere su un certo programma di spesa pubblica: esistono due tipi di costo: il costo della decisione ed il costo esterno della decisione. Il costo della decisione è crescente all’aumentare del numero di persone che sono d’accordo nel prendere una determinata scelta, è minima per il dittatore - che non deve scendere a compromessi con nessuno – e massima nel caso di unanimità, in quanto per arrivare a tale risultato saranno necessari molti compromessi e discussioni che renderanno il processo decisionale molto lungo. Il costo esterno della decisione, invece, è il costo che ricade su coloro che non erano d’accordo con quella decisione, ed ha un andamento opposto al precedente: è massimo nel caso del dittatore – che potenzialmente può scontentate tutti - e nullo nel caso dell’unanimità, in quanto in quel caso tutti sono d’accordo nel prendere una certa scelta e nessuno voterà a favore di qualcosa che lo danneggi.  Da questa analisi emerge la necessità di una costituzione fiscale: cioè di un insieme di regole che limitino la discrezionalità della politica nel determinare spesa pubblica e tassazione. Idealmente la regola dell’unanimità dovrebbe essere utilizzata per introdurre nuove spese e nuove tasse, in quanto in questo modo nessuno verrebbe danneggiato dalla nuova politica, ed i gruppi di interesse vedrebbero ridotto il loro ruolo. In pratica l’unanimità è una regola eccessivamente stringente e quindi sarebbe almeno opportuna una maggioranza qualificata (super-majority): sarebbe molto costoso, ma non proibitivo, trovare un accordo su una nuova politica e comunque i contrari – danneggiati da tale innovazione – sarebbero relativamente pochi.

La parte positiva della Public Choice ha avuto maggior successo rispetto a quella normativa, tuttavia il contributo sulla costituzione fiscale ha avuto degli effetti pratici, per esempio sulla determinazione di diverse maggioranze di voto (nell’Unione Europea ed in particolare nelle decisioni del Consiglio Europeo, che richiedono maggioranze qualificate e differenziate per evitare che i paesi più grandi possano sfruttare – avendo più voti in proporzione alla loro popolazione - i più piccoli).  

Altri contributi del Centro Einaudi su Buchanan.