C’è una questione spinosa di cui Barack Obama non parla mai apertamente. Mi riferisco all’impiego dei droni nella lotta al terrorismo. Invece di impiegare forze di polizia o, come il suo predecessore, la forza militare, l’amministrazione Obama preferisce ricorrere all’uso di velivoli telecomandati per lanciare attacchi letali contro chi è sospettato di preparare azioni terroristiche.

 

Quest’uso della forza militare nell’ambito anti-terroristico comporta notevoli difficoltà, sia di carattere pratico che etico-giuridico, ma pare efficace. Risolve un problema. Partiamo dal problema per inquadrare le difficoltà che l’impiego di questi mezzi comporta.

1. Come difendere la sicurezza nazionale da una organizzazione terroristica delocalizzata e transnazionale? La risposta della precedente amministrazione fu la Guerra Globale al Terrorismo, ossia l’uso dello strumento giuridico della dichiarazione di guerra per condurre operazioni militari di larga scala. La risposta dell’Amministrazione attuale è di usare la dichiarazione di guerra come cornice legale per la condotta di operazioni mirate. Con Obama l’uso delle forza militare si è concentrata in un punto, e quel punto viene messo a disposizione del Comandante Supremo delle Forze Armate, cioè il Presidente. Se il Presidente autorizza l'impiego della violenza letale in quel punto preciso, chi lo occupa viene annientato, e questo all’interno delle legittime prerogative date al Presidente dallo stato di belligeranza.

2. L’impiego mirato della forza militare porta con sé problemi di varia natura. Ne prenderemo in esame tre fra i principali.

A- I droni sono uno strumento imperfetto. Impiegano missili ’intelligenti' che non sempre funzionano al meglio. Interferenze di varia natura (dalle contromisure elettroniche all’inquinamento ambientale) possono deviarne il corso. Fortunatamente, con il passare degli anni il numero dei “danni collaterali” (leggi il numero di civili innocenti uccisi) è andato diminuendo. Ma siamo ancora ben lontani dall’immagine di perfezione tecnologica che si vuole attribuire a questo sistema d’arma.

B- Intelligence imperfetta. L’impiego di droni è comunque basato su dati di intelligence, e quindi è basato su deduzioni che possono essere giuste o sbagliate, ma mai perfette al 100%. Anche in questo caso i danni collaterali abbondano. Si può esattamente colpire la persona sbagliata, o demolire con precisione chirurgica la scuola materna che il controspionaggio del nemico aveva spacciato come un suo centro di comando e controllo. Se poi il nemico si nasconde dietro una folla di civili innocenti, che diventano uno “scudo umano”, sarà ancora legittimo colpire? E veniamo dunque ai problemi di natura etico-legale.

C- Dubbia legittimità. Può il Presidente degli Stati Uniti ordinare quello che a tutti gli effetti è un omicidio premeditato? In condizioni normali non potrebbe, ma visto che grazie alla dichiarazione di guerra il Presidente è anche il Comandante in capo delle forze armate, in determinate circostanze può. In un memo recentemente fatto trapelare dalla stampa, si elencano quali possono essere queste circostanze. Ma al di là di esse - imminenza dell’attacco progettato dal terrorista, impossibilità di procedere in altro modo, ecc. - si capisce bene che alla fine, a decidere, è il Presidente. Questo pone un grosso problema perché, come abbiamo visto, le informazioni che gli vengono passate sono passibili di errore e comunque sempre lacunose. In due casi si è addirittura verificata la peggiore evenienza possibile: l’ordine dato dal Presidente avrebbe portato alla morte di cittadini americani, ossia di presunti terroristi nati sul suolo statunitense. Di fronte a una simile evenienza il Presidente Comandante in capo è comunque protetto dalla legge, che dichiara “nemici combattenti” anche i cittadini americani che passano al nemico, ma la sua copertura legale sarebbe ai minimi. Anzi, secondo autorevoli fonti, non ci sarebbe affatto.

3. Per quanto visto, appare chiaro che il bandolo della matassa sta nella dichiarazione di guerra che ha dato il via a uno stato di belligeranza indeterminato sia in termini spaziali (il terrorismo può colpire ovunque interessi americani e dunque è interesse nazionale colpirlo ovunque) sia in termini temporali (non essendo stato designato un nemico dotato di territorio suo proprio non si saprà mai se la guerra è terminata o se ne è iniziata un’altra). Finché continua la guerra al terrore – e al momento continua, anche se non se ne pronuncia più il nome nei discorsi propagandistici – il Presidente continuerà ad avere i poteri necessari per agire in ogni luogo e con ogni mezzo contro i nemici designati della nazione.

Il presidente Obama ha di molto ridotto l’ambito della Guerra Globale al Terrorismo riducendo l’originario Asse del Male (Iran, Iraq e Corea del Nord) a un solo nemico designato, il network terroristico transnazionale al Qaeda. Ma anche con un solo nemico in campo, i poteri dati al Presidente a molti paiono eccessivi. Sotto l’ombrello dell’anti-terrorismo militarizzato, il Presidente può ordinare controlli bancari e intercettazioni elettroniche che non hanno pari nell’ordinamento civile statunitense. Quindi prima ancora che ordinare la morte di un presunto terrorista su basi necessariamente aleatorie, il Presidente può agire contro di esso in modi e maniere, che se non ci fossero i poteri conferitigli dallo stato di belligeranza, non sarebbero in alcun modo legali. E questo è un problema.

Una delle frasi che più si sentivano ripetere durante il corso dell'amministrazione Bush era che le garanzie individuali date dalla Costituzione vanno sempre rispettate, ma che la Costituzione non è il biglietto lasciato da un suicida. Ovvero, per proteggere i diritti individuali dei cittadini americani si possono anche prendere delle decisioni che vanno nella direzione opposta, ossia violano tali diritti; e questo perché in assenza di tali decisioni non vi sarebbero più cittadini da proteggere e diritti da godere. Quindi il governo, per garantire la giurisdizione, può in taluni casi anche compiere atti extra-giuridici che servono a difenderla. È questo il vero problema che pone l’uso anti-terroristico della forza militare nell’epoca della digitalizzazione informatica. E non è una questione di facile soluzione perché riguarda il "punto cieco" della sovranità in democrazia.