È accaduto qualcosa di molto importante oltre Manica. A Londra, nei primi due giorni di novembre, all'AI Safety Summit, prima conferenza internazionale sul tema dell’intelligenza artificiale organizzata dal premier britannico Rishi Sunak. Non se ne è colta tutta la portata.
Nel luogo dell’Enigma
Capi di governo, il segretario generale delle Nazioni Unite, la presidente della Commissione europea, Usa e Cina firmano l’Accordo di Bletchley Park, località scelta in onore del lavoro di Alan Turing e dei crittoanalisti che proprio qui decifrarono Enigma, la macchina cifrata nazista, contribuendo in modo decisivo alla vittoria degli Alleati nella Seconda guerra mondiale.
La conferenza, alla quale farà seguito una seconda edizione in Corea del Sud tra sei mesi in formato virtuale ed una terza a Parigi, tra un anno, in presenza, non è andata oltre una generica dichiarazione di intenti sull’intelligenza artificiale sicura mediante una limitazione etica degli algoritmi ma, nonostante questo, ha tutti i requisiti per poter passare alla storia: perché?
Perché?
Non certo perché nel dibattito sugli scenari futuri plausibili e sulle priorità per garantire la sicurezza della tecnologia si è parlato (molto) di rischi e (poco) di opportunità, e neanche perché il tema centrale è stato come evitare che forme avanzate di intelligenza artificiale possano sfuggire al controllo umano portando all’annientamento dell’umanità. E neppure perché Sunak non riuscirà a fare del Regno Unito il “cuore” del futuro dell’IA, mediante il nuovo Istituto per la Sicurezza della AI, quando Biden ha appena emanato un ordine esecutivo che fissa il perimetro per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, l’Unione Europea forzerà le aziende a conformarsi ai parametri dell’IA Act che intende regolarne l'uso e, forse, anche la Cina avrà qualcosa da dire in proposito.
Il passaggio
No, la conferenza di Bletchley Park può passare alla storia perché, per la prima volta, l’uomo ha riconosciuto il ruolo fondamentale dell’intelligenza artificiale per il futuro dell’umanità e ha determinato in modo chiaro ed inequivocabile che saranno le sfide etiche e non le sfide tecnologiche quelle che potranno decidere il futuro del genere umano.
La sfida etica
“Barriera etica”, “conformità etica”, “limitazione etica agli algoritmi”: questi alcuni dei termini utilizzati nei giorni scorsi durante il dibattito di Londra. In realtà sono le recenti parole di Papa Francesco quelle che meglio ci restituiscono l’importanza del rapporto tra IA ed etica grazie alla definizione di “algor-etica” o “algoretica”, ovvero “etica per gli algoritmi”. Parole recentemente riportate all’attenzione pubblica da Paolo Benanti, il teologo francescano unico italiano tra i 39 esperti internazionali dell’Organo consultivo dell’ONU per l’intelligenza artificiale.
La divisione
Nei precedenti contributi ho avuto modo di trattare il rapporto tra IA ed etica sottolineando come da sempre gli uomini si dividano, di fronte alle sfide che sono sinonimo di innovazione e futuro, tra sfegatati entusiasti ottimisti e cupi catastrofisti pessimisti mentre solo l’equilibrio di un concreto e pragmatico realismo può restituire una corretta visione del mondo. Abbiamo visto come soltanto un’intelligenza artificiale che da intelligente si trasformi in cosciente – la coscienza è una prerogativa umana e quindi questo può essere permesso solo dall’uomo – potrà provare, eventualmente, sentimenti tali da permetterle prima di manipolare il genere umano in modo consapevole e poi di schiavizzare e distruggere l’umanità.
L’intelligenza superiore
Ebbene, oggi, Bletchley Park può rappresentare una pietra miliare nella storia umana perché certifica il fatto che gli algoritmi non coscienti sicuramente supereranno le prestazioni dell’intelligenza cosciente umana in tutti i compiti di elaborazione dati conosciuti – in molti campi l’hanno già fatto da tempo – ma al tempo stesso che, a meno che l’uomo non glielo consenta, non sarà possibile sostituire l’intelligenza cosciente umana con algoritmi superiori coscienti.
La grande sfida che attende quindi l’umanità non è quella del mero sviluppo di nuove tecnologie ma quella di come usare le nuove tecnologie con saggezza.
Ed in questa sfida i protagonisti non saranno solo i leader delle grandi aziende tecnologiche, ingegneri, matematici, informatici, ma anche altri leader: storici, filosofi, sociologi, politici; solo così sarà possibile comprendere appieno le implicazioni delle nuove tecnologie e le loro conseguenze economiche, sociali, politiche.
La prospettiva
Nessuno sa tutto e nessuno è esperto di tutto. Nessuno è capace di connettere tutti i punti e di vedere il quadro nel suo insieme. Differenti campi si influenzano a vicenda secondo modalità così complesse che anche le menti più brillanti non riescono a immaginare come i progressi tecnologici dell’umanità potrebbero impattare sull’economia, sulla società, sulla politica né come esse potranno essere anche solo tra dieci anni.
Tantomeno nessuno può sapere davvero quale assetto avrà il mercato del lavoro, oppure come sarà la famiglia, oppure ancora come sarà la società nel 2050, né quali religioni, sistemi economici, strutture politiche domineranno il pianeta.
L’ascesa dell’intelligenza artificiale trasformerà certamente il mondo ma solo un pensiero collettivo, globale, completo, che abbia come fine l’etica e non la tecnologia potrà veramente permettere all’uomo di pensare al suo futuro in maniera creativa, ampliare i suoi orizzonti, essere consapevole di uno spettro di opzioni assai più vasto di quello che ora è in grado di vedere.
L’uomo al centro
Ecco perché le conclusioni della conferenza di Bletchley Park, e si spera quelle delle prossime conferenze, hanno una portata storica: esse invitano l’uomo a tenere al centro l’umano, ad umanizzare il futuro del mondo, a non abdicare alla coscienza in favore dell’intelligenza. Per la prima volta le grandi nazioni e le grandi aziende impegnate nello sviluppo dell’intelligenza artificiale hanno firmato una dichiarazione nella quale concordano che i governi abbiano un ruolo per fare in modo che i nuovi modelli di IA siano sottoposti ad una verifica “etica” prima e dopo il loro rilascio al pubblico. E che tale verifica non permetta mai all’intelligenza degli algoritmi di prevaricare la coscienza umana.
Gli algoritmi e la coscienza
Stephen Hawking definì il futuro dell’intelligenza artificiale dicendo che “non si tratterà di sfide tra macchina e uomo, ma di sfide tra uomo e uomo” e che l’IA potrà essere “la cosa migliore o peggiore che potrebbe capitare all’umanità” lasciando all’uomo l’onere della risposta ad alcune domande:
- che cos’è quindi più importante: la coscienza (degli uomini) o l’intelligenza (degli algoritmi)?
- può un algoritmo avere accesso alla coscienza?
- l’economia, la società, la politica devono essere governati dall’intelligenza o dalla coscienza?
Dopo Bletchley Park tutti gli uomini sanno che la linea di demarcazione, il punto di non ritorno, sarà rappresentato dalle risposte “etiche” che il genere umano sarà in grado di dare a queste domande tra dieci settimane, dieci mesi o dieci anni (meno probabile): e che da quelle risposte dipenderà il futuro dell’umanità.
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