L'avanzata del MoVimento 5 stelle ha spinto anche i partiti politici più tradizionali a cimentarsi nell'uso massiccio della rete per comunicare le proprie idee. Ma siamo sicuri che si trovi nella trasparenza della rete la soluzione di tutti i mali della politica?

 

1. Bisogna riconoscere che Grillo e Casaleggio, come prima di loro gli esponenti del partito pirata in Svezia e Germania, hanno ben colto e compreso la crisi del rapporto tra elettori ed eletti che caratterizza la politica contemporanea. In una società in cui la forbice tra ricchi e poveri è sempre più divaricata, tanto da far sentire i politici sempre più lontani dai problemi della gente comune, una proposta di “democrazia liquida” o di “democrazia diretta 2.0” ha buone chances di successo.

In realtà, si potrebbe pensare, e a ragione, che la crisi della rappresentanza e i problemi di accountability (l’obbligo di rispondere del proprio operato davanti ai propri elettori) possano essere risolti attraverso una riforma elettorale che preveda l’uso dei collegi uninominali. Legare i candidati al territorio è sicuramente un modo efficace di intervenire sullo scollamento tra classe politica ed elettorato. Il dilagare della sfiducia degli italiani nei confronti delle istituzioni, però, ha permesso a Grillo e Casaleggio di proporre un’idea più radicale, di immaginare cioè una partecipazione politica attiva, partecipata, con aspirazioni da democrazia diretta.

Per quanto sia arduo riscontrare nei fatti la cosiddetta democrazia diretta del MoVimento 5 Stelle (si pensi, per esempio, al modo in cui Grillo utilizza il suo blog, dove certo non tratta i commentatori come interlocutori, ma si occupa di dettare una linea d'azione e di pensiero), è innegabile che ci siano degli elementi che puntano in quella direzione. Quello che qui mi interessa prendere in considerazione è la necessità della trasparenza. Il MoVimento 5 Stelle, infatti, ritiene che alla base del corretto rapporto tra elettori ed eletti debba esserci la totale trasparenza della politica. Per questa ragione gli incontri dei parlamentari devono avvenire rigorosamente in streaming, alla portata di chiunque sia interessato a guardarli e ascoltarli. Ma trasparenza significa totale svelamento della politica?

2. Questa domanda è particolarmente rilevante se pensiamo che i partiti tradizionali, nel tentativo di sedurre e riconquistare gli elettori delusi dalla politica calata dall'alto stanno sperimentando simili strumenti. Il caso delle riunioni della direzione del Partito Democratico in streaming sono un esempio eloquente di questa tendenza.

Appare innegabile che la trasparenza è una virtù nelle istituzioni politiche. Quando un’istituzione è trasparente, infatti, significa che dispone non solo di strumenti di responsabilizzazione dei funzionari pubblici, ma anche di mezzi di contrasto alla corruzione. Sicuramente, il fatto che leggi, regole, meccanismi di funzionamento istituzionale, bilanci e rendiconti finanziari di enti pubblici debbano essere trasparenti, cioè conoscibili e consultabili da tutti, costituisce una garanzia contro l’abuso di potere. Funzionari pubblici non possono curare esclusivamente i propri interessi personali se le informazioni sul loro operato devono essere sempre accessibili e disponibili. Ed effettivamente se quello che accade in Parlamento rimanesse per forza segreto bisognerebbe farsi delle domande serie sullo stato della democrazia del Paese.

Detto questo, la trasparenza delle istituzioni e dell’operato dei suoi funzionari non va però confusa con la necessità di rendere trasparente anche la politica.

La trasparenza magnificata dal MoVimento 5 Stelle, e rincorsa invano dal Partito Democratico, non ha niente a che vedere con la trasparenza delle istituzioni e il controllo dell’operato dei funzionari. Al contrario, ad essere invocata è la trasparenza del modo in cui gli attori politici agiscono e lo smascheramento della pratica politica stessa. Questo è, però, uno snaturamento di quella garanzia del funzionamento corretto delle istituzioni che la trasparenza deve fornire. Pensare che tutto quello che succede a livello politico debba essere visto e mostrato è la perversione stessa dell’idea che l’amministrazione pubblica deve sottostare a criteri di controllo.

Non c’è bisogno di scomodare Machiavelli per capire che tutti i regimi politici hanno – e  debbono avere - la possibilità di agire in segreto per garantire la sicurezza ai propri cittadini. Basti pensare a come funzionano le relazioni diplomatiche tra stati e quanto possa essere pericolosa l’esposizione pubblica di scambi riservati. Da questo punto di vista il caso di Wikileaks è eclatante. Julian Assange, perseguendo l'assoluta trasparenza come fine politico, ha messo a rischio la vita di molte persone che servono il proprio paese nell'ombra.

3. Il punto non è certo che il segreto sia un metodo politico sempre ammissibile e da difendere strenuamente. Ma allo stesso tempo non si può andare all'estremo opposto dichiarando il segreto illegittimo in politica.

Nella famosa sentenza del 1971 New York Times contro Stati Uniti, sentenza che seguiva la pubblicazione dei Pentagon Papers sul coinvolgimento americano in Vietnam, la Corte Suprema deliberò che la libertà di stampa non può essere subordinata alla necessità governativa della segretezza. Questo significa che i giornalisti possono pubblicare quello che scoprono, ma non certo che il governo non abbia, talvolta, la necessità di agire in segreto, al riparo da occhi e orecchie indiscrete.

La riservatezza in politica, però, non si limita ad essere applicabile solo ad alcune azioni governative. Sembra infatti particolarmente strano, e problematico, che partiti in competizione con altri per il consenso elettorale sentano la necessità di rendere disponibile agli occhi di tutti le proprie tattiche e discussioni interne.

Utilizzando una metafora militaresca, si potrebbe dire che se un generale impegnato a mettere a punto una strategia per combattere il proprio avversario decidesse di raccontare su youtube le proprie mosse avrebbe ben poche speranze di vincere in campo aperto. Allo stesso modo, un partito politico impegnato a difendere il proprio potere politico sarebbe poco efficace se decidesse di mostrare a tutti il processo di deliberazione interna che porta alla delineazione di politiche concrete, che spesso necessitano dell'elemento sorpresa.

Se la trasparenza deve essere reclamata per le istituzioni, non si può chiedere che lo stesso accada per la politica, che per funzionare deve mantenere necessariamente un’area di riserbo. Come scrive Arendt in Sulla Rivoluzione, è molto pericoloso pensare, come i giacobini della rivoluzione francese, pervasi com'erano dal pensiero rousseuiano, che in politica si debba non apparire ma essere, perché “in politica più che in qualsiasi altra sede non abbiamo la possibilità di distinguere fra l’essere e l’apparire. Nel campo delle faccende umane effettivamente l’essere e l’apparire sono la stessa cosa”.