1. Storie dall’era di Barack Obama. Quasi trentacinque anni dopo avere approvato per via referendaria uno dei più clamorosi tagli alle tasse della storia americana, la California ha votato il 6 novembre a favore di una misura che si muove nell’opposta direzione. Più tasse per i (molto) ricchi e niente tagli al bilancio per l’istruzione. Proposition 30 è il nome della modifica alla costituzione dello Stato che i californiani hanno confermato con cinque milioni di voti (il 53,9%) assicurando al primo dei proponenti, il governatore Jerry Brown, un trionfo politico e ideologico.

Strana ironia dei numeri: Proposition 30 versus Proposition 13, l’ormai leggendaria proposta passata nel 1978 (il cui nome completo era Jarvis-Gann Amendment), che diede inizio alla rivolta fiscale dei tardi anni Settanta, vista a ragione da molti come l’alba dell’epoca reaganiana, fatta di detassazione, tagli e liberismo. Proposition 13 limitava fortemente le tasse sulla proprietà all’1% del valore calcolabile, e veniva accompagnata, dopo la vittoria, da un fortissimo movimento d’opinione in tutta la nazione, tanto è vero che molti altri Stati seguirono l’esempio californiano e introdussero per via referendaria provvedimenti analoghi. Howard Jarvis, uno dei leader della taxpayers revolt, era un antico sostenitore di Ronald Reagan, avendo visto in lui, giustamente, il proprio rappresentante naturale [Lou Cannon President Reagan: the Role of a Lifetime, p. 238].

Questa era la California di allora. Che cosa succede, nel medesimo Stato, a oltre trent’anni di distanza? Nel 2012, la California si è trovata con un buco di bilancio di oltre 8,5 miliardi di dollari, con il rischio di dover ridurre pesantemente i fondi per l’istruzione. Una prospettiva drammatica per uno Stato che già si colloca ai primi posti in America quanto a tagli imposti a questo settore. Il governatore Jerry Brown  ̶  figlio di Pat, a sua volta governatore negli anni Sessanta, esponente dell’establishment liberal radicato attorno a San Francisco e alla Golden Bay   ̶  ha risposto all’emergenza ribaltando il dogma dei tagli ai servizi, e rischiando il proprio futuro politico, la propria credibilità attorno a una proposta di incremento netto delle tasse sul reddito.

Proposition 30 è passata, e i democratici festeggiano. La misura prevede aumenti percentuali dell’imposizione fiscale nell’ordine del 20-30% rispetto ai livelli precedenti, solo però sui redditi superiori ai 250.000 dollari l’anno, con un’impennata di progressività fiscale che colpisce i grandi ricchi (ovvero, circa 400.000 californiani, meno del 3% dei contribuenti). Tutti i cittadini che si trovano al di sotto di tale soglia non vedono cambiata di una virgola la propria posizione fiscale. La soglia dei 250.000 dollari è a sua volta simbolica. Barack Obama ha più volte inquadrato la middle class come quella fascia di famiglie americane che guadagnano meno di 250.000 dollari all’anno, mentre Romney è stato meno preciso e più sfuggente in materia. La classe media, così come definita dal presidente, viene insomma del tutto risparmiata dall’incremento impositivo.

La nuova tassa promette di generare un maggiore introito per le malandate casse dello Stato nell’ordine di 7-9 miliardi di dollari all’anno, per sette anni, vincolando le nuove entrate all’effettivo impiego nelle scuole e nei college. La misura è retroattiva: i “milionari”, come li chiama l’efficiente grancassa mediatica dell’organizzazione liberal, paghino subito. Intanto, con il voto contemporaneo per il rinnovo dell’assemblea dello Stato, i democratici hanno conquistato la maggioranza qualificata (due terzi dei seggi) necessaria per varare ulteriori futuri aumenti di tassazione (una clausola introdotta, non a caso, proprio da Proposition 13 nel 1978).

2. La cosa più interessante della nuova imposta californiana non è l’opposizione da destra che ha ricevuto (i repubblicani, la Howard Jarvis Taxpayer Association, ovvero: i soliti noti), ma il fatto che alla sua sinistra si agitasse lo spettro di una proposta più radicale ancora nella progressività fiscale. Proposition 38, nelle schede degli elettori californiani accanto alla proposta “cugina”, chiedeva un aumento persino maggiore di tassazione, che si sarebbe riversato però su quasi tutte le fasce di reddito, a partire da chi guadagna la (modesta) somma di 7.300 dollari l’anno. In pratica, una mazzata sulla classe media, che il californiani hanno rigettato nelle urne.

Un’ulteriore, affascinante nota, che racconta la nuova America e forse un pezzo del nostro futuro: Proposition 38 era una creazione di Molly Munger: non una qualsiasi, bensì la figlia del miliardario Charles Munger, collega e braccio destro di Warren Buffett. Cioè uno tra i più grandi ricchi del mondo, il guru fiscale di Obama, visionario e profetico, che come è noto ha ispirato l’attuale amministrazione americana nel portare avanti alcune misure di tassazione dei più abbienti e che ha promesso di donare il 99% delle sue fortune in beneficenza. Ci avviamo a vedere, in questo XXI secolo, una sorta di nuovo progressismo filantropico, sostenuto da “potenti illuminati”, disponibili a utilizzare i propri averi per finanziare la redistribuzione della ricchezza, l’istruzione e l’avanzamento delle classi più deboli?

La domanda non è peregrina, se si pensa a quanto repentinamente e profondamente le cose stiano cambiando, in California come nel resto degli Stati Uniti. Nel 1967 usciva per la rivista Commentary un’analisi molto articolata sulla Southern California, a firma di James Wilson, a commento della recente elezione di Reagan a governatore. Com’erano i sud-californiani descritti allora da Wilson? Prevalentemente protestanti (non delle nuove correnti liberali e moderniste, bensì fondamentalisti della vecchia guardia), individualisti radicali che non riconoscevano nulla al di fuori della singolarità della persona (“the social structure did nothing to change the individualistic orientation of life. People had no identities except their personal identities”), quasi tutti di provenienza dagli stati del Midwest e del Sud degli USA, da un contesto rurale, al massimo di piccole città. Quindi, nella loro nostalgia per quel tipo di mondo, essi erano reazionari nel pieno senso della parola, “il [loro] obiettivo era portare indietro le lancette dell’orologio ai giorni in cui la vita era semplice, le virtù erano meno complicate, e i Dieci Comandamenti una guida sufficiente” (“seeking to turn back the clock to a day when life was easier, virtues less complicated, and the Ten Commandments a sufficient guide”, James Q. Wilson, A guide to Reagan Country: The Political Culture of Southern California, in “Commentary”, maggio 1967, pp. 37-38).

3. Poi però lo schema si complica. Una volta in California, i nuovi arrivati si adattano a uno stile di vita suburbano, una sterminata periferia a bassa densità abitativa che connette tra loro grandi città, in cerca di lavori di tipo impiegatizio o dirigenziale, comunque terziari, non certo agricoli. Non più campi da arare, ma giardini da curare. Non più frontiera, ma vicinato. Nuovi valori di programmazione e di organizzazione si fanno avanti, un ethos progressista in luogo del libertarismo di origine. D’altra parte, non è proprio la California ad aver avuto un disperato bisogno di un’amministrazione pubblica, quando, per esempio, si è trattato di realizzare un sistema idrico razionalizzato e centralizzato che convogliasse le acque del nordest dello Stato verso le nuove aree urbane di Los Angeles e San Diego? Che cosa avrebbero fatto gli imprenditori che nella mitologia liberista “si sono fatti da soli” senza il potente sostegno della macchina pubblica, che ha dato loro servizi e infrastrutture?

“You didn’t build that” (“non siete stati voi a costruire tutto questo”) è stata una delle frasi-chiave della campagna di Obama. Con essa, il presidente democratico ha attaccato direttamente proprio questo mito tutto americano (e molto western) dell’uomo solo, atomizzato, unico responsabile delle proprie fortune. E ha fatto campagna, come è noto, proprio sulla middle class, in modo quasi ossessivo. La frontiera della libertà, come già notava Eric Foner a proposito di Roosevelt, si sposta più in là: libertà dal bisogno, dalle insicurezze sociali, dalla paura. Nella California un tempo sede del miracolo tecnologico, oggi un po’ più povera e un po’ più anziana, questa narrazione è più forte che mai.