Si profila all’orizzonte un dibattito che per molti di noi è ozioso, perché in cuor nostro abbiamo già deciso e da un pezzo, ma che non va preso alla leggera. Cittadini italiani si nasce o si diventa? Se un cittadino straniero può sempre essere naturalizzato, che cosa accade al figlio di un cittadino straniero quando nasce in Italia, rimane straniero come i genitori, o è già italiano? Molti di noi hanno già deciso, dicevo, e da tempo. A sinistra, in genere, ci si orienta per lo ius soli, o quello che passa in Italia per lo ius soli.

A destra, sempre per approssimazione, si preferisce rimanere con il modello attuale, che consente la naturalizzazione ma è ancora un meccanismo fortemente determinato dallo ius sanguinis, specialmente in Italia. Tutto deciso, quindi? Andiamo, come al solito, verso uno scontro di muro contro muro, con il solito intellettuale di complemento alla Giuliano Ferrara che aizza gli animi? Speriamo di no, perché il dibattito è serio. In quanto segue cercherò di spiegare perché ritengo lo ius sanguinis una scelta migliore e perché lo ius soli va affrontato con una certa cautela, perché implica del lavoro sociale che non sono sicuro tutti siano disposti a fare in questo paese. In altre parole, la soluzione peggiore non è che rimanga l’indeterminatezza inefficiente che ha caratterizzato la vicenda sino ad oggi, ma che si prenda la strada dello ius soli senza aver capito fino in fondo che cosa comporti.

1. La storia dello Stato, forse il principale contributo dell’occidente alla storia dell’umanità, può essere suddivisa in vari modi, ma a noi qui interessa distinguere due momenti nella formazione dello Stato moderno, quello in cui la sovranità era principalmente una caratteristica territoriale e quello in cui lo Stato si fece Stato-Nazione identificandosi con un popolo e una lingua. Nella prima fase, la sovranità era trasmessa per via dinastica, ma la linea del sangue non riguardava le popolazioni. A partire dai regnanti delle potenze colonizzatrici, in primis la Spagna e il Portogallo, non comportava sforzo alcuno per un monarca regnare su territori abitati da popolazioni diverse per lingua ed etnia. Esse erano soggette al comando e non un soggetto in sé dotato di particolari caratteristiche. Lo sapevano bene i Paesi Bassi posti sotto lo scettro di Felipe II e gli attoniti aborigeni americani che si videro battezzati da Colombo seduta stante e posti sotto la sovranità «de lor reyes catolicos», ossia i re «cattolici»» in senso universale, Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona.

Il problema inizia con le ribellioni protestanti all’universalismo cattolico che cominciano a enucleare comunità distinte e a porre un grande valore sulla lingua. Per i Protestanti è infatti la Bibbia la parola di Dio, e per comprenderla tutti devono poterla leggere (e quindi scrivere). Se i cattolici prediligevano il latino dell’universalismo medievale e si astenevano programmaticamente dall’insegnare alle popolazioni a leggere e scrivere (per poterle meglio controllare dal trono e dal pulpito), i Protestanti diedero impulso alle lingue moderne iniziando a tradurre la Bibbia in vernacolo.

L’identità fra popolo e nazione che caratterizza la seconda fase della formazione dello Stato moderno fu una conseguenza della storia religiosa del continente. Con il trattato di Westphalia del 1648 si estende a tutto il continente europeo (e ai suoi domini extraeuropei) il principio cardine che nel 1555 aveva portato alla pace di Amburgo, che aveva segnato la fine delle ostilità fra i protestanti di lingua germanica. A ogni territorio corrisponderà un sovrano, e sarà il sovrano a imporre la sua religione al popolo ponendo fine alle guerre di religione. Lo Stato si avvia quindi a essere una nazione indivisibile, dotata di un potere politico centrale, di una sola lingua e di una sola religione. Con il Romanticismo nascerà infine l’idea delle origini popolari della cultura nazionale che darà vita propria all’idea che esistono genti distinte in Europa, che parlano lingue diverse e professano religioni distinte, anche se tutte riconducibili alle sacre scritture della cristianità.

2. La cittadinanza conferita per locazione è una eredità della prima fase di sviluppo del concetto europeo di Stato; la cittadinanza derivante dal sangue è una eredità della seconda. Oggi non vi è cittadinanza che non sia legata alla concezione nazionale dello Stato, solo che alcune nazioni preferiscono costituire il proprio popolo su basi di natura intrinsecamente spaziale mentre altre ritengono il popolo una entità intrinsecamente temporale. Nel primo caso per essere cittadini di un luogo occorre nascere in quel luogo, nel secondo occorre nascere da persone che possano dire di discendere da chi da tempo immemore appartiene a quel luogo. In ragione della sua evoluzione storica, in Europa prevale lo ius sanguinis, siano gli Stati europei monarchie o repubbliche. Al contrario, tutte le ex colonie europee nel nuovo mondo praticano lo ius soli. È da loro che ritorna quindi in Europa questo retaggio della prima fase dello sviluppo dello Stato, quello territoriale. La storia di questi luoghi, soggetti a colonizzazioni e poi a notevoli flussi immigratori, ha trovato nella natura spaziale della cittadinanza un espediente per poter assimilare il più alto numero possibile d’immigranti senza compromettere la stabilità sociale.

Fra i modelli americani, quello più influente è quello statunitense. Negli Stati Uniti chi nasce sul territorio riceve automaticamente la cittadinanza anche se i genitori ne sono sprovvisti. Allo stesso tempo, chi risiede legalmente sul territorio per più di cinque anni diventa cittadino a tutti gli effetti. All’artificialità della cittadinanza (che può anche non identificarsi con sangue, la lingua e la cultura del luogo) corrisponde l’artificialità della Costituzione repubblicana, che vede nel popolo il potere sovrano. Superato il momento monarchico, lo Stato-Nazione europeo adattato alle esigenze americane ha trovato un modo peri rispettare il modello westphaliano senza dover per questo soggiacere al principio della pace di Amburgo. Fin dall’inizio gli Stati Uniti hanno tollerato la libertà religiosa dell’individuo, applicandola prima a tutte le denominazioni protestanti, poi a tutte le chiese cristiane, infine a tutte le forme del credo religioso, compresa l’assenza di credo religioso. Lasciando indeterminato il carattere del popolo da cui deriva la sovranità, la Costituzione americana riconduce popolo a cittadinanza. Chi è cittadino è parte di un popolo la cui sovranità è in perenne divenire. Cito una canzone di David Byrne, che riassume perfettamente la bellezza e l’angoscia e quindi la responsabilità di questa concezione.

Maybe you wonder where you are
I don’t care
Here is where time is on our side
We’re on a road to nowhere
There’s a city in my mind
Come along and take that ride
and it’s all right, baby, it’s all right
And it’s very far away
But it’s growing day by day
And it’s all right, baby, it’s all right
They can tell you what to do
But they’ll make a fool of you
And it’s all right, baby, it’s all right
We’re on a road to nowhere

3. Siamo pronti in Italia a metterci in cammino su questa road to nowhere? L’indeterminatezza delle origini apre all’indeterminatezza del futuro. Se non c’è un’origine, ma origini, non ci sarà una meta, ma mete. Occorrerà dunque avviarsi in modo pragmatico verso una società davvero aperta, aperta anche all’angoscia di perdere il senso dell’identità derivante dal conoscere la meta. È per questo che gli americani hanno costruito la loro intera cultura intorno alla religione civile. La Costituzione non è solo un contratto regolatore, ma è diventato il motore stesso del discorso della nazione. Tutto origina e ritorna alla Costituzione. Siamo pronti a fare la stessa cosa in Italia? Siamo pronti a negare alla religione cattolica romana lo status di surrogato di religione di Stato? Siamo pronti ad aprire la nostra cultura all’altro che è in noi usando la sola Costituzione come limite? Siamo pronti a rimettere tutto in discussione conferendo davvero eguale diritto ai figli degli immigrati? Siamo pronti a consegnare ai loro figli le chiavi di un ascensore sociale efficiente che solo può dare senso a una nazionalità aperta? O non rischiamo di costruire una cittadinanza di serie B, come hanno fatto gli americani per quasi duecento anni con i neri portati nel nuovo continente in catene? Perché se oggi la cittadinanza americana funziona, avendo persino portato un nero alla Presidenza, ci sono voluti una guerra civile e le lotte per i diritti civili prima di giungere allo stato attuale, che per molti americani è appena dignitoso. È di qualche giorno fa la notizia della liberazione di tre ragazze bianche tenute prigioniere per anni in un sottoscala. Chi le ha aiutate a fuggire, un nero, ha dichiarato: «sono uscite e mi hanno abbracciato. Quando un bianco abbraccia un nero in quel modo, vuol dire che è davvero successo qualcosa di terribile.»

Nei modi e nei toni usati da molti italiani nell’accogliere il nuovo ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge si coglie davvero l’inadeguatezza dell’italiano medio di fronte all’alterità. Non solo sui social media, ma addirittura sulla stampa e in video sono state usate espressioni razziste come «di colore» (come se i «bianchi» non ne avessero). Secondo alcuni sarebbe ancora nostra «ospite», e questo solo per il colore della pelle; secondo altri usurpa ingiustamente il posto di un presunto «italiano», ossia di un bianco.

Per quel che mi riguarda sono del tutto favorevole allo ius soli. Sono stato naturalizzato italiano e posso assicurare che il sangue non ha nulla a che vedere con il processo. Piuttosto ce l’ha la scuola. Ma ricordiamoci che allo ius soli corrisponde uno scatto antropico tutt’altro che modesto. Pensare che si possa aprire la porta alla cittadinanza per nascita con l’attuale mentalità e l’attuale sistema di leggi che governano l’immigrazione è illuderci che un semplice primo gesto spiani la strada a un futuro radioso. Non è così. Se alla scelta dello ius soli non dovesse accompagnarsi la nascita di una autentica religione civile italiana, con cui insegnare a tutti indistintamente che cosa significhi essere italiani, si rischia il ritorno di mostri ritenuti ormai defunti mentre erano solo sopiti. Solo una religione civile e una forte consapevolezza della fragilità del proprio destino possono aiutare a intraprendere una road to nowhere in cui, per dirla con il poeta spagnolo Antonio Machado, «no hai camino, se hace camino al andar». La strada non è segnata. Si fa strada camminando.