Si annunciano grandi manovre di lobbying intorno alla ridefinizione delle regole sulla cosiddetta net neutrality. Lauthority americana delle telecomunicazioni sta infatti per emanare una bozza di nuova regolamentazione di internet che potrebbe cambiare in modo estremamente significativo il volto della Rete per come labbiamo conosciuto sino ad oggi.

1. La Federal Communications Commission (FCC), l’autorità indipendente che negli Stati Uniti sovrintende alle telecomunicazioni, a giorni emanerà la sua terza proposta di riforma dell’architettura normativa di internet. La FCC ha autorità solo sugli USA, ma vista la centralità di questo Stato per tutto ciò che ha a che fare con internet, ciò che verrà deciso a Washington avrà un impatto a cascata sul mondo intero.

Si tratta appunto del terzo tentativo da parte della FCC di intervenire in materia perché i primi due giri di regole erano stati contestati dalle industrie del settore, ed effettivamente dichiarati illegittimi in sede giudiziaria, l’ultima volta a gennaio 2014 dalla Corte d’Appello del District of Columbia.

L’oggetto del contendere è la cosiddetta net neutrality, ovvero il principio che ha caratterizzato internet dalla sua nascita sino ad oggi. In base a questo principio, i fornitori di servizi di accesso alla rete devono trattare tutti i bit allo stesso modo, processando le informazioni in modo imparziale, senza poter dare preferenza ai contenuti capaci di generare più reddito.

In base alla net neutrality, i video familiari delle vacanze devono avere accesso alla rete alla stessa velocità e alle stesse condizioni di un episodio di una seguitissima serie tv. Chi difende questo principio vuole che internet rimanga improntato a questa logica di ferrea democrazia digitale, mentre dall’altro lato della barricata si collocano gli operatori delle telecomunicazioni, che vorrebbero poter offrire un accesso preferenziale a chi è disposto a pagarlo, e così incrementare le proprie opportunità di business e di reddito.

2. Come si diceva, fino a poco tempo fa, almeno negli Stati Uniti, la net neutrality è stata essenzialmente imposta agli operatori in modo informale, perché in quel modo si era sviluppata internet ai suoi origini. Ma dal 2005, la FCC ha iniziato a voler mettere nero su bianco questa regola, per eliminare ogni dubbio sulla possibilità per gli operatori di discriminare in base ai contenuti.

In una prima sentenza del 2010, nel caso Comcast v. FCC, la Corte d’Appello del District of Columbia affermò che la legislazione in materia di comunicazioni, risalente agli anni 30 del Novecento, non attribuiva alla FCC il potere di imporre ai provider (come Comcast) di fornire accesso sulle proprie reti indiscriminatamente a qualunque contenuto. Pertanto Comcast poteva legittimamente rallentare l’accesso per coloro che utilizzavano più banda, come gli utilizzatori di programmi peer-to-peer per scaricare contenuti di notevoli dimensioni complessive.

La FCC però non si arrese e nel 2011 emanò delle regole che imponevano essenzialmente la net neutrality in maniera diretta; anche questa volta un gigante delle comunicazioni, in tal caso Verizon, contestò su un piano strettamente tecnico che la FCC avesse il potere di imporre un simile obbligo, e anche questa volta la Corte d’Appello del District of Columbia le ha dato ragione, con la sentenza di gennaio 2014 ricordata poco sopra.

Sembra, allora, che dopo questa nuova bocciatura la FCC, i cui membri sono peraltro cambiati nel frattempo, abbia deciso di accettare le restrizioni che le vengono dal giudiziario. Il suo portavoce, infatti, nel preannunciare la bozza di nuove regole che a breve sottoporrà all’attenzione (e al lobbying) del pubblico e in particolare dei vari stakeholder, ha lasciato intendere che queste regole daranno spazio ad un’internet a due velocità, dove i provider potranno offrire corsie di traffico internet più rapido a quelle aziende disposte a pagare per dare ai propri clienti un accesso preferenziale: si pensi a una realtà in crescita come il fornitore di tv online Netflix, che avrebbe tutto l’interesse a pagare un supplemento al fine di consentire ai suoi clienti di scaricare più rapidamente i propri contenuti, o a Google, che potrebbe voler ridurre al minimo la durata del buffering dei video su YouTube ed essere disposta a pagare gli internet provider per ottenere questo risultato.

Questo cambio di rotta di fatto non fa altro che prendere atto che internet non è né più né meno che un’enorme autostrada digitale, dove circola di tutto, ma dove alcuni possono avere interesse a circolare più rapidamente di altri.

Ciò che la net neutrality fa è imporre a tutti la stessa andatura, escludendo il meccanismo dei prezzi nel regolare l’accesso a internet: i prezzi, infatti, segnalano i momenti in cui c’è maggiore richiesta di banda, e quelli in cui invece il traffico è più ridotto, e la legge della domanda e dell’offerta può consentire agli operatori di capire quali punti della propria offerta è utile rafforzare, e in quali altri invece vi è una sovracapacità, agendo di conseguenza.

Imporre agli operatori di telecomunicazioni di fare a meno del sistema dei prezzi, esattamente come imporre ai gestori di un’autostrada di far circolare tutti gratuitamente, o allo stesso prezzo -indipendentemente dalle dimensioni o dal peso dei veicoli - può creare ingorghi e difficoltà di gestione.

Chiaramente, il rovescio della medaglia è che, in un’internet a due velocità, chi non ha le risorse per sostenere i costi della corsia premium rischierebbe di vedersi rallentato e così progressivamente tagliato fuori dalla concorrenza, mentre la net neutrality garantisce una sorta di pari opportunità che fa in modo che le Amazon o le Facebook del futuro non vengano uccise sul nascere, quando sono ancora deboli, per l’incapacità di sostenere i costi della fascia alta del mercato.

Tuttavia, i policy-maker  hanno altri strumenti per intervenire, se lo vogliono, a riequilibrare condizioni di svantaggio di competitor appena entrati nel mercato. Si pensi alle misure a favore delle imprese di nuova costituzione, specialmente se innovative, nonché a tutto l’arsenale della legislazione in materia antitrust, che già consente di prendere di mira eventuali accordi anticoncorrenziali, o comportamenti di abuso di posizione dominante da parte di imprese leader di un dato settore, o fusioni e acquisizioni che restringano significativamente gli spazi di concorrenza. Ad esempio, il governo americano ha il potere di bloccare la proposta fusione tra la stessa Comcast e Time Cable, se riterrà che la nuova società finirà inevitabilmente col dare preferenza sulla propria rete ai propri contenuti, o comunque ha il potere di imporre adeguate cautele perché ciò non accada.

3. Dal canto suo, l’Europa sta a propria volta valutando, sul finale della legislatura, se imporre la net neutrality alle imprese operanti nell’ambito del suo territorio, e dopo forte lobbying delle associazioni dei consumatori e dei sostenitori di internet libero, il Parlamento Europeo ha in effetti approvato norme piuttosto stringenti sull’imposizione del principio di neutralità della rete. Le norme però dovranno ancora passare al vaglio del Consiglio, e sarebbe auspicabile un ripensamento da parte dei legislatori europei.

Per quanto nasca da un nobile intento, infatti, la net neutrality di fatto finisce col nascondere sotto il tappeto differenze che esistono nel mondo, e che tendenzialmente derivano solo dalla maggiore capacità di alcuni operatori di soddisfare le esigenze dei consumatori rispetto ad altri, il che consente loro di crescere e di avere più risorse per soddisfare sempre meglio i propri clienti.

La diversificazione dell’offerta è la chiave per qualunque mercato funzionante e la protezione di chi resta indietro sembra dover essere affidata a misure di altro tipo, rispetto a divieti rigidi che rischiano di impedire l’innovazione e l’adattamento alle esigenze dei consumatori. Specie in un momento in cui gli Stati Uniti si avviano verso una maggiore tutela della libertà economica degli internet provider, la UE farebbe bene a riflettere a fondo se si possa permettere di bloccare innovazione e sviluppo, in nome di un’uguaglianza che più che dei punti di partenza finisce con l’essere dei punti d’arrivo, e che in quanto tale non ha meno difetti nel mondo digitale rispetto a quello reale.