Lo scorso 12 Giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti ha decretato che il il DNA umano non può essere brevettato. La sentenza mette fine a un lungo dibattito e ha portato a un abbassamento considerevole dei costi per i test genetici con fini preventivi. Le questioni riguardanti la gestione dei dati genetici, la loro acquisizione e diffusione sono temi delicati ed eticamente controversi, tanto che vale la pena chiedersi di chi è il nostro DNA e quali diritti sono in gioco quando parliamo di genoma.
1. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso che il DNA umano non può essere brevettato perché i geni sono un prodotto della natura e non un’invenzione dell’uomo. A prima vista, l’esito della sentenza può apparire quasi triviale: il senso comune non ci dice forse che è ovvio che il DNA sia qualcosa di naturale? In realtà, le cose sono più complicate di così e la sentenza è l’ultima tappa di una lunga storia iniziata nel 1997, quando la Myriad Genetics, una compagnia americana con sede in Utah, sequenziò e brevettò i geni BRCA, caratteristici del cancro al seno e alle ovaie.
Grazie al brevetto, la Myriad Genetics ha potuto detenere il monopolio sui test genetici di prevenzione per questo tipo di tumore e, di conseguenza, stabilire prezzi altissimi per le analisi guadagnando enormi somme di denaro. Nel 2001 l’ufficio brevetti americano stabilì che il DNA poteva essere brevettato se veniva isolato nel suo stato naturale dalle altre molecole a esso associate per natura. In questo modo la Myriad ha potuto continuare la sua politica di prezzi esorbitanti fino al 2010, quando un tribunale dello Stato di New York dichiarò i brevetti sui geni BRCA non più validi. Nel 2011 la Corte d’Appello Federale ribaltò la sentenza del 2010 affermando una sostanziale differenza tra DNA isolato e DNA lasciato nella sua forma naturale. Adesso, invece, con la decisione della Corte Suprema, i brevetti sui geni umani sono definitivamente decaduti, le aziende che possono offrire test genetici sono aumentate notevolmente e i prezzi per i test di prevenzione sono immediatamente diminuiti. La sentenza, però, non si ferma qui. I nove giudici hanno infatti deciso all’unanimità di distinguere DNA che esiste in natura e DNA creato in laboratorio e, quindi, considerato artificiale. Il DNA di questo secondo tipo continua a essere regolato dalla legge sui brevetti e non si tratta certo di un dettaglio visto che si tratta di molecole fondamentali per la produzione di medicinali e, nell’era della biologia sintetica, di brevetti da milioni di dollari.
2. Come dobbiamo interpretare quindi la sentenza della Corte Suprema? L’American Civil Liberty Union ha gridato vittoria definendo la decisione della Corte uno storico passo avanti non solo per la libertà civile e scientifica, ma anche per i pazienti. In realtà, una certa prudenza nel valutare questa decisione sembra necessaria. Dal punto di vista pragmatico dei fatti la sentenza è in realtà poco rilevante perché i brevetti delle compagnie come quello della Myriad Genetics erano in scadenza e, quindi, sarebbero comunque scomparsi “naturalmente” nel giro di pochi anni. Inoltre, la sentenza non riguarda molti test genetici che si concentrano non su interi geni, ma solo su parti di essi. La sentenza, quindi, non ha effetti particolarmente clamorosi nella pratica, ma soprattutto, dal punto di vista etico, non risponde alla domanda cruciale se abbia senso brevettare composti chimici e molecole biologiche.
E’ moralmente accettabile brevettare molecole e proteine?
Quella dei brevetti è una questione spinosa non solo per la biologia, ma in questo caso sembra particolarmente controversa. La prima considerazione che è necessario fare riguarda cosa è il DNA. Come la stessa sentenza della Corte Suprema afferma, i geni che compongono il nostro corredo genetico sono sicuramente delle molecole chimiche, ma sono soprattutto delle informazioni che riguardano noi stessi. Di conseguenza la domanda che dobbiamo porci è se ha senso brevettare una informazione. Se pensiamo ad altri contenitori di informazioni, come sono i libri, i cd musicali, o i software appare abbastanza chiaro che, sebbene questi abbiano una qualche struttura fisica e siano oggetti più o meno tangibili, non avrebbe molto senso pensare di brevettarli. Le informazioni, per loro stessa definizione, sono qualcosa da scambiare e non da custodire e utilizzare solo per scopi privati. Non è, infatti, un caso che quella legata all’informazione sia una classe di oggetti protetta da un altro tipo di norma, quella cioè del diritto d’autore. Se, però, ha senso pensare che l’autore di un libro o un musicista possa disporre del proprio lavoro, non sembra che questa sia una strada molto promettente per il DNA: possiamo appassionarci nel discutere se l’autore ultimo del DNA sia il processo evolutivo o Dio, ma di certo non ha senso pensare che il suo copyright possa andare a qualche istituto di ricerca o azienda farmaceutica.
I problemi etici legati ai brevetti non si esauriscono però in un cortocircuito di coerenza rispetto all’oggetto che dovrebbero proteggere. Quando si parla di studi di genetica, di medicina e di ricerca scientifica più in generale, ha senso difendere un sistema come quello dei brevetti che non permette un sapere libero e un accesso aperto alle tecnologie?
Nel caso del DNA, la questione riguarda l’enorme quantità di dati che le compagnie custodiscono come segreti di settore. Nel caso della Myriad Genetics, per esempio, poiché milioni di persone hanno deciso di fare il test sui geni BRCA per scoprire la loro predisposizione ad ammalarsi di cancro al seno e alle ovaie, la compagnia ha raccolto un ricco database che conferisce loro un enorme vantaggio nella capacità di interpretare i test e di comprenderne i risultati. Il database è proprietà privata della compagnia e i dati sui pazienti sono trattati come informazioni commerciali riservate. Il fatto che grandi quantità di dati biologici su esseri umani siano sottratti al pubblico è quantomeno controverso: poiché questi dati, basati sul codice genetico di individui specifici, potrebbero costituire elementi fondamentali per trovare una cura per il cancro, sembra assurdo coprirli con la maschera del segreto commerciale e sottrarli all’attenzione e possibilità della comunità scientifica.
Se trovare una cura per il cancro è uno degli obiettivi che riguarda gli interessi e la salute di tutti, cercare un accordo per condividere sequenze di DNA e informazioni cliniche è fondamentale. Inoltre, a livello intuitivo sembra poco convincente pensare che l’analisi di un pezzetto di DNA non appartenga alla persona che si è sottoposta al test e che quindi ha fornito quella sequenza di nucelotidi, ma alla compagnia che esegue gli esami di prevenzione.
Non si tratta dello stesso problema di Henrietta Lacks, la donna le cui cellule hanno permesso di scoprire il vaccino per la poliomielite dopo essere state estratte e diffuse senza che la loro proprietaria (o i suoi discendenti) avessero mai firmato una qualche forma di autorizzazione o di consenso informato. Allo stesso modo, però, la necessità per una legislazione chiara sui diritti che gli individui possiedono nei confronti del proprio corredo genetico è fondamentale, specie in un mondo in cui la ricerca scientifica genetica è e sarà sempre più importante.
3. Le questioni del DNA non riguardano solo chi detiene le informazioni e chi ne ha accesso, ma anche come queste vengono date. In particolare, i test di prevenzione del DNA mettono in crisi il “diritto a non sapere” quali sono le nostre condizioni di salute. L’American College of Medical Genetics ha di recente pubblicato delle raccomandazioni ufficiali riguardo gli esami clinici che riguardano i corredi genetici dei pazienti e, in particolare, quei risultati che vengono alla luce incidentalmente, quando cioè le analisi iniziali erano finalizzate ad altre verifiche.
Per esempio, è possibile che un individuo si sottoponga ai test genetici per verificare se è predisposto a sviluppare una sindrome x, ma al contempo in laboratorio venga testato anche per problemi cardiaci e il rischio di tumore. In questi casi l’ACMG ha stabilito non solo che è immorale non eseguire test genetici che potrebbero svelare sindromi su cui è possibile intervenire, ma anche che i medici devono comunicare i risultati anche di quei test che non sono stati richiesti dal paziente. Non si tratta solo di un problema legato alla questione se sia giusto testare dei bambini per malattie che potrebbero sviluppare nell’età adulta, ma di un vero e proprio attacco al principio di autonomia. Sulla base di una considerazione paternalista rispetto a come i pazienti devono fare i conti con le proprie condizioni, la direttiva dell’ACMG si oppone vigorosamente al diritto di ciascuno di non sapere quali sono le proprie condizioni genetiche e quindi di poter fare scelte autonome nel decidere a quali test sottoporsi, se si decide di farlo.
Inoltre, è bene ricordare che i test genetici usati come prevenzione non sono dei semplici esami del sangue. Capire se si è effettivamente predisposti a sviluppare una determinata malattia non si basa solo su una misura di laboratorio, ma su considerazioni generali variabili, come ad esempio la familiarità, che sono in questo senso decisivi. Per queste ragioni, al di là di celebrità come Angiolina Jolie che promuovono i test e le mastectomie preventive, è fondamentale iniziare a parlare seriamente di regolamentazione dei test e delle procedure con cui questi devono essere esaminati e comunicati.
Non si tratta di questioni semplici, a cui è possibile trovare facili soluzioni ma dato l’impatto fortissimo delle nuove tecnologie mediche e il fatto che l’informazione genetica è uno dei beni più preziosi e personali che abbiamo, è necessario chiarire chi debba poter utilizzare queste informazioni e in che modo.
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