È cominciata la discussione sulla bozza di disegno di legge relativo all'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, che stabilisce il quadro normativo e le linee guida entro le quali potrà muoversi il governo nell'emanazione dei «decreti legislativi aventi ad oggetto l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei principi di coordinamento della finanza pubblica e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni».
L'efficacia del progetto di riforma dipenderà in maniera sostanziale dalle disposizioni contenute nei decreti attuativi stessi ma al momento, pur muovendosi nei ristretti spazi previsti dalla Carta Costituzionale, la bozza di DDL non sembra prefigu-rare interventi particolarmente rivoluzionari.
Il passaggio al costo standard e la responsabilizzazione delle regioni
Appare evidente come una delle misure più rilevanti previste dal DDL sia il passaggio, per quel che riguarda il finanziamento dei livelli essenziali dei servizi contemplati all'ar-ticolo 117 della Costituzione (in particolare Sanità e Istruzione) dall'utilizzo della no-zione di spesa storica a quella di costo standard. In realtà la misura è solo indirettamente collegata al processo di attuazione del federalismo fiscale: la spesa storica è di facile determinazione ma non è un buon concetto per la determinazione del finanziamento neppure per servizi forniti centralmente ed erogati da enti decentrati. Inoltre non è la prima volta che si auspica un passaggio all'utilizzo dei costi standard (già con il decen-tramento della gestione della sanità si sarebbe dovuto progressivamente abbandonare qualsiasi riferimento alla spesa storica) e l'utilizzo del costo standard per il contenimen-to dei costi sarà veramente efficace soltanto se il governo centrale avrà una forte capaci-tà di committment a non intervenire ex-post con il ripiano dei debiti accumulati, come è invece frequentemente accaduto in passato.
L'efficacia del passaggio ai costi standard dipenderà inoltre in maniera cruciale dal me-todo utilizzato per stimare il costo stesso (il costo medio, il costo nella regione più effi-ciente...?) e da una coerente definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, stabiliti in maniera tale da assicurare un servizio adeguato su tutto il territorio nazionale senza compromettere l'autonomia delle regioni nella scelta delle priorità e delle strategie di intervento.
Cosa cambierà davvero per quanto riguarda l'attribuzione delle funzioni?
L'impianto del progetto di riforma, così come sembra emergere dalla lettura della bozza del DDL, si muove nei limiti stretti imposti dalla Costituzione, che prevede:
• l'attribuzione del diritto di cittadinanza ai servizi ritenuti fondamentali (in parti-colare istruzione e sanità), con la conseguenza che deve essere garantita una for-nitura sostanzialmente uniforme di tali servizi su tutto il territorio nazionale, in-dipendentemente da quale sia l'Ente che eroga il servizio;
• la necessità di ridurre le differenze nelle disponibilità finanziarie delle diverse regioni attraverso l'istituzione di un apposito fondo perequativo (come previsto dall'articolo 119 della Costituzione).
Come conseguenza i cambiamenti non potranno essere radicali:
• la gestione dei sistemi sanitari è già, ad oggi, assegnata alle regioni; continuerà ad esserlo con la differenza che l'attribuzione delle risorse finanziarie avverrà te-nendo conto del costo standard e dei livelli essenziali di assistenza stabiliti a li-vello centrale;
• anche l'istruzione verrà finanziata utilizzando il criterio del costo standard; la decentralizzazione del servizio, con l'attribuzione alle regioni di una più ampia autonomia organizzativa così come accade in ambito sanitario, non potrà pre-scindere da un'apposita e specifica riforma del mondo della scuola;
• Le regioni avranno una più ampia autonomia nel determinare tributi propri e/o nel modificare le aliquote di compartecipazione dei tributi statali, oltre a poter disporre, senza vincoli di destinazione, della parte di fondo perequativo even-tualmente non destinata alla copertura delle spese di istruzione e sanità;
• Anche questa maggiore autonomia affidata alle regioni sarà presumibilmente pa-recchio limitata; l'esatta portata della riforma dipenderà da quanto verrà stabilito con i decreti attuativi, ma sembrerebbero prevalere le compartecipazioni e i tri-buti stabiliti dal governo centrale e il cui gettito verrà assegnato alle Regioni.
Redistribuzione e sviluppo
L'impianto della riforma, così come emerge dalla lettura della bozza del DDL, prevede una forte componente redistributiva. Per quanto riguarda le spese della sanità, che ad oggi costituiscono la componente quantitativamente maggiore dei bilanci delle Regioni, è prevista una copertura totale dei costi standard, così come per gli altri servizi ritenuti primari, quali l'istruzione.
Anche per le altre spese è prevista una forte perequazione, anche se non totale, con il risultato che le differenze nelle capacità di spesa deriveranno principalmente dall'even-tuale scelta di applicare aliquote differenti con riferimento ai tributi introdotti dai decreti applicativi.
Sanità e istruzione sono considerati, come si è detto, servizi fondamentali per i quali occorre garantire un'erogazione uniforme su tutto il territorio nazionale, ma fornire ser-vizi adeguati in tal senso non costituisce un motore di sviluppo e non aiuta le regioni meno sviluppate a colmare il gap che le divide da quelle più avanzate.
Per ora il tema del finanziamento di interventi speciali e di sviluppo ("Interventi di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione") viene trattato solo marginalmente nella bozza di DDL. Eppure, come dimostrato dall'esperienza dell'Unione Europea, che finanzia prioritariamente progetti di sviluppo (infrastrutture in primis) questi temi, pri-ma che la fornitura di servizi che pure sono importanti, dovrebbero essere trattati con estrema attenzione, specie in un contesto, quale quello italiano, ancora caratterizzato da forti divari regionali in termini di sviluppo.
Il finanziamento degli Enti Locali
Coerentemente con le riforme approntate negli ultimi anni si procede nella direzione di un federalismo fiscale fortemente centrato sul ruolo delle Regioni (si potrebbe parlare quasi di una sorta di centralismo regionale). Gli Enti Locali avranno un'autonomia mol-to limitata all'interno degli stretti confini posti dalle leggi statali o eventualmente dalle disposizioni regionali, e rimane almeno un forte punto di attenzione. Se da un lato l'im-portanza delle Province è stata sino ad ora quanto meno dubbio, occorre riconoscere che il ruolo ricoperto dai Comuni, nell'attuale assetto federale, è fondamentale. I servizi of-ferti dai Comuni sono direttamente valutabili da parte dei cittadini e il controllo sopra l'operato della classe politica è più diretto che altrove. Dopo l'abolizione (poco opportu-na) dell'ICI, sarà importante che vengano istituite altre fonti di finanziamento dirette, e direttamente collegabili al territorio, in modo da garantire adeguate risorse e da evitare che tali risorse siano solo il risultato di trasferimenti erariali dallo stato o dalle Regioni, in contrasto con qualsiasi impianto coerente di federalismo fiscale.
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