1. I risultati delle elezioni regionali siciliane del 29 ottobre – in sintesi, astensione in fortissima crescita, vittoria del candidato Pd Rosario Crocetta che tuttavia raggiunge appena il 30 per cento dei voti e dunque non ha una maggioranza nell’Assemblea, liquefazione del Pdl, esplosione del Movimento 5 Stelle che con il 14,8 per cento diventa il primo partito – possono avere stupito solo chi non avesse tenuto d’occhio l’andamento dei sondaggi politici in Italia negli ultimi mesi, nonché i trend di voto emersi nelle amministrative della scorsa primavera (per un’analisi puntuale del voto e dei flussi elettorali in Sicilia, rinviamo all’Istituto Cattaneo: basti dire che il Pd ha dimezzato i voti rispetto al 2008, il Pdl ne ha perso i tre quarti, il M5S li ha moltiplicati per cinque, e il totale dei voti validi espressi – poco più di 2 milioni – supera di poco gli 1.800.000 voti che nel 2008 aveva ricevuto da solo il presidente Raffaele Lombardo).
2. Analizzando appunto questi trend, ci chiedevamo, qualche mese fa, se per l’Italia si prospettasse un destino politico “alla greca” o piuttosto “alla francese”. La risposta che dà il voto in Sicilia, se un analogo risultato dovesse ripetersi a scala nazionale, è evidentemente – e malauguratamente – la prima. Aggiungiamo che, qualora le elezioni politiche dovessero tenersi alla scadenza naturale, ossia nell’aprile 2013, esse sarebbero verosimilmente precedute da elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio. Per la dimensione delle Regioni coinvolte, e a maggior ragione se si tenessero in contemporanea, queste due consultazioni acquisirebbero senza dubbio – come e più che nel caso siciliano – valore ed eco politica nazionale. L’effetto non è scontato: si potrebbe immaginare un rafforzamento delle tendenze “disgregatrici” fra le elezioni regionali e quelle nazionali; o viceversa – e per stare di nuovo al caso della Grecia, dove nella scorsa primavera le elezioni politiche furono ripetute a distanza di poco più di un mese – un parziale “rinsavimento” dell’elettorato e delle forze politiche fra una tornata e l’altra.
Di rinsavimento, peraltro, al momento non si vedono tracce. L’aria di campagna elettorale, anzi, contribuisce alla sistematica demolizione che il Parlamento sta facendo della legge di stabilità presentata dal governo Monti, nonché di alcuni provvedimenti precedenti (si vedano le misure proposte per i cosiddetti “esodati”, che così come sono scritte equivalgono né più né meno che a svuotare la riforma Fornero). Si aggiunga quello che stanno facendo i giudici – con le recenti pronunce della Corte Costituzionale che annullano una serie di tagli alle retribuzioni dei pubblici dipendenti – e si vedrà che il rischio che stiamo correndo è quello di subire il contraccolpo in termini di scontento e di rabbia diffusa per una serie di misure che alla fine non saranno neppure implementate. Paradossalmente si potrebbe quasi dire, parafrasando Il Barone Rampante di Italo Calvino, che “viviamo in un paese dove si verificano sempre gli effetti e non le cause”.
3. Intendiamoci: per far fronte alle difficoltà delle casse pubbliche e alla crisi economica si possono immaginare misure diverse da quelle richieste dall’Unione Europea e adottate dal governo Monti. Quello che invece risulta inaccettabile è il puro e semplice rifiuto di prendere atto che queste difficoltà esistono e che, politiche di rigore a parte, l’Italia ha comunque da almeno dieci anni un problema di crescita. Il rifiuto della realtà accomuna, spiace dirlo, l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi quando evoca l’uscita dall’euro e l’aspirante presidente del Consiglio Pierluigi Bersani quando propone una coalizione di governo con Sel, il movimento di Nichi Vendola, promotore di un referendum abrogativo della riforma delle pensioni. E accomuna un’intera classe politica e buona parte delle classi dirigenti italiane, preoccupate in questo momento soprattutto di salvare rendite, siano esse di categoria, di gruppo o individuali. Che gli elettori stiano a casa o votino Beppe Grillo è solo una conseguenza (qui sì, la causa si vede).
“L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto”. Questo, invece, lo scriveva Goethe. Speriamo che, per una volta, si sia sbagliato.
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