È soprattutto a causa della crisi economica e degli scandali bancari che negli ultimi tempi si è assistito a un perdita di fiducia generale nei confronti dei prodotti di investimento derivati. La contingenza ha portato i cosiddetti investitori retail a prediligere forme di investimento in grado di ridurre il profilo di rischio. In questo scenario non stupisce l'interesse per la finanza etica.

 

1. Finanza ed etica sembrano avere poco in comune, ma questo è vero solo in apparenza. Nella società contemporanea il termine finanza definisce la disciplina che studia i flussi di denaro che intercorrono tra individui (finanza personale), imprese (finanza aziendale) e Stati (finanza pubblica). L'attività studiata dalla finanza riveste un notevole valore “sociale” ossia quello di consentire l'ordinato spostamento di risorse da soggetti che ne dispongono, i risparmiatori, a soggetti che ne hanno bisogno, le imprese.

Sebbene negli ultimi anni siano proliferate critiche feroci nei confronti del business finanziario, in molte parti del mondo le due parole “finanza” ed “etica" vanno, in effetti, a braccetto. L’episodio Sisters of Charity of Jesus and Mary ne è, in questo senso, un esempio: le suore irlandesi hanno infatti spuntato 20 milioni di dollari facendo scendere a patti una banca d'affari americana in relazione alla ritardata vendita di un'obbligazione declassata a junk, spazzatura. Dunque non esiste solo una finanza dagli effetti perversi, ma anche una finanza dal volto umano. Ma di che cosa si parla quando si parla di finanza etica?

La teorizzazione di una sinergia tra economia ed etica deve la sua attuale fortuna ad Amartya Sen, economista premio Nobel, il quale sostiene che al valore della ricchezza, elemento base del mercato, debba essere aggiunta anche la felicità, concetto differente da quello di benessere: una persona può dirsi più ricca di un'altra quando è più felice ed ha ottenuto una qualità della vita superiore. Da ciò deriva che la qualità della vita è una variabile algebrica indispensabile nei calcoli economici, sicché il mercato è vero mercato solo nel momento in cui, producendo ricchezza, soddisfa allo stesso tempo attese e valori etici. In quest’ottica, è il risparmiatore a controllore le conseguenze non economiche degli atti e delle azioni economiche.

In prima battuta, possiamo considerare l’investitore etico come colui o colei che non è unicamente interessato al rendimento delle proprie azioni, ma vuole conoscere le ragioni di fondo che permettono questa redditività, le caratteristiche dei beni prodotti, la localizzazione dell'azienda, verificare come vengano condotti gli affari. Di conseguenza, possiamo considera l’investimento etico come la selezione e la gestione degli investimenti (azioni, obbligazioni, prestiti) condizionati da criteri etici e di natura sociale, concetti racchiusi nell'espressione statunitense socially responsabile investment, o in quella britannica di ethical investment.

Benché non vi sia una definizione univoca e condivisa del concetto di finanza etica, possiamo dire, sulla scorta della letteratura sul tema, che con tale concetto si intendono due distinte applicazioni degli strumenti finanziari: da un lato la micro finanza, soprattutto nella sua declinazione del microcredito, rivolta alle fasce di popolazione più deboli, tipicamente quella attuata dalla banche dei poveri nei paesi del terzo mondo; dall’altra, l'investimento etico, ovvero la gestione dei flussi finanziari raccolti con strumenti quali i fondi comuni per sostenere le organizzazioni che lavorano nel campo dell'ambiente, dello sviluppo sostenibile, dei servizi sociali, della cultura e della cooperazione internazionale.

Come messo in evidenza da Gherardini, quando nel mondo del credito si parla di finanza etica, generalmente si assiste all’esposizione del seguente concetto: se il denaro è utilizzato per finanziare attività sociali, il suo uso è etico, presumendo che, in caso contrario, non lo sia. Dietro questa concezione c’è sicuramente una sfumatura ideologica che antepone all’etica del capitalismo e, di conseguenza, del profitto, un’altra etica che vede il denaro come veicolo per qualcosa d’altro, per esempio un’ideologia. La ragione, comprensibilmente, risiede nell’attitudine di una parte del mondo imprenditoriale a interpretare il capitalismo come una corsa selvaggia al denaro, dimenticando che i valori sui quali si fonda sono anche altri. Da qui la comprensibile reazione che pone l’accento sulla finalità nell’uso del denaro quale elemento discriminante per giudicare l’eticità dell’investitore e dell’investimento.

2. L’Associazione Finanza Etica, costituita e promossa dalle principali realtà italiane attive a partire dalla fine degli anni ’70 nella promozione del risparmio solidale in Italia con lo scopo di far crescere la cultura della finanza etica ha presentato, alla fine degli anni ’90, a Firenze, un proprio manifesto contenente le linee guida per orientare l’investimento etico.

In esso, la finanza eticamente orientata:

- Ritiene che il credito, in tutte le sue forme, sia un diritto umano, pertanto non discrimina tra i destinatari degli impieghi, finanziando attività di promozione umana, sociale e ambientale, e valutando i progetti col duplice criterio della vitalità economica e dell'utilità sociale.

I partner si assumono la responsabilità dei progetti finanziati tramite le garanzie sui crediti.

- Considera l'efficienza una componente della responsabilità etica. Posto che un'attività che intende essere socialmente utile sia anche economicamente vitale, l'assunzione di responsabilità è vista sia nel mettere a disposizione il proprio risparmio sia nel farne un uso che consenta di conservarne il valore, come il fondamento di una partnership tra soggetti con pari dignità.

- Non ritiene legittimo l'arricchimento basato sul solo possesso e scambio di denaro,

così che il tasso di interesse diviene una misura di efficienza nell'utilizzo del risparmio e dell'impegno a salvaguardare le risorse messe a disposizione dai risparmiatori e a farle fruttare in progetti vitali; esso è diverso da zero, ma deve essere mantenuto il più basso possibile, sulla base di valutazioni economiche, sociali ed etiche.

- È trasparente, in quanto l'intermediario finanziario etico ha il dovere di trattare con riservatezza le informazioni sui risparmiatori, ma il rapporto trasparente con il cliente impone la nominatività dei risparmi: i depositanti hanno il diritto di conoscere i processi di funzionamento dell'istituzione finanziaria e le sue decisioni di impiego e di investimento.

- Prevede la partecipazione alle scelte importanti dell'impresa non solo da parte dei soci ma anche dei risparmiatori, dando vita a forme che possono comprendere sia meccanismi diretti di indicazione delle preferenze nella destinazione dei fondi, sia meccanismi democratici di partecipazione alle decisioni.

- Ha come criteri di riferimento per gli impieghi la responsabilità sociale e ambientale, introducendo nell'istruttoria economica criteri di riferimento basati sulla promozione dello sviluppo umano e sulla responsabilità sociale e ambientale ed escludendo, per principio, rapporti finanziari con quelle attività economiche che ostacolano lo sviluppo umano e contribuiscono a violare i diritti fondamentali della persona.

- Richiede un'adesione globale e coerente da parte del gestore che ne orienta tutta l'attività.

Qualora, invece, l'attività di finanza etica fosse soltanto parziale, è necessario spiegare, in modo trasparente, le ragioni della limitazione adottata.

Secondo i dati presentati ad ottobre 2012 dalla società di gestione specializzata Ecclesiastical Investment Management, oggi un investitore su 5 dichiara di essere pronto a considerare investimenti etici. Alla base della scelta di investire eticamente non vi sono però solo principi di sostenibilità sociale, economica e ambientale: in molti casi i fondi etici che selezionano nel portafoglio tipologie di investimento con determinate caratteristiche hanno avuto, recentemente, performance migliori rispetto ai fondi consueti e, paradossalmente, oltre il 70% degli investitori che sceglie fondi etici si affida a questa tipologia di investimento esclusivamente in base ai ritorni potenziali.

Dunque la finanza etica sembrerebbe buona ed economicamente vantaggiosa.

Sue Round, responsabile degli investimenti di Ecclesiastical Investment, ha spiegato che questa tipologia di fondi, oltre ad offrire buone prospettive di ritorno, contribuisce allo sviluppo del senso sociale, incoraggiando pratiche di business sostenibile. In Italia, la finanza etica ha visto recentemente una fase di sviluppo importante. Nel marzo 2012, Abi e Confindustria, insieme al ministero per lo Sviluppo economico, hanno rinnovato il protocollo “Responsabilità sociale d'impresa e utilizzo degli indicatori ambientali, sociali e di governance” impegnandosi a dare maggiore diffusione e integrazione della sostenibilità nelle attività delle imprese, mostrando una  sensibilità a più livelli.

Abbiamo citato il Gruppo Ecclesiastical: in esso un team di ricerca si occupa di selezionare le aziende che possono rientrare nel portafoglio, sia sotto il profilo economico che sociale, con una filosofia degli investimenti rivolta al beneficio della comunità. Il gruppo, pur essendo uno delle realtà più importanti, non è l'unico a operare nel crescente settore della finanza etica. Per quanto riguarda l’Italia, possiamo menzionare, per esempio, Etica SGR, che dal 2000 promuove fondi comuni di investimento socialmente responsabili, in una logica che vede l’atto di investire in modo socialmente responsabile quale veicolo per “allargare il tradizionale perimetro di analisi e valutazione di Stati ed imprese utilizzando nei processi di selezione e di gestione dei portafogli finanziari criteri di carattere sociale, etico ed ambientale in presenza di una precisa e responsabile politica di esercizio dei diritti connessi alla proprietà dei titoli”.

In generale, la caratteristica comune a tutte queste società risiede nella tipologia degli investimenti, che non vogliono avere carattere speculativo, sono guidati da un principio etico nella selezione degli emittenti e si ispirano a una filosofia di crescita del risparmio nel medio lungo termine.

3. In conclusione, la finanza etica sembrerebbe, da quanto sopra, un utile approccio per investire i propri risparmi tenendo conto delle problematiche sociali e ambientali connesse all’attività economica. Tuttavia, è bene sottolinearlo, quello della finanza etica è un mondo articolato e complesso che si dipana fra i fondi che devolvono parte dei rendimenti in beneficenza e quelli che investono solo dopo un attento screening etico delle aziende e degli Stati, fra depositi bancari etici e il microcredito veicolante risorse verso progetti di sviluppo sociale nei paesi poveri e non solo. Il fatto che anche in Italia siano aumentati negli ultimi anni gli investitori in finanza etica sta probabilmente ad indicare che esiste una domanda latente di finanza etica ben superiore a quella che si esprime concretamente nelle scelte di investimento.

La domanda che ci si potrebbe porre è se questa potenzialità sia solo apparente, rappresentando piuttosto il riflesso di un’adesione ideologica, oppure se essa sia reale, ma si esprima a fatica a causa di un’offerta ancora debole o poco credibile. Pare difficile, in effetti, dare completamente torto a coloro i quali continuano a pensare che i due termini, finanza ed etica, difficilmente possano stare insieme, anche se in questa sede si è cercato di mettere in luce il contrario, come è difficile dare torto a coloro che vedono l’investimento etico poco interessante per i rendimenti troppo bassi che genera.

Tuttavia, nel medio periodo, bisogna sottolinearlo, il rendimento dei fondi etici ha mostrato di essere in linea con quello delle altre tipologie. In particolare, l’indice Domini 400, uno dei principali indici etici americani, ha prodotto una performance cumulata migliore di quella dell’indice S&P 500. In generale, qui si ritiene che sia necessaria, per validare o meno la potenziale richiesta di investimenti di questo tipo, una maggiore offerta di prodotti finanziari etici: per fare un esempio la BPM già li propone, mentre Banca Intesa non lo fa. Un’offerta più capillare dovrebbe essere una condizione necessaria per gestire la domanda in crescita nei confronti di questi fondi, soprattutto in un paese, come il nostro, in cui il capitale gestito dai fondi etici resta una piccolissima parte rispetto a quello gestito dai fondi di investimento nel loro complesso. Quella stessa piccolissima parte mostra di essere ancora più modesta soprattutto se confrontata con la crescita realizzata, in tal direzione, nel resto dei paesi Europei.