Con sentenza n. 238 del 22 ottobre 2014, la Corte costituzionale ha riaperto una questione, a dir poco spinosa per i rapporti bilaterali italo-tedeschi, la quale sembrava aver trovato soluzione due anni e mezzo or sono, dopo il pronunciamento della Corte internazionale di giustizia dell'Aja (CIG).
1. La controversia riguarda i risarcimenti chiesti alla Repubblica federale dinanzi a tribunali del nostro Paese da parte di internati militari italiani (IMI) e parenti delle vittime degli eccidi nazi-fascisti perpetrati nel 1944 tra Toscana, Veneto ed Emilia. La Germania, che pure non ha mai negato che tali atti fossero da qualificare come crimini di guerra e contro l'umanità, ha però sempre avanzato l'obiezione, secondo la quale, da un lato, i risarcimenti sarebbero già stati corrisposti nel secondo dopoguerra e, dall'altro, i tribunali italiani non avrebbero diritto a conoscere di tali questioni, sulla base del principio dell'immunità degli Stati dalla giurisdizione di altri Stati.
Il principio immunitario è un principio cardine dell'ordinamento internazionale, che si basa sulla sovrana uguaglianza degli Stati e impedisce che uno Stato possa, attraverso le proprie corti, processare un altro Stato. Sono i trattati bilaterali a dover regolare i risarcimenti per danni di guerra, non sentenze di tribunale, pena il riaccendersi di antiche animosità.
Tra il 2004 e il 2009 i tribunali italiani hanno negato che il principio immunitario potesse applicarsi a casi relativi a crimini di guerra o contro l'umanità e hanno quindi ingiunto alla Germania di pagare alle vittime delle stragi o delle deportazioni diversi milioni di euro. Di fronte al rifiuto di Berlino, l'Italia ha disposto l'iscrizione di un'ipoteca giudiziale sulle proprietà della Repubblica federale tedesca in Italia, tra cui perfino il centro di scambio culturale italo-tedesco, Villa Vigoni, sul lago di Como.
Dinanzi al precipitare degli eventi, la Germania, a fine 2009, ha presentato ricorso alla Corte internazionale di giustizia dell'Aja. L'Italia ha accettato la giurisdizione del tribunale, promettendo di volerne osservare il responso. Nel febbraio 2012 la CIG ha confermato le tesi tedesche, negando che si potesse configurare alcuna eccezione al principio immunitario nel diritto internazionale generale. Le ipoteche sono così state cancellate e la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è allineata al giudicato della Corte dell'Aja, che pure auspicava un accordo tra i governi di Roma e Berlino (para. 104).
Nel gennaio 2014, tuttavia, con tre diverse ordinanze, il tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale, inter alia, relativamente alle norme che obbligano il giudice nazionale ad adeguarsi alla pronuncia della CIG anche quando essa ha stabilito l’obbligo del giudice italiano di negare la propria giurisdizione nella cognizione della causa civile di risarcimento del danno per crimini contro l’umanità, commessi nell’esercizio di poteri sovrani (iure imperii) dal Terzo Reich nel territorio italiano in quanto, impedendo l’accertamento giurisdizionale e la valutazione della pretesa di risarcimento dei danni derivanti dalle gravi violazioni dei diritti fondamentali subìte dalle vittime dei crimini di guerra e contro l’umanità, commessi da altro Stato, contrasterebbero con il principio di insopprimibile garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti (artt. 2 e 24 Cost.)
2. Nonostante l'Avvocatura generale dello Stato abbia sostenuto l'inammissibilità del ricorso, la Corte costituzionale ha deciso di entrare nel merito, dichiarando fondata tale questione. Il ragionamento svolto dal relatore, Giuseppe Tesauro, è complesso e si basa in buona sostanza sulla cd. teoria dei “controlimiti” costituzionali. In altre parole, la Corte costituzionale non si sostituisce (né avrebbe potuto sostituirsi) alla Corte internazionale di giustizia nell'interpretazione della consuetudine internazionale, ma si limita a verificare che la norma consuetudinaria così come interpretata dalla CIG sia compatibile con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale italiano, segnatamente con il diritto al giudice (art. 24 Cost.), condizione necessaria perché la norma de qua possa fare ingresso nell'ordinamento italiano per il tramite del meccanismo di adeguamento automatico dell'art. 10 Cost..
Il diritto di accesso alla giustizia opera quindi come “controlimite” alla limitazione di sovranità prodotta dal diritto internazionale. Nell'argomentare nel senso di una violazione dell'art. 24 Cost. e quindi per l'incostituzionalità della norma che autorizza all'automatico ingresso delle norme consuetudinarie così come interpretate dalla CIG, il Giudice delle Leggi ripercorre tuttavia la consuetudine in materia di immunità, sottolineando come, già negli anni '20-'30, fossero state la giurisprudenza italiana e quella belga a far emergere la distinzione tra atti iure imperii (soggetti all'immunità) e atti iure gestionis (non soggetti all'immunità). Come dire, se in passato solo l'Italia ha saputo garantire un'evoluzione del diritto internazionale, l'interpretazione odierna della Corte costituzionale italiana in materia di immunità è particolarmente qualificata e richiede a maggior ragione di essere considerata dagli Stati che finora non l'hanno seguita.
Il “duello” con l'Aja, benché formalmente sopito al punto 2 del considerato in diritto, è in realtà evidente sin dai primi periodi del punto 3. Come già asserito in precedenza da alcune sentenze dei giudici di merito (in particolare si veda l'ordinanza n. 14201/2008 della Corte di Cassazione), la Corte costituzionale non nega che la consuetudine internazionale in materia di immunità sia quella definita dalla CIG, ma, riprendendo implicitamente la dissenting opinion del giudice ad-hoc Gaja, è conscia del fatto che l’effetto di produrre un ulteriore ridimensionamento della portata della predetta norma, limitato al diritto interno sarà tale da concorrere, altresì, ad un’auspicabile e da più parti auspicata evoluzione dello stesso diritto internazionale.
In altre parole, la Corte si spinge a sostenere che la consuetudine internazionale non è qualcosa di trascendente che cala dall'alto e che va accettato così com'è, ma è l'esito mai definitivo delle interpretazioni contrastanti dei tribunali nazionali. E' quindi legittimo che uno Stato utilizzi il proprio diritto interno per modificare la prassi internazionale. A ben vedere, quello che la Consulta sostiene nella sentenza ha un che di esplosivo: il diritto internazionale è un prodotto della prassi degli Stati della comunità internazionale, ciascuno dei quali può modificarlo in ogni momento se in conflitto con quelli che esso ritiene essere i “principi supremi” dell'ordinamento interno.
Lungi quindi dall'“essere limitato al diritto interno”, l'effetto della sentenza si ripercuote immediatamente nel diritto internazionale e si configura, secondo la Corte, come un'eccezione in fieri al principio dell'immunità, mentre, molto più prosaicamente, costituisce una nuova violazione del diritto internazionale da parte dell'Italia e in particolare dell'art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, suscettibile di causare la convocazione straordinaria del Consiglio di Sicurezza.
Il “realismo” quasi posneriano con cui la Corte pare approcciare il diritto internazionale è in realtà funzionale all'instaurazione di un nuovo ordine mondiale fondato sull'idealismo dei diritti umani, nel quale l'immunità è ridotta a ferro vecchio del passato e in cui l'individuo è libero di agire in giudizio presso i giudici del proprio Stato per veder condannato uno Stato straniero, ossia de facto i suoi contribuenti. Di come assicurare che i reali responsabili possano rispondere dei crimini commessi non sembra più preoccuparsi nessuno (sul punto sia consentito rinviare a G. Boggero, “Without (State) Immunity, No (Individual) Responsibility”, in Goettingen Journal of International Law, 2013)
La Corte costituzionale, senza nemmeno considerare l'abbondante giurisprudenza di Strasburgo sull'art. 6 CEDU, stabilisce che il diritto al giudice «è sicuramente tra i grandi principi di civiltà giuridica in ogni sistema democratico del nostro tempo». Esso può senz'altro trovare un limite in altre norme aventi rango costituzionale e recanti interessi pubblici preminenti, ma va comunque verificato alla luce delle esigenze del caso concreto. Ad avviso della Corte, in questo caso, la concessione dell'immunità alla Germania avrebbe come esito quello di negare l'effettività della tutela giurisdizionale ai cittadini italiani per crimini contro l'umanità in maniera non conforme al principio di proporzionalità.
La Corte mostra tuttavia di confondere forma e sostanza, merito e procedura. La domanda sulla natura criminosa degli atti si pone logicamente successivamente alla domanda sulla giurisdizione. Quest'ultima deve vertere sulla natura pubblica o privata degli atti, non su una loro preliminare qualificazione come criminosi o leciti, pena appunto la confusione tra merito e procedura. Né l'auto-qualificazione di parte tedesca degli atti come criminosi può valere come equivalente ad una rinuncia all'immunità. Le garanzie procedurali non hanno infatti un qualche valore applicativo solo se ci si proclama innocenti.
3. In conclusione, con la sentenza del 22 ottobre, la Corte non ha soltanto negato la consuetudine internazionale in ordine all'immunità degli Stati, ma anche quanto ne è corollario, ossia il principio per il quale i risarcimenti per danni di guerra vanno negoziati sulla base di trattative bi- o multilaterali tra Stati. In questo modo, la Consulta ha aperto ad una giurisdizionalizzazione della materia (con profili tutti da verificare in tema di forum-shopping), del tutto in controtendenza non solo con la giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia, ma anche con quella regionale della Corte europea dei diritti dell'uomo. Il prossimo passo sarà la negazione dell'immunità esecutiva, ultima garanzia rimasta alla Germania per poter difendere la propria sovranità ed evitare quindi il pignoramento dei propri beni, alquanto ironicamente destinati a coltivare i buoni rapporti (sic) con l'Italia. Benché Berlino abbia sinora comunicato di non voler commentare la sentenza, in un durissimo editoriale apparso domenica 26 ottobre sulla Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung, il giornalista Reinhard Müller ha chiarito sin d'ora che “La Germania non darà nulla”.
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