1. “Il sole scotta a Cipro” è il titolo di un film degli anni Sessanta ambientato sull’isola negli ultimi anni dell’occupazione britannica. Ebbene, il governo di questa isola mediterranea, nota nell’antichità come dimora di Afrodite e nel presente come paradiso fiscale degli oligarchi russi, dopo avere tre giorni fa dichiarato default e chiesto aiuto all’Ue, si appresta ad assumere fra tre giorni (dal 1° luglio) la presidenza dell’Ue medesima, guidando l’Unione nel semestre probabilmente più difficile della sua storia (la presidenza ruota per ordine alfabetico).

Il sole continua a scottare… ma non solo a Cipro bensì in tutta Europa. La crisi europea dei debiti sovrani, infatti, è una crisi finanziaria ma anche e forse soprattutto una crisi politica e, per conseguenza, istituzionale. E di questa crisi europea la crisi italiana è in parte causa, in parte effetto.

2. Le difficoltà europee a costruire una risposta comune alla crisi sono talmente evidenti da non aver bisogno di illustrazione. E non si vuole entrare nel merito di “quale” sarebbe la soluzione preferibile: il punto è che, apparentemente, non vi è consenso neppure sulla diagnosi della malattia, figurarsi sulla terapia.

La disputa sulle misure economiche da adottare – “rigore vs crescita”, per semplificare, ma è davvero una semplificazione rozza – si presenta però come intrattabile e “inconciliabile” per ragioni che al fondo hanno poco a che vedere con sofisticate disquisizioni teoriche. Il punto è invece che l’area euro negli anni buoni (ossia, fino al 2008) si è retta politicamente su due bugie, ripetute dai governi ai loro elettorati per tranquillizzarli.

Ai popoli “nordici” (e specificamente ai tedeschi) è stato detto che era possibile l’Unione monetaria (e dunque mercati più ampi e niente svalutazioni competitive da parte dei concorrenti) senza mettere in comune null’altro se non la moneta: non la politica fiscale, non i debiti, non i trasferimenti.

Ai popoli “latini” (italiani in primis) è stato invece detto che i debiti pubblici una volta denominati in euro sarebbero diventati sostenibili a prescindere dalle loro dimensioni, e dalla competitività dei sistemi economici sottostanti; e, dunque, che si sarebbe potuto continuare a finanziare a debito la crescita – pressoché nulla, peraltro, da dieci anni a questa parte – rinviando sine die le cosiddette “riforme strutturali” senza incorrere nelle ire dei mercati.

In questo momento, entrambe le bugie mostrano la corda: ciò nonostante, nessuno riesce a dire la verità ai “suoi”. O meglio: in questi mesi in Europa c’è un solo governo che la verità sta almeno provando a dirla (che poi riesca anche a cambiare le cose, questo è un altro problema: ne parleremo più avanti) ed è proprio quello italiano. Ma, non a caso, è un governo formato da non politici, ossia da persone che non hanno la preoccupazione di farsi rieleggere.

Sia detto per inciso: il problema di una politica che ha promesso qualcosa di molto diverso da ciò che può mantenere e che perciò si trova le mani legate è tutt’altro che nuovo. Uno degli ingredienti della Grande Depressione degli anni Trenta del Novecento fu la questione delle sanzioni imposte alla Germania, quando inglesi e soprattutto francesi si rifiutarono – per ragioni politiche – di prendere atto che i tedeschi non potevano pagare le enormi riparazioni di guerra decise a Versailles. Dall’altra parte, in più di una occasione gli stessi tedeschi giocarono al “tanto peggio tanto meglio”, pur di non accettare il principio delle riparazioni e dimostrare che non erano in grado di pagarle. Allora, era in ballo anche il gold standard, ossia la convertibilità delle monete nazionali in oro a un tasso prefissato, abbandonata durante la Grande Guerra e a cui si decise di tornare negli anni Venti: oggi, per certi versi, è l’euro a giocare la stessa funzione di “camicia di forza” rispetto a paesi con livelli di attività economica, di produttività, di tenore di vita e anche di inflazione diversi.

3. Restando all’oggi: al di là delle apparenze, in questo momento il governo italiano sta almeno provando a dire la verità; il  governo tedesco continua a non dirla; il Presidente francese è stato appena eletto sulla bugia di cui sopra; il governo spagnolo ha presentato una richiesta d’aiuto provando a spacciarla per un grande successo; il governo greco…. Ma c’è un governo in Grecia? Il ministro delle Finanze si è dimesso cinque giorni dopo l’incarico… Per non parlare del governo cipriota, di cui si è detto.

Il problema è che il consenso costruito sulle bugie si sgretola facilmente. Lo si è visto in Grecia nelle elezioni politiche di maggio e giugno. Non lo si è visto ancora in Spagna e in Francia: in Spagna, perché le elezioni si sono tenute un anno fa, ossia prima della scoppio della crisi immobiliare-bancaria; in Francia, perché ha retto l’architettura fatta di doppio turno più conventio ad excludendum verso l’estrema destra del  Front National. Lo si sta vedendo in Italia, con il risultato delle amministrative di maggio e dei sondaggi di opinione, da cui si ricava che l’area pro euro al momento viaggia intorno al 45 per cento dei consensi dichiarati (sono percentuali greche…), il Movimento 5 Stelle contende al Pd il primo posto intorno al 20 per cento e l’area del non voto resta stabilmente intorno al 45 per cento.

Di fatto, l’Unione Europea si è retta in questi anni dal punto di vista istituzionale sull’accordo fra governi (uno dei cui risultati è la presidenza cipriota…) e dal punto di vista politico sull’accordo popolari-socialisti. Già la composizione del Parlamento europeo dà un’idea dei movimenti tellurici sottostanti: dal 2004 al 2009, i partiti dichiaratamente euroscettici più che raddoppiano, passando dal 7 al 16 per cento dei seggi. E se nell’opinione pubblica europea si stessero davvero accumulando tensioni intorno alle “linee di faglia”? (già l’Eurobarometro del novembre 2011 mostra cedimenti significativi; si veda anche la serie di Agenda Liberale Politica 2.0, dedicata all’emergere in giro per l’Europa di partiti antisistema).

3. Che cosa potrebbe accadere in Italia al momento del voto, sia questo il prossimo autunno o la scadenza naturale della legislatura nella primavera 2013?

Evidentemente molto dipenderà dalla situazione economica e dalla composizione dell’offerta politica. Il dubbio è se vi sia ancora in Italia lo spazio politico per una competizione bipolare fra una destra e una sinistra alternative ma entrambe “pro sistema” (in Grecia, chiaramente, non c’era; solo un sostanzioso premio di maggioranza ha consentito che si creasse una coalizione fra avversari maggioritaria in Parlamento). In questo quadro, peraltro, le recenti dichiarazioni anti euro dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi assumono un significato molto chiaro: l’astensione è fatta largamente di classe media arrabbiata che si sente di destra o centrodestra, perché non provare a intercettare quel voto su proclami anti “eurocrazia” (dopotutto, sarebbe solo una nuova versione della vecchia bugia)?

Era scontata questa situazione in Italia? No, se una classe dirigente responsabile e credibile avesse appoggiato il tentativo Monti e poi si fosse mobilitata anche nel rank and file per spiegare che cosa si stava facendo e perché era necessario farlo. Invece, dopo poche settimane, i partiti hanno cominciato a prendere le distanze dal governo, e così ha fatto il sindacato e così Confindustria, ciascuno a difesa delle proprie rendite di posizione. Mentre risulta (o dovrebbe risultare) chiaro a tutti che sul piano economico l’Italia è too big to fail e dunque  too big to bail out, non pare essere altrettanto chiaro che la considerazione vale anche sul piano politico: in altri termini, è molto improbabile che l’Unione Europea possa sopravvivere a un’implosione politica italiana.

Insomma, d’estate il sole scotta… ma non è detto che l’autunno sarà più fresco.