Il risultato delle ultime elezioni politiche sembra chiaro e non troppo difficile da interpretare: i partiti tradizionali hanno perso e il MoVimento 5 stelle di Beppe Grillo ha vinto. Le ragioni che hanno portato a questo esito sembrano essere sotto gli occhi di tutti, a cominciare dal carattere troppo blando della campagna elettorale del Pd, per arrivare agli errori strategici di Monti e alle conseguenze degli scandali che hanno investito la Lega.
Non avendo presentato proposte di riforma concrete e comprensibili, i partiti tradizionali hanno ceduto il posto a chi ha saputo ben interpretare quel malessere diffuso sorto con le richieste di austerity e mai pareggiato con tagli e sacrifici da parte della classe politica. Per questo motivo il Pdl, che non può essere definito un partito tradizionale, è riuscito a recuperare consenso nonostante il disastroso punto di partenza dato dall’esperienza dell’ultimo governo Berlusconi. Inoltre, bisogna riconoscere che un merito della campagna elettorale del MoVimento 5 stelle è stato quello di riuscire a comunicare in modo diretto e pragmatico i loro progetti di riforma, altrimenti fumosi. Al contrario, i partiti tradizionali – e in particolare il partito democratico – hanno presentato programmi astratti, privi di progetti di riforma comprensibili, insistendo con richiami identitari a valori e ideali generali che sono inevitabilmente apparsi vuoti o senza significato.
Sebbene questi siano fatti innegabili, sarebbe un errore pensare che l’attuale situazione politica sia stata prodotta solo dalla difficile situazione economica, dall’incapacità di condurre una campagna elettorale seria da parte della sinistra, o dalla perdita di credibilità degli attori politici in generale. Credo che un’analisi sincera e approfondita della questione non possa prescindere dal ruolo importante giocato in questa partita dalle speranze che gli italiani nutrono nei confronti della politica e della giustizia.
Data l’indicazione di forte cambiamento segnata dall’esito elettorale, ragionare sulle speranze degli elettori consente di guardare da un punto di vista privilegiato i motivi di tale segnale. In questo senso, la filosofia politica può fornire alcuni strumenti per comprendere cosa è successo alle ultime elezioni e l’idea di “fede ragionevole” del filosofo americano John Rawls sembra particolarmente adatta a questo scopo.
1. Fin dagli anni Cinquanta, Rawls ha cercato di elaborare una concezione della giustizia adatta a dare forma alle istituzioni di società liberali e democratiche, cioè capace di rappresentare un quadro istituzionale giusto per l’uso legittimo del potere politico. La proposta di Rawls, però, non si limita a fornire una teoria della società giusta, non si preoccupa cioè semplicemente di descrivere come una società giusta dovrebbe essere. Al contrario, l’idea è che affinché una società giusta possa effettivamente realizzarsi non sia sufficiente spiegarne gli aspetti essenziali, ma anche di dimostrare che essa sia una possibilità reale e realizzabile. Una parte importante del lavoro teorico di Rawls, quindi, si occupa di dare ragioni per pensare che una società liberale e democratica, in cui cittadini dotati di un senso di giustizia cooperano in relazioni di reciprocità, non sia una mera utopia, ma una vera e propria opzione praticabile. Attraverso il suo lavoro Rawls ci vuole convincere che la nostra attitudine nei confronti della giustizia deve essere una sorta di “fede ragionevole”, dobbiamo cioè avere una speranza non illusoria che una società giusta ed equa sia possibile per motivarci a realizzarla. Soltanto con una speranza motivata che la giustizia sia un ideale realizzabile e la cooperazione tra cittadini attuabile possiamo pensare di impegnarci nella sua costruzione e mantenimento. In fin dei conti l’idea di Rawls non è così strana e rispecchia un meccanismo psicologico piuttosto semplice: per essere motivati a fare qualcosa dobbiamo pensare che questa cosa sia fattibile. Se non pensassi di essere in grado di scalare il Monte Bianco, difficilmente potrei essere determinata a farlo. Allo stesso modo, se pensassi che una redistribuzione equa e utile delle imposte fosse impossibile, non sarei motivata a contribuire pagando le mie tasse.
2. Cosa c’entra l’idea di fede ragionevole di Rawls con le ultime elezioni politiche italiane? Credo che per capire le ragioni che hanno portato gli elettori a punire i partiti tradizionali e premiare il movimento di protesta di Beppe Grillo sia importante comprendere le attitudini degli italiani verso la possibilità di una società giusta. I partiti tradizionali, infatti, non sono stati in grado di dimostrare ai loro elettori che una società giusta è possibile e, quindi, a motivarli a votare per la sua costruzione. Poiché non hanno creato le condizioni di possibilità per pensare che la giustizia fosse realizzabile in Italia, i partiti tradizionali non hanno dato ragioni agli elettori per sperare in loro e nella loro capacità di costruire una tale società. È evidente che si tratta di un problema di credibilità. Come possono i partiti tradizionali essere convincenti nel proporre una idea di società giusta nel momento in cui è anche loro responsabilità se non ci si può più fidare delle istituzioni? I dati Eurispes sono in questo senso eclatanti: il numero di italiani delusi e sfiduciati nei confronti delle istituzioni è passato dal 68,5% del 2011 al 73,2% del 2013. Si tratta di una tendenza particolarmente rilevante se si considera che lo stesso dato nel 2010 era del 45,8%, segnando così un incremento superiore al 27% in tre anni. Inoltre, gli effettivi ed evidenti privilegi dei parlamentari hanno fatto nascere non solo la retorica sulla cosiddetta “casta”, ma anche la convinzione che la politica non sia altro che uno strumento per arricchirsi e guadagnare prestigio e potere. Date queste circostanze, come potevano gli italiani credere alle ragioni di chi trovavano inaffidabile?
Inoltre, il punto di vista della fede ragionevole può aiutare anche a capire meglio la frattura generazionale segnata dal voto. Come spiegano Marco Albertini, Roberto Impacciatore e Dario Tuorto su lavoce.info, analizzando i voti tra Camera e Senato si evince che il MoVimento 5 stelle è il partito con il differenziale più elevato (si tratta di più di 1.400.000 voti alla Camera rispetto al Senato) e, quindi, con il maggior appoggio tra i giovani dai 18 ai 24 anni. I dati sembrano indicare che il 47% dei giovani hanno votato per il MoVimento 5 stelle. Se, come sembra, siamo di fronte a un fenomeno di generational voting, sembra chiaro ma non banale pensare che questo si sia prodotto perché i giovani italiani non possono ragionevolmente sperare che la società tratterà loro con giustizia ed equità. Negli ultimi anni il cambiamento del mercato del lavoro, reso più flessibile ma privo di ammortizzatori, un welfare orientato verso gli anziani e il cambiamento del sistema delle pensioni hanno inciso fortemente sulle speranze dei giovani e dei giovanissimi.
3. C’è un ultimo elemento che è importante mettere in luce, non tanto per capire l’esito delle elezioni, quanto per prepararsi a quelle che verranno, probabilmente a breve. Il MoVimento 5 stelle non ha vinto perché ha rinvigorito la fede ragionevole degli italiani nella giustizia. Il MoVimento 5 stelle non ha proposto alcun ideale di società giusta e non ha dato motivi per pensare che la società giusta possa esistere. Il MoVimento 5 stelle ha vinto perché, in quanto movimento di protesta, ha catalizzato la sfiducia e raccolto il malcontento. Questo significa che per tornare a vincere i partiti tradizionali, che non sono partiti di protesta, dovranno, invece, convincere di nuovo gli italiani che una società giusta, dove si può cooperare in termini di reciprocità, è possibile e realizzabile. A questo scopo dovranno non solo ricostruire la loro credibilità e affidabilità, ma anche delineare una idea chiara di quale è la società che intendono creare. Rawls ha cercato di motivare i suoi lettori a pensare che la giustizia come equità fosse un ideale realizzabile, ma sapeva benissimo che senza un’idea precisa di cosa fosse la giustizia come equità non sarebbe riuscito a convincere nessuno.
Immagine di Anthony Gormley
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