C’è un’aspetto non secondario dell’attuale crisi che sembra passare sotto silenzio. Se è vero che oggi le economie di tutti i paesi avanzati non crescono, quella italiana non cresce da almeno dieci anni. Questo dato può in parte spiegare come mai, durante il decorso della crisi, il paese ha ottenuto la peggiore performance in termini di prodotto interno lordo di tutti i principali paesi dell’unione monetaria.
Non deve dunque stupire se nel 2013 l'economia italiana si appresta a essere l’unica economia del G8 a decrescere. Nel frattempo, a oltre un mese dalle elezioni, non sembra ancora intravvedersi un accordo per la formazione del nuovo governo, e la possibilità di nuove elezioni politiche dopo l'elezione del Capo dello stato è tutt’altro che esclusa.
Viene dunque da chiedersi: la crisi che attraversa il paese, è contingente o profonda? E se è, come i dati paiono indicare, profonda, da che cosa è determinata?
1. La pubblicazione in Italiano del libro di Daron Acemoglu e James Robinson “Perché le nazioni falliscono” (Il Saggiatore) ci permette di inquadrare la crisi italiana in una prospettiva più ampia, tale da non separare gli aspetti economici da quelli politici dell'attuale crisi.
L’argomentazione degli autori è che, nel corso della storia, i paesi crescono o declinano in ragione del modo in cui le élite dominanti accettano o contrastano l'emersione di nuovi gruppi economici. La crescita economica, infatti, sovverte lo status quo, e ha bisogno di un costante appoggio politico per non spegnersi.
È in un certo senso naturale che chi detiene il potere da più tempo tenda a voler difendere i propri privilegi e continuare ad estrarre risorse dalla società piuttosto che avviare un percorso che possa garantire una maggiore condivisione delle risorse e quindi un maggior benessere per tutti. Ma non è necessario che ciò accada.
Vi sono casi nella storia in cui le élites si sono dimostrate in grado di costruire sistemi politici aperti, inclusivi e pluralisti, evitando il conflitto tra vecchie élites e nuovi arrivati così da permettere la crescita economica. Alcuni esempi sono l’Inghilterra della rivoluzione industriale, la Francia rivoluzionaria e napoleonica, la nascita della democrazia negli Stati Uniti e, in tempi più recenti, l’ascesa del Brasile.
2. L'Italia attuale non pare andare in questa direzione, tanto che nel nostro paese possono essere riconosciute un discreto numero di istituzioni estrattive, ovvero di istituzioni il in cui solo scopo è la conservazione del potere acquisito nel tempo dalle élites dominanti.
In Italia le fondazioni bancarie possono essere ritenute un esempio di istituzione estrattiva. In queste fondazioni, nominalmente private ma controllate dalla politica, vige una forma di cooptazione delle élites cittadine il cui obiettivo è l'autoriproduzione, come testimoniala la rotazione molto limitata delle cariche.
Istituzioni estrattive sono i patti di sindacato con cui con frazioni del capitale è possibile controllare a cascata interi gruppi societari. In questo modo il “capitalismo senza capitale” è in grado di estrarre i benefici del controllo, sotto forma di remunerazioni non collegate alle performance aziendali, vendite tra società dello stesso gruppo, oltre divertissement per il proprietario (cavalli da corsa messi in capo a una società assicurativa Fondiaria-Sai).
E nel frattempo le imprese vere rimangono senza capitale: le Assicurazioni Generali, unica multinazionale finanziaria italiana degna di questo nome, non può cogliere le occasioni di sviluppo che si presentano perché i principali azionisti da una parte non vogliono ridurre la loro percentuale di possesso in caso di aumento di capitale, e dall’altra impongono investimenti estranei al core business della società (per esempio Telecom Italia) al fine di impedire l’ingresso di soci stranieri.
L’ultimo episodio di questa storica tendenza si sta consumando in queste settimane in RCS, dove un gruppo eterogeneo di azionisti non direttamente interessato al settore dei media è impegnato a lesinare risorse per un’impresa che chiude i bilanci in consistente perdita e deve gestire il cambiamento strutturale dalla carta a internet.
Infine, istituzioni estrattive sono gli ordini professionali, che difendendo formalmente la deontologia e la qualità delle professioni, riescono a neutralizzare ogni tentativo di riforma, creando barriere all’ingresso e sfruttamento dei nuovi entranti. E si potrebbero fare ancora tanti altri esempi, dal sindacato che rappresenta prevalentemente pensionati e non lavoratori attivi, all’Università che cerca di riprodurre sé stessa, producendo laureati per i quali la divaricazione tra competenze acquisite e lavori disponibili è sempre più forte.
3. Così declina oggi un paese che passa il tempo a discutere di stipendi dei politici e del costo del caffè alla buvette di Montecitorio e dimentica tutto il resto, senza avere un’idea di sé nel Mondo.
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