Jocelyn Maclure e Charles Taylor, due autorevoli studiosi canadesi, sono stati chiamati nel 2007 dal governo del Québec a far parte di una commissione incaricata di definire le "pratiche di accomodamento" relative alle differenze culturali. Le conclusioni cui è giunto questo gruppo di lavoro, arricchite dal dibattito pubblico che ne è scaturito, sono riassunti in un saggio, La scommessa del laico, recentemente pubblicato in Italia da Laterza.

E' interessante osservare come il tema della laicità – tutt'altro che un'anomalia nostrana – sia visto e dibattuto fuori dall'Italia e dall'Europa, in un contesto completamente diverso.

1. La laicità è una componente essenziale della democrazia liberale e costituisce una delle sfide più importanti del mondo globalizzato. Secondo gli autori, la laicità è sicuramente fondata sulla neutralità dello Stato in questioni di fede, altrimenti non-credenti e minoranze religiose diventerebbero cittadini di serie B. Ma "compiacersi della propria neutralità non basta", e le varie definizioni, per quanto ci si sforzi, non forniscono risposte adeguate alle nuove istanze. La laicità non si lascia descrivere da formule semplici e il "pluralismo morale" è uno dei più controversi argomenti della filosofia contemporanea. Infatti Rawls parla di "consenso per intersezione": valori convergenti su un terreno comune, al quale i gruppi sociali e gli individui pervengono attraverso percorsi i più diversi e lontani.

Maclure e Taylor prendono in esame i modelli di laicità proposti da Francia e Turchia agli inizi del '900, per respingerli in quanto impositivi di una morale di Stato, una sorta di religione civile che spinge i cittadini a emanciparsi dalla tutela delle autorità religiose. Ma non bisogna confondere la laicizzazione delle istituzioni con la secolarizzazione della società: lo Stato deve tutelare la prima senza promuovere la seconda. "Lo Stato laico, prendendo le distanze dalla religione, adotta il punto di vista degli atei e degli agnostici", affermano gli autori.

Vi sono dunque vari regimi di laicità. Un eccesso di rigore laico comporta una minore libertà religiosa, una pressione per l'emancipazione produce una minore integrazione. Alla "laicità repubblicana" di stampo francese i due autori contrappongono la "laicità aperta, liberal-pluralista" scelta appunto dal governo del Québec. Una laicità in evoluzione, non statica, che punta a un "ragionevole riconoscimento delle differenze", anziché annullarle. Un punto di equilibrio ottimale fra la laicità delle istituzioni e la libertà di religione, importante "sottoprodotto" della libertà di coscienza.

Nell'illustrare le caratteristiche del modello Québec, i due autori sostengono la necessità di una "convivenza multiculturale", tale da consentire alle studentesse musulmane di indossare il velo islamico a scuola, contrariamente a quanto stabilito in Francia. L'accomodamento ragionevole – cioè il venire incontro nei limiti del possibile alle istanze di manifestazione religiosa – costituisce per la laicità aperta una obbligazione giuridica, in quanto tutela dell'esercizio di diritti fondamentali. "Il multiculturalismo affonda le sue radici nel liberalismo e non nel relativismo morale e culturale". Le credenze religiose sono elemento fondamentale nella vita degli individui – affermano i due studiosi canadesi – e dunque non equiparabili a semplici "gusti dispendiosi", a una qualunque altra generica preferenza o capriccio personale. Vietare indifferentemente tutte queste istanze, in nome di una neutralità assoluta della laicità, costituirebbe una discriminazione indiretta nei confronti delle religioni, in quanto "convinzioni fondamentali". Ledere queste ultime rappresenterebbe una ferita all'integrità morale degli individui.

2. Avanzare un'istanza personale sulla base di una convinzione religiosa, spiegano Maclure e Taylor, è legittimo, a patto che il ricorrente "creda sinceramente" di dover rispettare un precetto religioso, del tutto indipendentemente da quanto sostengono le dottrine ufficiali. Così il tribunale non dovrebbe entrare nel merito dei dogmi delle varie confessioni e si arricchirebbe il processo di "protestantizzazione e individualizzazione della fede". Il rischio di proliferazione e di banalizzazione delle istanze di accomodamento sarebbe un male minore, sostengono i due studiosi, rispetto a quello di reprimere la libertà religiosa e di coscienza.

Non si vedono ragioni di principio per isolare la religione, si legge nelle conclusioni. L'evoluzione delle società democratiche suggerisce che sia giunto il momento di ripensare la laicità, perché le sfide del presente hanno una natura diversa, dunque occorre "gestire la diversità". Sin qui Maclure e Taylor.

Diciamo francamente, senza troppi giri di parole, che le tesi dei due studiosi canadesi non convincono. Per quanto assai diffusa in certi ambienti "liberal" nordamericani e nella cultura della sinistra europea, questa mentalità certo è aperta e tollerante, ma non è affatto realistica. Non tiene conto cioè del fatto che assai spesso né le confessioni religiose né gli individui religiosi sono autenticamente disponibili ad "accomodamenti ragionevoli", se non in forme e circostanze del tutto contingenti e strumentali.

Se oltre ad analizzare i casi paradigmatici di Québec e Francia, i due autori prendessero in considerazione, per esempio, la situazione italiana, scoprirebbero che le cose sono più complicate del previsto. La Chiesa cattolica in Italia, dove gode di un potere superiore rispetto a qualsiasi altro paese occidentale, non è affatto disposta ad accettare una laicità come quella descritta in questo saggio, fondata sulla neutralità dello Stato. Un recente libro del cardinale di Milano Angelo Scola ("Non dimentichiamoci di Dio", Rizzoli) afferma che il "peccato originale" della laicità risiede proprio nel principio di neutralità, che sarebbe frutto del "neo-liberalismo contemporaneo".

Lo Stato che si definisce neutrale – sostiene il cardinale che ha fallito di poco il soglio pontificio - culturalmente non è imparziale, ma assume un atteggiamento "laicistico" che, attraverso scelte legislative sui temi eticamente sensibili, diviene nei fatti ostile alle identità culturali di matrice religiosa. Contro questo pericolo, Scola propone di "ripensare il tema della a-confessionalità dello Stato", appunto in una visione di "rinnovata libertà religiosa".

Non la disponibilità a "ragionevoli accomodamenti" quindi, bensì un forte potere di veto sull'attività legislativa dei parlamenti nazionali, è il principio ispiratore della Chiesa cattolica, nella autorevole visione di Angelo Scola – il quale fra l'altro definisce del tutto impropriamente "neo-liberale" la neutralità dello Stato laico, mentre essa è da sempre un tratto fondamentale del liberalismo classico.

3. Con interlocutori di questo genere, la "convivenza multiculturale" auspicata dal Maclure e Taylor si rivela nulla più di un lodevole auspicio. Se la Chiesa cattolica mira dichiaratamente a superare la "a-confessionalità" dello Stato, a maggior ragione questo problema si pone nei confronti mondo musulmano, dove la distinzione (tutta occidentale) fra potere politico e potere religioso è sempre stata assai labile o inesistente.

Il ritenere che la politica di accomodamento nei confronti delle pratiche religiose possa favorire l'integrazione degli immigrati islamici, si è rivelato quasi sempre una pura illusione, specie se rivolta a individui e gruppi che non hanno la benché minima intenzione di integrarsi, come dimostrano questioni scabrose quali la libertà sessuale e l'emancipazione della donna. Il nord Europa, per esempio, ha implementato politiche estremamente tolleranti verso la pratica della religione musulmana. Eppure, proprio in quei paesi, si sono verificati su larga scala e a catena episodi di violenza e minacce, in particolare nei confronti degli ebrei.

Per contro, è tutto da dimostrare – sul piano logico e filosofico – che una laicità rigorosa significhi necessariamente adottare, da parte dello Stato, "il punto di vista degli atei e degli agnostici", come scrivono Maclure e Taylor. Al contrario, in uno stato di diritto laicità significa "non" adottare alcun punto di vista specifico. Ugualmente, è tutto da dimostrare che una laicità rigorosa comporti necessariamente una limitazione della libertà di religione: al massimo può impedire alcuni comportamenti esteriori e secondari, come nel caso del velo islamico nella aule scolastiche.

Inoltre è assolutamente inaccettabile, da un punto di vista liberale, la distinzione fra le convinzioni cosiddette "fondamentali" (incluse quelle religiose) che se violate metterebbero a rischio l'integrità morale di un individuo, e altre abitudini di vita da considerare irrilevanti, in quanto preferenze generiche o gusti personali. Come potrebbe un magistrato sindacare su questa distinzione? Come potrebbe valutare se un individuo "crede sinceramente" in una determinata circostanza? In questo sindacato ispettivo del giudice, allora sì, sarebbe fortemente insito il rischio di uno Stato etico e non di diritto.

Sempre in riferimento all'esperienza storica del Québec, Maclure e Taylor ci informano che la scuola pubblica è stata de-confessionalizzata nel '98, quando l'insegnamento della religione cattolica o protestante, invece di essere abolito tout court, è stato sostituito da lezioni di "Etica e cultura religiosa". Forse sarebbe stata auspicabile la prima soluzione, invece i due studiosi si mostrano assai orgogliosi della seconda. Niente di male. In ogni caso, non pare che in Italia si sia molto vicini a questo risultato. La strada della laicità, comunque la si voglia definire, si presenta ancora molto lunga e impervia.