1. Che fa il Parlamento mentre lo spread risale, la borsa riscende, si aggrava l'emergenza dei conti pubblici, e le tasse son sempre più insostenibili (con tanto di conseguenti suicidi)? Trova il tempo di occuparsi di un fondamentale disegno di legge, primo firmatario l'On. Laura Froner (Pd), intitolato Disposizioni in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi, per acchiappare in un solo colpo sotto l'ombrello regolatore tutti i mestieri che sinora - per loro fortuna - vi erano sfuggiti.

Il disegno di legge in questione, il C-1934, è stato approvato in prima lettura alla Camera, ed è ora all'esame del Senato (con il numero S-3270): non si tratta quindi di una delle tante iniziative estemporanee lanciate da un parlamentare buontempone in cerca di notorietà. No, stavolta fanno sul serio, ed è quindi necessario che chiunque veda i rischi di un simile progetto faccia sentire la propria voce, perché i parlamentari si fermino in tempo, e magari si dedichino a cose più urgenti.

2. Che cosa prevede, dunque, il ddl in questione? Intanto, allarga a dismisura la nozione di “professione”, considerando tale essenzialmente qualunque attività «esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo»: perciò, par di capire, pure il raccontare favole ai bambini per strada, o il predire il futuro leggendo le carte o la mano (del resto, l'albo dei cartomanti fu davvero una delle pazze proposte di cui sopra, nel 1982 e nel 1996).

Ma soprattutto, il ddl è viziato da un'evidente mentalità anti-liberale, che è il più grande motivo della sua pericolosità. Esso contiene infatti le seguenti disposizioni: «L’esercizio della professione è libero e fondato sull'autonomia, sulle competenze e sull'indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica, nel rispetto dei principi di buona fede, dell’affidamento del pubblico e della clientela, della correttezza, dell'ampliamento e della specializzazione dell’offerta dei servizi, della responsabilità del professionista».

3. La seconda parte, una serie usuale di parole fumose di scarsissimo contenuto precettivo,  suggerisce l'eliminazione degli enti non necessari, e francamente non si vede la necessità di scrivere in un testo di legge simili ovvietà. Ma è la prima parte quella più criticabile: forse non ci facciamo più caso, ma le leggi che “autorizzano” un’attività, o la dichiarano “libera”, o - come fa questo stesso ddl più di una volta - stabiliscono che i soggetti interessati “possono” fare una determinata cosa, sono leggi che semplicemente non dovrebbero esistere.

Infatti, in un ordinamento che tutelasse la libertà, dovrebbe vigere il principio per cui è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato. Anche se non lo si scrive in Costituzione (come aveva proposto di fare in un frangente di amore per la libertà Giulio Tremonti), tale principio dovrebbe essere immanente in qualunque sistema ispirato a principi quantomeno liberaldemocratici, come dovrebbe essere quello italiano: lo si ricava infatti dalle norme che garantiscono la libertà personale e le sue declinazioni (artt. 13 e seguenti Cost.), la libertà economica (art. 41, nonostante tutti i suoi difetti), la riserva di legge in materia di prestazioni personali e patrimoniali (art. 23).

Lo scrivere che «L’esercizio della professione è libero» tradisce invece nei firmatari della proposta di legge e nella vastissima maggioranza della Camera che l'ha votata (383 favorevoli e solo 19 contrari) una mentalità che ragiona in modo opposto, ovvero una mentalità secondo la quale è necessario dire espressamente che qualcosa è permesso, o si "può" fare, perché quella determinata attività si possa davvero compiere liberamente.

4. È una china pericolosa, che fa capolino sempre più spesso (si v., ad esempio, il regolamento del Comune di Torino per la disciplina delle attività di acconciatore ed estetista) e a cui, come si accennava, forse ci siamo ormai così abituati da non notarla neanche più. Ma è una china contro cui occorre reagire, affinché si restauri il corretto rapporto tra individuo e potere coercitivo pubblico: anche se può trattarsi di questione meramente simbolica, come noto anche le “idee hanno conseguenze”, e l'idea che occorra un permesso esplicito per poter intraprendere una determinata attività ha la conseguenza di farci incamminare su una via di sudditanza.

Ma v'è dell'altro: infatti si aggiunge l'immancabile corredo di regolamentazione, il cui effetto rischia di essere la solita ulteriore burocratizzazione, già ben oltre i limiti di tollerabilità. Così, l'art. 4 del ddl stabilisce che l'obbligo di pubblicare una serie di “elementi informativi”, dettagliati all'art. 5, sul sito internet delle associazioni di categoria.

E poi vi è l'apparente pleonasmo dell'art. 6: «la presente legge promuove l'autoregolamentazione volontaria». In realtà, tanto autoregolamentazione e tanto volontaria non è, perché le "associazioni" e le “forme aggregative” di queste nuove professioni senza albo vengono cooptate nell'opera di redazione della «normativa tecnica UNI» che dovrà governare la «qualificazione della prestazione professionale» e l'esercizio concreto dell'attività. E così si getta un po' la prima pietra di un albo dei senza albo, che sembra di poter scorgere nel libro dei sogni “onniregolatori” dei promotori del ddl.

Il tutto, mentre non è ancora chiaro che fine abbia fatto il comma 1-bis dell'art. 29 del d.l. 98/11, secondo cui «il Governo formulerà alle categorie interessate proposte di riforma in materia di liberalizzazione dei servizi e delle attività economiche; trascorso il termine di otto mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto [avvenuta il 17 luglio 2011, NdR], ciò che non sarà espressamente regolamentato sarà libero». Gli otto mesi sono passati, ma il Parlamento, anziché trarne le conseguenze, sembra voler piuttosto fare marcia indietro, sentendo il bisogno di dare a tutte le attività non già di per sé regolamentate con ordini o collegi la propria autorizzazione, e trovando così il modo per mettere comunque il proprio cappello su di esse.