1. Una riforma ci vuole. Una voce fuori dal coro? Forse. Ma in questi giorni in cui il “decreto liberalizzazioni” è all’esame del Parlamento e il “foro” italiano si oppone al cambiamento, che un avvocato scriva a favore della riforma voluta dal Governo Monti fa capire che non tutti sono d’accordo con la protesta degli indignados togati in Piazza Colonna.

Alla battuta per cui “agli avvocati manca soltanto il clacson dei tassisti per vincere la battaglia contro la riforma del loro mestiere”, si può rispondere con Flaiano: “la situazione è grave ma non è seria!”.
Iniziamo col dire che era ora che si riprendesse in mano la riforma di una professione antica, fondamentale nella convivenza tra i cittadini, gloriosa per molti colleghi che l’hanno interpretata in modo alto, mettendo sul tavolo anche la loro sicurezza personale o, drammaticamente, anche la loro vita. Tutto ciò non deve però impedire di constatare che il mondo cambia e le regole del gioco devono adattarsi, auspicabilmente anticipando i fenomeni, anziché subirli.

2. Il mercato professionale. Guardiamo alla situazione di mercato: oggi, anche a causa delle crisi economica, la domanda di posti di lavoro è di molto superiore all’offerta. L’Università sforna ogni anno migliaia di laureati in giurisprudenza, un numero sicuramente eccessivo rispetto alla richiesta e con una preparazione di base per lo meno da rivisitare, sia nel contenuto sia nelle modalità di apprendimento.
Come dimostrano le ultime statistiche, a fronte di poche, grandi realtà associative, la professione è ancora svolta per la stragrande maggioranza dei casi, soprattutto da Roma in giù, da singoli avvocati con un sostituto (come si diceva una volta) e una segretaria. Il reddito medio italiano del nostro mestiere è un dato che, a mio parere, non significa nulla: fa la media infatti tra professionisti milionari e giovani che faticano a coniugare il pranzo con la cena.
Certo all’interno di questa tematica c’è una criticità fiscale: la non deducibilità del costo legale per la persona fisica cliente. Tale aspetto divide il mercato in due grandi e diversi contesti operativi. Chi lavora per le imprese e chi per i privati. Le conseguenze incidono profondamente sul modello organizzativo e sui profitti dei singoli professionisti.
Detto ciò, vediamo come siano intervenuti nella materia gli ultimi quattro decreti (d.l. 13 agosto 2011, n. 138, c.d. “manovra bis”; d.l. 12 novembre 2011, n. 183, c.d. “legge di stabilità”; d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, in materia di consorzi di garanzia; d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, sulle c.d. “liberalizzazioni”).

3. Abolizione delle tariffe professionali. Era ora che ci si rendesse conto che le tariffe non erano più applicate sul mercato da tempo. La giurisprudenza comunitaria e nazionale le considerava già illecite. Pertanto, si è semplicemente fotografata la realtà, tirandone le corrette conclusioni. Nel caso di liquidazioni “coatte” di parcelle non pagate, il decreto vigente (ma i giornali anticipano che si saranno sicuramente modifiche nella legge di conversione) prevede un rimedio procedurale, con l’adozione di parametri di quantificazione dei compensi predisposti dal Ministero.

4. Il compenso. Il d.l. 1/2012 obbliga l’avvocato a informare il cliente preventivamente sui costi che ragionevolmente dovrà sopportare. Pare che in sede di conversione non sarà più obbligatorio formalizzarlo per iscritto. Uno scandalo? Non mi sembra proprio. Da anni siamo abituati così sia dalla clientela internazionale sia da quella nazionale. Certo, bisogna essere chiari, diligenti e completi sulla informativa circa la maggiore o minore complessità del caso, la sua lunghezza, le sue criticità.
Alcuni sostengono: è impossibile fare un preventivo a fronte di una “azienda giustizia” lenta ed imprevedibile nei tempi. Anche su questo punto c’è una soluzione mutuata da altri mestieri. Si fraziona l’attività prospettica in fasi e, di volta in volta, si costruisce il preventivo della fase specifica. Il cliente deve sapere a priori il costo dell’assistenza sia per scegliere il “meglio”, sia per valutare il costo/beneficio della consulenza.

5. Durata del tirocinio. Si prevede che non possa essere superiore ai 18 mesi. È giusto porre un limite temporale, perché evita strumentalizzazioni. Tutti gli avvocati hanno fatto “la pratica” ed è noto nell’ambiente che, per “capirci qualcosa”, occorra molto di più di 18 mesi. Non per questo, però, è giusto schiavizzare i giovani praticanti.

6. Assicurazione professionale. Chi lavora può sbagliare, anche l’avvocato. È corretto che il cliente sia protetto contro questo tipo di eventi. È legittimo preoccuparsi del costo del premio assicurativo, ma è bene anche riflettere sul fatto che è la ricorrenza o meno dei sinistri a determinarne il “quantum”.

7. La pubblicità. La riforma ribadisce che quella informativa è lecita. Ovviamente deve essere perimetrata nell’ambito dei principi di verità, di trasparenza e di correttezza, come quella di tutte le imprese commerciali.

8. Le società. È consentita la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli delle società regolati dai titoli V e VI del Libro V del codice civile. Questo è un tema davvero nuovo e delicato che meriterebbe l’apertura di un dibattito serio e costruttivo per estrapolare gli aspetti positivi di questa riforma, escludendone le pericolose derive. Su questo tema credo che gli ordini professionali dovrebbero immediatamente aprire un dibattito interno per capire esattamente il “come” limitare questo tipo di facoltà per certi versi stimolante, ma per altri estremamente pericolosa per la salvaguardia dell’indipendenza dell’avvocato.

9. Tre riflessioni per concludere. Il mestiere dell’avvocato ha bisogno di concorrenza libera e leale, non contaminata da approcci corporativi vecchi e miopi. Deve essere fondato su chiari principi di responsabilità, proprio sul presupposto che chi lavora può sbagliare e il cliente, in questi casi, deve poter essere risarcito.
La formazione dei giovani deve essere rigorosa e continua: il futuro è nelle loro mani e svolgerla in maniera completa e accurata è il migliore investimento che un professionista possa fare nella sua azienda legale.
L’ultima considerazione va alla solidarietà che l’avvocato “deve” sia ai giovani (e di cui s’è appena detto), sia ai colleghi anziani, quelli cioè che “escono dal giro”, ma che non devono essere dimenticati, in quanto fonti di saggezza, di esperienza e di competenza.