Per Obama potenti interessi stranieri esercitano forti pressioni sul processo elettorale americano contribuendo ad un decadimento politico senza precedenti.

 

Il Presidente Obama, in quella che passerà alla storia come la conferenza stampa dell’addio, ha suonato un forte segnale di allarme sul fatto che potenti interessi stranieri esercitino ormai forti pressioni sul processo elettorale negli Stati Uniti contribuendo ad un decadimento politico di una gravità mai percepita fino ad oggi. Una riflessione più vasta del fenomeno non può certamente ignorare tutto quello che gli Stati Uniti hanno fatto per decenni nell’intento di provocare “regime changes” nel mondo, dal Nicaragua all’Iraq, o per influenzare processi politici in Paesi stranieri, inclusa la Russia, dove nel 1976 consiglieri americani scesero apertamente in campo per assicurare l’elezione di Boris Yeltsin.

Fino ad oggi, il sistema politico americano era refrattario alle incursioni di interessi stranieri. In tempi recenti, però, le difese dell’America sono state perforate in misura preoccupante dalla sofisticata offensiva “cyber” di potenze fondamentalmente ostili come la Russia di Putin, la Cina e l’Iran.  Il Presidente Obama ha promesso di rispondere agli attacchi della Russia ma al tempo stesso ha precisato che la reazione sarà “ponderata e metodica”. Ciò dicendo, Obama ha legittimato il sospetto che con tutta probabilità si tratterà di una reazione “covert” ossia segreta, in pratica clandestina. Il Presidente democratico aveva probabilmente in mente quel che disse il Presidente Eisenhower nel suo messaggio di addio del gennaio 1961 quando mise in guardia contro “la ricorrente tentazione di pensare che qualche spettacolare e costosa azione possa rappresentare la soluzione miracolosa”. Nella parte più famosa di quel messaggio, Ike ammonì l’America contro “l’acquisizione di ingiustificata influenza del complesso militare-industriale”. È sconfortante ma realistico constatare che da allora gli Stati Uniti non hanno ascoltato quei consigli.

Il messaggio del Presidente Obama verrà ricordato per due ragioni: primo, per aver introdotto una netta distinzione tra gli attacchi “cyber” che mirano ad impadronirsi di segreti industriali e quelli che invece attivano forme nuove di intelligence volte ad influenzare il processo elettorale in altri Stati. Secondo, un fatto nuovo altrettanto importante, questo intervento ha trovato un terreno di sfruttamento quanto mai fertile nel clima altamente divisivo e astioso che è calato sull’America negli ultimi due decenni. Il candidato presidenziale Donald Trump ha indiscutibilmente contribuito ad esacerbare il clima aspramente partigiano confrontando la “forte leadership” di Vladimir Putin con la “debolezza” di Barack Obama. Una percentuale senza precedenti di americani è stata influenzata dal corrosivo paragone di Trump che ha presentato Putin come uomo di azione al punto che il 37 per cento dei repubblicani interpellati da YouGov ha espresso un giudizio positivo su Putin. In un commento che già è entrato nella agiografia presidenziale americana, Obama ha dichiarato che dinanzi a questa evoluzione “Ronald Reagan si rivolta nella tomba”.  Il Presidente non si è trattenuto dall’osservare che “una grossa fetta dell’elettorato americano che nell’era Reagan e nei decenni che l’hanno seguita si era vantata di aver fatto da baluardo contro l’influenza russa, improvvisamente l’abbraccia”. In questa luce, ad Obama verrà perdonato di essersi lasciato andare ad un’amara ironia, quella che gran parte della maggioranza repubblicana lo ha accusato di non essere sufficientemente duro nei confronti della Russia. 

Alla vigilia dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, è evidente che nel campo repubblicano sta emergendo una frattura nel senso che la vecchia guardia inasprisce il contrasto con i nazionalisti di estrema destra in merito alla condotta della politica estera da parte dell’Amministrazione Trump. Di fatto, la vecchia guardia non condivide il pensiero di Donald Trump in merito a Putin, la cui leadership viene giudicata in termini favorevoli a motivo della sua difesa della sovranità nazionale e della promozione di valori tradizionali, ma anche, se non soprattutto, per la campagna contro il movimento radicale islamico. Il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale, il generale Michael Flynn, è giunto anzi a sostenere che Putin possa essere considerato un partner nella guerra globale contro l’islamismo radicale. Quel che Obama giudica inquietante è che i discutibili riflessi positivi della politica di Putin sono stati assorbiti da un settore così vasto di elettori repubblicani. Il fenomeno sembra avere una semplice spiegazione in quanto investe elettori repubblicani che sin dall’inizio hanno veementemente osteggiato la presidenza Obama. Secondo quest’ottica, il fenomeno in questione ha tutto a che vedere con la contesa ideologica in America piuttosto che con presunti valori di Vladimir Putin avallati da Donald Trump. È accertato del resto che i democratici all’unisono detestano il presidente russo e le sue costanti provocazioni.

Quel che più preoccupa il Presidente uscente è comunque il fatto che l’offensiva “cyber” scatenata dalla Russia (con l’evidente approvazione di Putin, sostiene Obama) ha generato effetti tali da imporre non soltanto misure di rappresaglia “ponderate e metodiche” ma una profonda riforma politica che neutralizzi i danni arrecati dalla forte deriva populista. Il politologo Francis Fukuyama ha scritto su Foreign Affairs che il decadente sistema politico americano può essere raddrizzato soltanto da un forte choc esterno che elimini il suo equilibrio attuale e renda possibile una reale riforma politica. “La vittoria di Trump – avverte Fukuyama – costituisce di fatto un tale shock ma sfortunatamente la sua unica risposta è quella populista-autoritaria: fidatevi di me, il leader carismatico, per risolvere i vostri problemi. Ma come nel caso dello shock impartito da Silvio Berlusconi al sistema politico italiano, la vera tragedia sarà lo spreco di un’opportunità per una vera riforma”.

Non è solo Obama a pensare che una svolta sia necessaria per neutralizzare il crescente pericolo di perniciose influenze esterne nell’arena politica e sull’ideologia dell’America. Le affinità con Putin del presidente eletto stanno avendo un pesante impatto sullo establishment repubblicano al punto che molti si chiedono se il partito repubblicano potrà sopravvivere nella sua forma tradizionale qualora venissero meno le convinzioni conservative di base. Il movimento neocon – responsabile delle disastrose proiezioni di potenza delle Amministrazioni Bush – ha perso statura ed al suo posto sale alla ribalta la nuova generazione dei cosiddetti “reformicons” che hanno abbracciato l’ideologia isolazionista di Donald Trump. Vincendo le elezioni presidenziali con una strategia che ha privilegiato elettori di estrazione democratica afflitti da povertà e disoccupazione, Donald Trump ha cambiato la faccia del partito repubblicano, al quale viene ora chiesto di trasformarsi da una coalizione ideologicamente coerente in una coalizione pragmatica nella quale l’ideologia viene sacrificata a favore di una maggioranza.

È comprensibile insomma che Barack Obama sia preoccupato dalla perversa dinamica emergente nel sistema politico ed ancor più nella struttura sociale dell’America quando certi vitali interessi – come quello di difendersi dai tentativi esterni di portare scompiglio in quelle strutture politiche e societarie – vengono esposti al pericolo di una “guerra civile”. In passato, l’America ha superato le conseguenze di un tragico conflitto interno esploso dopo la secessione ed è emersa come una potenza unitaria e democratica, ed in tempi più recenti come protagonista e promotrice di civiltà democratica nel mondo. Ora è giunto il momento di respingere attacchi esterni che minano i suoi valori tradizionali, come l’integrità del sistema elettorale, condizione sine qua non per gli equilibri interni e per una rassicurante presenza nel mondo.