Martha Nussbaum difende con passione la cultura umanistica ed è molto preoccupata per i tagli che, negli Stati uniti e in altri paesi, si stanno abbattendo pesantemente sui corsi universitari in varie discipline. Per sostenere questa giusta e importante causa, ha scritto un pamphlet di denuncia nel quale, accanto a molte considerazioni interessanti e condivisibili, affianca alcuni vistosi errori di impostazione, a cominciare dal titolo.

1. “Non per profitto” (Il Mulino, 160 pagine, introduzione di Tullio De Mauro) è uno slogan a effetto, specie se accompagnato dal sottotitolo “Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica”. Ma questa cultura - è la stessa Nussbaum a notarlo – è utile e necessaria all’economia di mercato per garantire fantasia e innovazione alle imprese, in definitiva per realizzare profitti; dunque una tale contrapposizione risulta ideologica e infondata.

L’autrice, che insegna diritto ed etica a Chicago, prende in esame con dovizia di particolari i due paesi che conosce meglio, gli Stati uniti e l’India, per lanciare il suo accorato grido d’allarme. La crisi economica imperversa e i tagli rischiano di distruggere un insieme di conoscenze indispensabili per la vita della democrazia. L’istruzione “per il profitto” è ben altra cosa rispetto a quella “per la democrazia”, si legge nel secondo capitolo; ma Nussbaum cade in contraddizione quando scrive: “Anche in termini di puro successo economico, i manager dei più importanti gruppi capiscono perfettamente l’importanza di una cultura aziendale in cui le voci critiche non siano messe a tacere, una cultura fatta di individualità e responsabilità”. I peggiori fallimenti – spiegano i formatori aziendali – sono imputabili all’acquiescenza degli yes-people, con conseguente mortificazione delle idee critiche.

2. La docente e filosofa dà fondo alla sua vasta conoscenza della psicologia infantile e della pedagogia, cita a lungo Socrate, Rousseau, Pestalozzi, Dewey e soprattutto l’indiano Tagore, Nobel per la letteratura nel 1913, poliedrica figura di pensatore ed educatore, uno dei maggiori ispiratori del Mahatma Gandhi. Ricorda i notissimi esperimenti di Stanley Milgram di Salomon Asch e molti altri, per dimostrare con efficacia che la pedagogia socratica stimola la formazione aperta dell’individuo. “Una delle ragioni della forza economica degli Stati Uniti consiste nell’aver puntato sulla formazione umanistica generale”. Solo questo tipo di educazione è in grado di garantire lo sviluppo dello spirito critico, è il filo conduttore del saggio e ne rappresenta sicuramente l’aspetto più convincente.

3. In questo contesto, “la storia economica è una parte essenziale”, scrive Nussbaum citando Dewey: “La storia economica è più umana, più democratica, e perciò ispiratrice di libertà in misura maggiore che non la storia politica”. L’autrice insiste molto sugli aspetti più controversi delle due grandi società prese in esame: la discriminazione delle minoranze, la sottomissione della donna, l’uso perverso delle religioni. A volte assume atteggiamenti pedanti e un po’ noiosi, là dove sostiene che fra le materie umanistiche, al college o all’università, dovrebbero rientrare “l’istruzione alla cittadinanza del mondo”, i “corsi di religione comparata”, le “teorie economiche alternative”, e poi ancora corsi su “globalizzazione e diritti umani”, sulle diverse “teorie sulla giustizia, quella sociale in particolare” e così via.

In riferimento alle arti, vale quanto detto per il pensiero critico:

“Sono essenziali per l’obiettivo della crescita economica e di una sana cultura di mercato. I più importanti formatori aziendali hanno capito da tempo che una buona capacità di immaginazione è un pilastro di una cultura imprenditoriale veramente prospera. L’innovazione richiede intelligenze flessibili, aperte, creative; la letteratura e le arti stimolano queste competenze e quando esse mancano la cultura di mercato si indebolisce in fretta… (Serve) una mentalità più elastica e creativa per riuscire ad avere successo nell’ambiente dinamico degli affari”.

Dopo avere scritto queste parole, del tutto condivisibili, Martha Nussbaum non rinuncia, nella postfazione, a concludere riaffermando la sua “dura battaglia contro i sostenitori dell’istruzione finalizzata al profitto”: una dichiarazione ideologica e di principio che ricolloca il titolo del libro in aperta contraddizione con alcune parti non secondarie del suo contenuto.