1. Mi raccontano di uno stabile nel quale il responsabile della sicurezza ha sospeso l’uso dell’ascensore condominiale perché, col tempo, la mancata manutenzione ordinaria ha mandato l’intero impianto fuori norma. Quello che si sarebbe potuto riparare con piccole revisioni va ora interamente ricostruito.
Paradossalmente potremmo dire la stessa cosa dell’ascensore sociale del nostro Paese. Abbandonato a se stesso ha ormai smesso di funzionare come dovrebbe. C’è modo di ripararlo o va interamente sostituito?
2. In condizioni normali è l’istruzione universitaria che dovrebbe fornire gli strumenti scientifici e culturali a chi ha i requisiti per emergere. Il tema è delicato ed è strettamente connesso al dibattito che si è aperto su Agenda liberale sull’abolizione del valore legale del titolo di studio.
Chi scrive si è già espresso a favore dell’eliminazione del valore legale del diploma universitario, che non significa, va ribadito, che l’ingegnere potrà operare a cuore aperto o che il medico potrà progettare ponti. Significa piuttosto che solo la concorrenza reale fra atenei può portare benefici al Paese.
In fondo ci possiamo anche dire che in Italia si sono create nel tempo molteplici rendite di posizione, più o meno nascoste, a fronte di un numero ridotto di soggetti che davvero hanno preso l’ascensore partendo dal piano zero e puntando solo sulle loro capacità.
Se mai questo percorso ha funzionato in passato, oggi non pare funzionare più. Di qui l’esigenza di rinnovamento, che può e deve passare, forse in modo anche traumatico, attraverso l’eliminazione di uno dei capisaldi dell’istruzione universitaria e cioè il valore legale del diploma universitario. Questo, si spera, potrà essere lo shock virtuoso per dare ossigeno alla competitività culturale. Le risorse del resto non mancano, con effetto benefico sul sistema-Paese.
3. Sin qui una facile teoria, ma ho volontariamente omesso di inserire un termine, meritocrazia, che è però il catalizzatore della riforma che si auspica.
Giorgio Arfaras sé è recentemente chiesto se l’abolizione del valore legale della laurea non finisca per penalizzare i meno abbienti.
È un quesito che ci riporta con i piedi per terra. Un’università di prestigio in un libero mercato dell’insegnamento superiore finirebbe con il creare un’élite che potrebbe sfruttare l’acquisizione di status indipendentemente dall’effettivo valore degli studenti.
Ho il timore che questo possa rappresentare un pericolo concreto. Noi italiani siamo abili nel creare falsi miti e forse anche abbastanza provinciali per cadere in questa tentazione. In effetti, l’unico modo per sventare questo rischio e per dare vigore all’ascensore sociale è probabilmente quello di dare centralità assoluta al riconoscimento del merito.
4. Sotto diverso aspetto, il riconoscimento meritocratico potrebbe avere gli anticorpi necessari per sventare il rischio di una università libera a parole, ma baronale di ritorno nei fatti. Del resto, l’eliminazione del principio di uguaglianza didattica per dettato legislativo è l’unica formula che si ha a disposizione per poter tentare di innescare un sistema, non virtuoso in senso assoluto, ma quantomeno più virtuoso, anche proprio rispetto alla cultura del “pezzo di carta”.
Si pensi alla “fuga dei cervelli”, che è poi figlia di un sistema sociale e scolastico che non sa riconoscere il merito, ma che in realtà rappresenta forse il maggior danno che un Paese possa subire, perché mina alla base la sua capacità di rinnovarsi e di stare al passo con i tempi. Un’università più competitiva potrebbe attenuare questo fenomeno.
La ricerca della qualità, la meritocrazia, la capacità e la libertà di valutare ogni singola persona per quello che può dare di nuovo e di innovativo sono le basi su cui si fonda una società che sa rinnovarsi e che sa affrontare il mondo in evoluzione.
Il paravento del “pezzo di carta” non basta più, soprattutto nell’attuale sistema di competizione mondiale: occorre invece una formula maggiormente libera di idee e progetti. Ci si auspica, in fondo, un sistema che sappia trovare il genio in ogni persona, o quantomeno sappia lasciar liberi gli studenti di trovare la formula per dare il loro meglio.
Viene così alla mente il celebre aforisma di Carmelo Bene: “il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può. Del genio ho sempre avuto la mancanza di talento”.
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