“Tutto sta appena iniziando”, titola il giornalino di Alexei Navalny che i suoi volontari, mettendo in atto i loro sistemi di rete autonoma dai media e dalle autorità collaudato durante la campagna elettorale, stanno distribuendo nella metropolitana di Mosca. Il 27% ottenuto dal blogger anti-corruzione al voto per il sindaco di Mosca viene considerato “una vittoria”, e il 51% appena sufficiente a evitare il ballottaggio del primo cittadino putiniano Serghei Sobianin il segno del declino del sistema. Il ricorso dell'oppositore per il riconteggio dei voti, sospettando legittimi quanto endemici – anzi, tutto sommato molto inferiori al solito – brogli, visto che il sindaco ha rivinto soltanto per 32 mila voti, non ha però probabilità di successo, anche perché in un ipotetico ballottaggio probabilmente Sobianin vincerebbe comunque.

 

1. Il problema però non era la vittoria, ma i numeri. Per la prima volta l'opposizione anti-putiniana, eterogenea e disorganizzata, nata nelle piazze nel dicembre 2011, si è contata in una competizione elettorale che non era certo “fair” secondo gli standard europei, ma vi si è avvicinata quanto mai prima. E il risultato fa discutere sul bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno. E' vero che il 27% di Navalny è un risultato cospicuo, e soprattutto di gran lunga superiore alle attese e ai sondaggi perfino della stessa opposizione. E' altrettanto vero che un terzo dei voti (anche prendendo per buono il 32% che il blogger avrebbe ottenuto secondo conteggi indipendenti), per una città ribelle e liberale come Mosca, dove si concentra la popolazione più ricca, emancipata e colta, è ben lontano dalla promessa di crollo di un regime fatiscente. In un Paese a sistema fortemente esecutivo, poi, un terzo dei voti – che sarebbe pesante in un sistema proporzionale e parlamentare – vale poco, in Russia conta vincere, non partecipare. E il drammatico astensionismo (un'affluenza intorno al 30%) fa intuire uno scontento diffuso, la cui natura però è oscura e che l'opposizione non è riuscita a far emergere dandogli una forma politica.

E' vero però anche che per la prima volta un'opposizione vera, arrabbiata e non affiliata al regime, e non comunista, si guadagna un risultato notevole nelle urne. Navalny ne esce consacrato come leader ufficiale della protesta e il politico anti-putiniano numero uno, non più un fenomeno da Internet o delle piazze. La sua campagna è stata un esempio di organizzazione e partecipazione, con migliaia di volontari che hanno distribuito giornali, attaccato volantini, fornito assistenza, raccolto fondi, in una rete gestita via Internet in una sorta di fai-da-te: si potevano scaricare manifesti, stamparli e appenderli nel vicinato, piuttosto che prenotarsi per poche ore di gestione dei “cubi”, i banchetti mobili che lo staff di Navalny distribuiva sempre via Web. Una “orizzontale di potere” come l'ha definita qualcuno, che sfida la “verticale” putiniana, un'organizzazione modernissima, a-partitica, una rete “light” che pesca dall'esperienza di Obama e di Grillo, che si è rivelata efficientissima soprattutto nel confronto con un regime “hard” che utilizzava i soliti metodi: censura mediatica, mobilitazione degli elettorati “leali” di dipendenti comunali e insegnanti, assenza da qualunque forma di dibattito (il messaggio è che chi ha potere lavora e non ha tempo per discutere).

2. Al di là del risultato concreto di Navalny – che peserà anche sull'imminente processo di appello per frode che lo aspetta tra pochi giorni, in quanto il Cremlino dovrà decidere se con il suo 27% è troppo pericoloso da lasciare in libertà o troppo pericoloso da chiudere in prigione – questa campagna elettorale ha però segnato un cambiamento più profondo, quasi geologico. Navalny ha portato alle urne una nuova generazione. Navalny batte Sobianin 5 a 1 nella fascia dal 18 ai 25 e 4 a 1 in quella 26-35. Tra i 36-50 l'uomo del regime accorcia la distanza ma resta comunque secondo, mentre sopra i 50 Navalny perde. Così come perde tra gli operai, gli abitanti delle periferie povere, i dipendenti pubblici, i poco istruiti, e perde tra chi si informa solo grazie alla tv. Il distacco è così netto (dati dei sociologi di Navalny rielaborati dal docente della Scuola superiore di economia di Mosca Alexei Zakharov, New Times, 16 settembre 2013) da poter definirlo una spaccatura tra “nuovi russi” - cresciuti senza il comunismo, perfettamente integrati nel nuovo capitalismo “emergente”, abituati a contare su se stessi – e i “vecchi sovietici”, nostalgici di un sistema paternalista, che si sentono danneggiati dalla transizione post-comunista e in qualche modo continuano ad affidarsi allo Stato per la propria sopravvivenza.

A confermare questo dato sociologico ci sono i sondaggi, secondo i quali l'elettorato di Navalny esprime una forte domanda di giustizia e di cambiamento, mentre l'elettorato “putiniano” è terrorizzato dai cambiamenti e tutto sommato soddisfatto, o almeno accontentato, dal potere vigente. Considerando che in Russia le elezioni locali sono tradizionalmente poco “politiche” e si vota più che un'idea e un partito l'uomo che farà funzionare i trasporti e la nettezza urbana, e distribuirà benefici sociali, e quindi si preferisce quello più allineato con il governo, appare una novità anche il voto “di idea” per un candidato che si sapeva perdente.

3. Vedremo nei prossimi giorni e mesi come gestirà Navalny questo suo nuovo capitale politico e come il Cremlino maneggerà un'opposizione che per la prima volta esce dai salotti. Il 37enne blogger dopo le elezioni ha annunciato che non chiamerà alla rivolta “per non mettervi in pericolo”, anche se non ha escluso che arriverà il momento di “dormire sul marciapiede” e occupare le piazze. Si prepara a una battaglia lunga, che qualche commentatore ha definito “la rivoluzione delle tartarughe”, il contrario delle “rivoluzioni colorate” che nello spazio di una notte avevano ribaltato i regimi post-sovietici 10 anni fa in Ucraina e Georgia. E' una rivoluzione il cui motore è anagrafico: per 20 anni la libertà e i diritti erano stati all'ultimo posto tra le richieste elettorali dei russi, anzi, dei (post) sovietici. Ma il paradigma dello Stato onnipresente e protettivo anche se repressivo, ripreso da Putin dopo il decennio eltsiniano, poteva rassicurare i suoi coetanei, traumatizzati dal collasso non solo di un sistema, ma di tutto un modello di vita. Per i loro figli non basta più.