Dopo il fallimento del referendum costituzionale del 2006 (che peraltro toccava il tema solo marginalmente) il dibattito sul federalismo pare assopito. Bisognerá riprenderlo, se non altro per dare un po' di coerenza alle (disordinate) riforme intraprese negli anni novanta. Un'analisi del decentramento del Sistema Sanitario Nazionale può offrire alcuni utili spunti di riflessione.

 

La rilevanza delle riforme della Sanità nell'ambito del dibattito sul federalismo
Il Servizio Sanitario Nazionale è stato oggetto di diverse riforme nel corso degli anni novanta. Questo processo ha portato ad un decentramento sia sotto il profilo organizzativo sia sotto il profilo finanziario, portando di fatto alla nascita di differenti Sistemi Sanitari Regionali con peculiarità proprie. É quindi utile trarre qualche bilancio da questa esperienza, anche in vista di ulteriori processi di decentramento che coinvolgano altri settori.
Ci sono, inoltre, almeno due ulteriori motivazioni che rendono il tema degno di analisi:
  • L'erogazione dei servizi sanitari ha natura prettamente locale ed è strettamente legata al territorio. Tuttavia la tutela della salute evoca diritti di cittadinanza e l'erogazione di un livello minimo di servizi è garantito, a livello costituzionale, a tutti i cittadini, qualunque sia la loro regione di residenza. Su queste basi il governo centrale ha mantenuto (e presumibilmente manterrà) importanti leve di controllo. Questa tensione (locale-centrale) ha permesso di mettere in luce i limiti di un decentramento attuato in maniera solo parziale;
  • La spesa sanitaria costituisce la principale voce del bilancio delle Regioni. Sulla sanità si gioca quindi, per la classe politica regionale, una parte rilevante della partita elettorale. Ha portato il processo di decentramento (o meglio, il modello di decentramento adottato in questo frangente) ad una maggiore responsabilizzazione degli enti locali, così come prevede la teoria economica?

Le riforme del Servizio Sanitario Nazionale negli anni novanta Il sistema sanitario in Italia è stato oggetto di due rilevanti riforme nel corso degli anni novanta:
  • Il d.lgs. 502/1992 ha rafforzato i poteri delle Regioni nell'ambito dell'organizzazione dei servizi sanitari, attribuendo loro, tra le altre cose, la possibilità di costituire Aziende Ospedaliere, la nomina del direttore generale delle ASL e la destinazione dei contributi sanitari (con la facoltà di incrementare l'aliquota fino a sei punti percentuali);
  • Il d.lgs.n. 229/1999 ha riguardato soprattutto la regolazione delle forme di negoziazione tra Regione, ASL, Aziende Ospedaliere e strutture private.
Le due riforme hanno, di fatto, reso le Regioni responsabili per l'organizzazione dei relativi servizi sanitari, hanno lasciato loro un certo grado di autonomia per la scelta del mercato interno da adottare e, soprattutto, hanno posto le basi per una loro graduale responsabilizzazione dal punto di vista finanziario.
In quest'ultima direzione osserviamo una serie di riforme suddivisibili in due fasi:
  • Fino alla fine degli anni novanta si osserva un graduale passaggio dal modello di finanza derivata a un modello basato su compartecipazioni su determinate classi di imposte e tributi (contributi sanitari nel 93, compartecipazione sull'imposta sui carburanti nel 1995, Irap e compartecipazione all'Irpef nel 1998. compartecipazione all'Iva in seguito alle leggi Bassanini).
  • Il d.lgs 56/2000 (di difficile applicazione) e la riforma costituzionale approvata nel 2001, si sono mossi verso una definitiva sostituzione dei trasferimenti Stato-Regioni con compartecipazioni e tributi propri delle Regioni, affiancate dall'introduzione di schemi di perequazione interregionale. Si è inoltre andati verso la sostituzione dei vincoli di spesa in ambito sanitario con l'obbligo di fornire livelli minimi di assistenza (Lea) ai cittadini locali.
Introduzione di elementi di managerialismo, ricerca di nuove forme di organizzazione e responsabilizzazione delle Regioni sembrano essere gli ingredienti che hanno mosso le riforme della sanità negli ultimi anni. Hanno queste riforme portato ad un miglioramento dell'offerta di servizi sanitari e ad un più rigoroso controllo della spesa? 

Cosa (non) ha funzionato nel percorso di riforma della sanità
Secondo la teoria economica ci sono una serie di principi a favore del decentramento della gestione di alcuni servizi. Vediamo i risultati ottenuti nel processo di decentramento alla luce di alcuni di questi principi.
Autonomia organizzativa: il decentramento permette di organizzare l'erogazione di un servizio pubblico nella maniera ritenuta più consona alla singola realtà territoriale. Da questo punto di vista le riforme hanno offerto importanti opportunità ai governi regionali, che hanno potuto optare per diversi mix tra pubblico e privato, tra l'opportunità di costituire o meno gli ospedali in aziende autonome e, seppur con notevoli limitazioni, tra diversi livelli qualitativi e quantitativi di offerta e tra diverse modalità di organizzazione del mercato interno.
Maggior aderenza tra domanda locale e offerta di servizi: il decentramento permette ai singoli governi regionali di adattare il livello di offerta alle esigenze della popolazione locale. Il consumo di servizi sanitari aumenta all'aumentare del reddito e dell'età media della popolazione, ed è quindi normale che le esigenze possano variare tra regione e regione. Ad oggi sembrano esserci notevoli differenze nell'output di servizi offerti nelle diverse regioni (vedi articolo di Stefano Firpo). Sembra difficile però pensare che tali differenze siano un voluto effetto di diversificazione dell'offerta seguito al decentramento del Servizio Sanitario Nazionale.
Responsabilizzazione dei governi locali: se le risorse sono raccolte e spese all'interno del territorio allora si osserverà, presumibilmente, un utilizzo più responsabile di queste risorse.

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Fonte: Bordignon M., Mapelli V. e Turati G. (2002), Fiscal federalism and National Health Service in the Italian System of Governments, "Monitoring Italy", ISAE, Roma

Come si può vedere le fonti di finanziamento erano prevalentemente di natura statale nel 1990 mentre già alla fine del decennio scorso le risorse di origine regionale costituivano la principale fonte di finanziamento. Ha portato tutto ciò a una maggiore responsabilizzazione delle regioni?
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Fonte: Elaborazioni Saniteia su dati del Ministero dell'Economia e delle Finanze (Tesoro) e del Ministero della Salute (Sanità), Relazione generale sulla situazione economica del Paese, Vari anni
La gestione del Servizio Sanitario Nazionale ha sempre generato deficit e il Governo centrale (con la breve parentesi degli anni in cui si giocava la partita del rispetto dei parametri di Maastricht) non ha mai avuto la capacità di committment sufficiente per far rispettare il budget assegnato alle Regioni. Ci sono argomenti a difesa del comportamento di queste ultime, in quanto, a parere di molti, i fondi assegnati al Servizio Sanitario Nazionale sono sempre stati sotto-stimati. Il Governo stanziava risorse insufficienti (scaricando sui Governi successivi il peso di eventuali ripiani) e le Regioni erano costrette a sforare il budget assegnato (aspettando a loro volta il futuro ripiano dei debiti). Questo "gioco delle parti" non sembra avere avuto effetti drastici sotto il profilo del controllo della spesa ma ha sicuramente ridotto la responsabilizzazione delle Regioni, per almeno due motivi:
  • L'assegnazione di budget ridotti e la (implicita) promessa di futuri ripiani ha fatto si che il contenimento della spesa non fosse più un obiettivo primario dei Governi regionali. Perché ridurre le spese (o meno che mai incrementare le aliquote regionali) se in futuro i debiti accumulati sarebbero presumibilmente stati pagati dal Governo centrale, ricadendo sull'intera collettività?
  • L'incapacità di controllare la spesa attraverso l'assegnazione di un budget ha portato i Governi centrali a optare per strumenti di controllo che hanno limitato pesantemente l'autonomia regionali (vincoli di destinazione alla spesa, blocco delle assunzioni, ecc...).

Quali lezioni per il futuro?
Vi sono alcune materie per le quali è difficile che si arrivi ad un completo decentramento. La sanità (così come la scuola, per esempio) evoca diritti di cittadinanza ed è presumibile che vi saranno sempre spinte a garantire una certa uniformità nell'erogazione a livello nazionale.
La gestione condivisa da governo centrale e governo locale ha però effetti negativi sul grado di responsabilizzazione degli erogatori. Occorre tenerne conto e muoversi seguendo alcuni principi basilari: incentivare gi Enti locali ad utilizzare le risorse proprie a disposizione, stabilire un (eventuale) fondo perequativo che segua meccanismi di attribuzione automatica (al fine di escludere contrattazioni politiche continue) e lasciare che gli Enti locali possano autonomamente decidere modalità e livelli qualitativi e quantitativi del servizio provvisto, nel rispetto di livelli minimi e linee guida (che ci si aspetta chiare ed essenziali) fissate a livello nazionale.
E soprattutto è auspicabile una forte capacità di committment da parte del Governo centrale a non intervenire ex-post in favore degli Enti locali meno virtuosi.