Russia; Putin; nuova guerra fredda; Ucraina; Usa; Ue

La guerra fredda è tornata. Non si tratta più di “rischi”, “venti” e “scenari”, è guerra fredda in tutta la sua magnificenza, con sanzioni, aumenti di bilanci militari e spionistici, missili puntati e contratti rotti, e all’orizzonte sembra di intravvedere qualche negoziato sul disarmo nel territorio neutrale di Ginevra.

1. La rapidità con la quale l’Occidente ha ricompattato le fila di fronte alla Russia nemica è anche frutto di lunghi anni di frustrazione per un “reset” sempre più finto con un paese sempre più ostile, al quale però nel nome del buon vicinato e dell’obiettivo strategico di farlo approdare nel mondo delle nazioni civili si perdonava tanto: l’aggressività verbale e non solo, la violazione dei diritti umani e della libertà di stampa, le guerre locali, dalla Cecenia alla Georgia, il ricatto energetico, gli scandali spionistici. Ora, mentre la Russia viene isolata da una cortina di ferro invisibile ma sempre più alta giorno dopo giorno, si possono finalmente chiamare le cose con il loro nome, ed evitare di andare al G8 – organizzazione in cui la Russia era stata ammessa solo per soddisfare i suoi complessi di ex grande potenza – a Sochi, a posare per photo opportunities sullo sfondo della Disneyland putiniana. “La cooperazione a zig-zag e le dispute con l’Occidente avvenivano sempre con sullo sfondo la comprensione che la Russia stava gradualmente entrando nell’ordine mondiale. Non è più così”, scrive sul New York Times Michael McFaul, esperto di Russia a Stanford che ha appena lasciato la carica di ambasciatore americano a Mosca.

Ogni giorno un pezzo del legame della Russia con il resto del mondo si rompe, dalle carte di credito Visa e Mastercard che non funzionano più perché emesse da banche finite sotto le sanzioni degli Usa agli scambi di cooperazione economica, militare e culturale che vengono congelati da diversi paesi. Il G8 non c’è più, il programma dei summit Russia-Ue è stato cancellato (anche perché ultimamente finiva comunque a musi lunghi, con gli europei che snocciolavano a un Putin visibilmente scontento le loro recriminazioni sui diritti dei gay e l’Ucraina) e anche tutti i vertici bilaterali del presidente russo con i 28 leader europei. Il portavoce della Casa Bianca sconsiglia di investire nelle azioni russe, “a meno che non si tratti di speculazioni rapide”. Le azioni e i rating russi calano giorno dopo giorno, la fuga dei capitali ha raggiunto il picco e le linee di credito estere sono praticamente state chiuse, per i rischi politici ancora prima che per contribuire alle sanzioni. La Russia si trova a fronteggiare tutta la sua fragilità economica e tecnologica, e per quanto dal ministero degli Esteri di Mosca continuino ad arrivare repliche del tipo “del G8 non ce ne importava niente” mentre economisti di regime prospettano una fioritura di commerci con la Cina e il Brasile, le prospettive non sono brillanti: stavolta l’Europa ha intenzione di disfarsi del gas russo, dal quale comunque già dipende molto meno di prima.

2. Quanto potrà durare questa nuova guerra fredda? Perché, per quanto si continui a far finta che la crisi è risolvibile in tempi rapidi, non si tratta di un incidente o di disaccordi tattici, ma di una scelta strategica. Putin si pone come nemico dell’Occidente. La sua non è politica o diplomazia, è ideologia, come dimostra il licenziamento dall’Università per le relazioni internazionali di Mosca del professore Andrey Zubov, colpevole di aver “criticato la politica estera dello Stato”.

Auspicare una svolta interna a questo punto pare irrealistico e, considerato che Putin ha 61 anni portati benissimo, e nessuna intenzione di badare più, nemmeno formalmente, alle apparenze democratiche per accontentare l’Occidente, si potrebbe avere una prospettiva anche di una ventina d’anni. Per McFaul, isolare il regime putiniano è la prima cosa da fare.

A seguire si possono prospettare diversi scenari:

A. Un graduale scivolamento nell’isolamento e nella contrapposizione, con un progressivo irrigidimento delle sanzioni, con la sopravvivenza di contatti commerciali e culturali seppure ridotti. Una sorta di semi-Urss dove però i russi possono continuare a viaggiare e avere contatti con l’estero, in attesa di una evoluzione interna grazie alla lenta crescita dello scontento, con qualche interminabile e inconcludente negoziato sul contenzioso ucraino sulle rive di un lago svizzero.

B. Una chiusura rapida e totale, con la scelta dell’autarchia economica aiutata dalla Cina, chiusura delle frontiere, censura, minacce militari, cooperazione economica più come eccezione che come regola, finanziamento di gruppi ostili all’Occidente e della propaganda aggressiva, rottura più o meno totale dei rapporti diplomatici, con conseguente creazione di una nuova diaspora di profughi dalla Russia come nel 1917. Una Urss quasi vecchio stampo o, se si preferisce, un Iran, visto che il putinismo, a differenza del comunismo, non è un’ideologia che presuppone seguaci, essendo improntato a un nazionalismo conservatore russo e non più a una proposta universalista come poteva essere il comunismo. Al sole dell’avvenire e l’uguaglianza universale viene sostituito il culto dello Stato e l’espansione territoriale, modello che infatti non ha trovato per ora molti ammiratori nemmeno nell’ex Urss.

3. Intanto tutto torna come prima. I russi vengono di nuovo guardati con sospetto e paura, anche quando fanno shopping nei centri turistici europei, dove qualcuno (in Spagna per esempio) ha cominciato a esporre cartelli “Gli occupanti russi non sono graditi”, mentre McFaul consiglia di “incentivare” l’emigrazione di russi dissidenti per i quali in patria viene già riproposta la punizione dell’esilio, come ai tempi sovietici. Ritornano in auge i programmi di contropropaganda occidentali, solo che al posto di Radio Liberty ora c’è Internet (in attesa che i russi mettano un Grande Firewall sul modello cinese). Le due sponde dell’Atlantico si ricompattano anche perché grazie alla Russia possono dimenticare con sollievo i contrasti. Per far cadere Milosevic dal momento delle sanzioni ci sono voluti un paio d’anni. Per far venire l’Iran a più miti consigli una decina. Assad dopo tre anni sembra in forma come non mai. Per la Russia, molto più ricca di risorse e molto più abituata alla povertà (e poco abituata a esprimere lo scontento) i tempi potrebbero essere molto più lunghi.