Pascal Bruckner, 65 anni, scrittore, saggista e vivace polemista francese, presenta tutti i pregi, i difetti e i tic tipici dei “nuovi filosofi” d’Oltralpe. Ex maoista, divenuto poi strenuo difensore della civiltà occidentale, in grande sintonia con i colleghi André Glucksmann, Bernard-Henry Lévy e soprattutto con Alain Finkielkraut (con il quale ha scritto nel ’77 Nuovo disordine amoroso), Bruckner ha dato alle stampe quest’anno un’autobiografia dalle tinte forti, dal titolo Un bon fils. Di rigida educazione religiosa, racconta che la sera accanto al letto pregava affinché il padre – collaborazionista, violento e antisemita – morisse al più presto. Nato protestante, oggi si autoproclama “intellettuale ebreo” per libera scelta. Nei mesi scorsi è uscito in Italia il precedente libro di Bruckner, Il Fanatismo dell’Apocalisse: Salvare la Terra, punire l’Uomo (Guanda, 230 pagine) con il quale l’autore mette alla berlina l’ampia e pittoresca galassia dell’ambientalismo radicale.
1. Il marxismo, il movimento no-global e infine gli ecologisti sono come “una serie di matrioske”. Con questi ultimi, “comunisti in pensione convertiti all’ambientalismo”, dediti al riciclaggio dei più banali luoghi comuni contro l’Occidente capitalistico, “si applicano all’ambiente tutte le stranezze del marxismo, tutte le sciocchezze dal bolscevismo al maoismo, riformulate in nome della salvezza del pianeta”. I fondamentalisti ambientali presumono di essere gli unici a scorgere la verità, mentre gli esseri umani vegetano nelle tenebre, sordi e ciechi all’evidenza. Già nel ’79, ricorda Bruckner, il filosofo tedesco Hans Jonas, discepolo di Heidegger e guida spirituale dei Verdi tedeschi, diffidente nei confronti della democrazia, profetizzava una “tirannia benevola” di persone illuminate, capaci di tenere nella dovuta considerazione i problemi ambientali. (Anche Luciano Pellicani, nel saggio Contro la modernità, segnala – sulla scorta delle ardite teorie di Hervé Kempf e Serge Latouche - il pericolo dell’istituzionalizzazione di una vera e propria “dittatura sui bisogni”, esercitata naturalmente da questa aristocrazia gnostica che si è liberata dei “falsi valori dell’ideologia borghese”).
Alle origini della mentalità apocalittica Bruckner colloca la Bibbia, con l’idea della conoscenza come peccato originale e la conseguente cacciata dell’uomo dal paradiso terrestre; e anche – in sintonia con Popper – la filosofia platonica, per la quale qualsiasi cambiamento allontana l’uomo dallo stato puro originario. Si passa per Rousseau, inventore del mito del buon selvaggio, secondo il quale la disgrazia comincia con l’invenzione della metallurgia e dell’agricoltura, ossia della proprietà privata, un istituto che fa “ben presto germogliare e crescere, insieme alle messi, la schiavitù e la miseria”; infine si approda al già citato Latouche, al suo ossimoro dell’“abbondanza frugale” e alla sua “teoria delle causalità deliranti”.
“Da una ventina d’anni, assistiamo a un importante evento epistemologico: non ci sono più catastrofi naturali”. Tutto è provocato dall’uomo, ogni fatto di cronaca si trasforma in un indizio, in una conferma. Il capitalismo non solo approfitta dei disastri: li provoca. Con penna brillante e affilata, l’autore ridicolizza l’ossessione dell’ormai imminente distruzione ecologica del pianeta. La nostra epoca è piena di fanatici dell’afflizione, “che si strofinano le mani prevedendo e anzi auspicando almeno tre Fukushima all’anno”. La critica si trasforma così in farneticazioni prive di qualunque riscontro. In vari campi, veniamo sommersi dall’erudizione di una vasta platea di incompetenti, che possiedono “la scienza dei dettagli e la completa ignoranza dei fondamentali”. Siamo sovrastati da un’incontenibile montagna di dati e previsioni che sfuggono a qualsiasi controllo empirico, teorie non verificabili e non falsificabili, alle quali non possiamo controbattere nulla. L’esperto di sciagure planetarie è il nuovo tipo di attivista militante al servizio di una linea politica, degno successore dell’esperto di economia di estrema sinistra. Si diffonde così una “fantascienza etica, fondata su un ectoplasma concettuale: le generazioni future”.
2. Ma “arriva il momento in cui il filosofo, in preda ai suoi deliri, deraglia”, avverte Bruckner. Ciò che spaventa Hans Jonas non è tanto il rischio del peggio, ma la minaccia del meglio, cioè il progresso umano. Il reale obiettivo dell’ambientalismo punitivo è dunque di condannare l’uomo, in nome della conservazione della natura, moltiplicando le procedure complesse, con un interventismo statale che ricorda quello della rivoluzione culturale o dei Khmer rossi. Viceversa, l’intera avventura umana non è che un’accanita lotta contro le fatalità fisiche, biologiche e psichiche imposte alla nostra specie, sostiene Bruckner. Contro il nuovo oscurantismo, afflittivo e pauperista, egli propone un “nuovo antropocentrismo”, più aperto e inclusivo. (Gli animali infatti hanno “diritti” di cui solo l’umanità può rendersi garante).
Oggi le aspettative di vita sono cresciute di 20 anni rispetto a mezzo secolo fa, cure mediche e abbondanza alimentare hanno raggiunto livelli mai visti prima. Eppure, nel ricco Occidente, il contrasto fra i progressi realizzati e il modo in cui li descriviamo, ha dell’incredibile. Il processo contro il progresso è vecchio come il progresso stesso. Si evoca una “purezza del passato” che non è mai esistita, certo non nelle società tribali che oggi vengono studiate con ammirazione, alternative alla presunta immoralità dello stile di vita occidentale. Viviamo in un clima di aperta “epistemofobia” e gli ecologisti, accusa Bruckner, assomigliano alla celebre bambolina della canzonetta di Polnareff, che dice sempre no, no e no.
3. Nel finale, il libro scivola nel caricaturale, con un ridda di esempi paradossali e molte citazioni di casi maniacali, che in realtà non fanno testo. Qui forse il polemista concede troppo al proprio sarcasmo, contro il neo-primitivismo e le pseudo-avanguardie regressive. Dalla caduta del comunismo, ricicliamo all’infinito i detriti del progetto socialista o anarchico: il progresso è una maledizione, il consumismo una patologia spaventosa, è meglio “avere di meno” e prendere esempio dall’Africa. Latouche vorrebbe insegnare a tutti il “senso della rinuncia”.
“C’è qualcosa di nauseabondo in queste dichiarazioni, che ricordano i peggiori manifesti pubblicitari e slogan stalinisti derisi da George Orwell”, accusa Bruckner. Ci si indigna non contro la povertà, ma contro quello che abbiamo. Milioni di uomini si attendono dalla crescita un futuro migliore: in nome di quale principio osiamo rifiutarglielo, si chiede il filosofo? “Se le sinistre europee adesso abbandonano l’idea di progresso, non avranno più ragione di esistere”, è la risposta finale.
4. Questo libro è nel complesso salutare, serve a liberare la cultura e la politica da alcune tossine che lo inquinano – tanto per restare in argomento. Tuttavia stona una certa esagerazione dell’autore, presumibilmente imputabile ai toni accesi del dibattito pubblico francese. Occorre ricordare, per non perdere il senso della misura, che i fanatici dell’Apocalisse sono fortunatamente una minoranza. Una minoranza cervellotica, molesta, forse egemone in alcuni settori della società, ma pur sempre una componente marginale. Per dirla tutta, sono assai più noiosi che pericolosi. Possono però condizionare relativamente la politica, le amministrazioni locali, l’istruzione nella scuola primaria (un aspetto quest’ultimo particolarmente delicato) dunque è un bene che questo libro sia stato scritto. Ma al di là degli estremismi e degli esempi paradossali, è un bene anche che la sensibilità per l’ambiente sia diffusa nell’opinione pubblica. L’aumento dei tumori è un fatto obiettivo, facilmente verificabile, non il frutto della fantasia di un qualche esaltato.
La mentalità pauperista e punitiva denunciata da Bruckner ha un’evidente matrice religiosa, in questo senso potrebbe essere considerata una conseguenza del processo di secolarizzazione delle società occidentali, ancor più che un sottoprodotto dell’ideologia comunista. Nell’un caso o nell’altro, vale la splendida riflessione che Pascal Bruckner ci sottopone con le parole di Friedrich Nietzsche: “Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della verità”.
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