Le imminenti elezioni europee sono un’ottima occasione per fare il punto su alcuni aspetti legati al mercato unico europeo (anzi, al “mercato interno”, secondo la dicitura più federalista introdotta dal Trattato di Lisbona), al suo stato di avanzamento, ai suoi limiti, ai suoi elementi di forza e debolezza. Un campo particolarmente significativo èil settore delle assicurazioni, dove èappena stato pubblicato un rapporto di un gruppo di esperti della Commissione Europea, relativo in particolare al diritto dei contratti assicurativi e a come esso influenza l’integrazione economica europea in questo ambito.
1. Il rapporto è la tappa più recente di un lungo percorso che si inquadra nella cosiddetta strategia Europa 2020, una serie di misure volte a “eliminare gli ostacoli al mercato unico e rilanciare la ripresa economica, anche avanzando verso un diritto europeo dei contratti”, e che è utile ricostruire. A luglio 2010, la Commissione pubblicò un libro verde con le varie ipotesi di policy allo studio in questo campo, e avviò una consultazione pubblica al riguardo. Nel maggio dell’anno successivo, un gruppo di esperti della Commissione presentò uno studio di fattibilità, il mese seguente il Comitato Affari Legali del Parlamento Europeo approvò espressamente una relazione a sostegno della creazione di un diritto europeo dei contratti, e infine nell’ottobre del 2011 la Commissione avanzò la proposta di un “diritto comune europeo della vendita facoltativo al fine di stimolare il commercio e ampliare la scelta dei consumatori”.
Con particolare riferimento al settore assicurativo, intanto, nel settembre del 2011 il Commissario europeo alla giustizia Vivane Reding aveva incontrato i leader delle principali compagnie assicurative europee per discutere del diritto europeo dei contratti nel settore delle assicurazioni, nonché – tra le altre cose – le ricadute della famosa sentenza Test-Achats (C-236/09), che aveva vietato la discriminazione nei premi delle polizze in funzione del sesso. In quella sede, nonché nelle consultazioni sul libro verde ricordato poco sopra, giunsero alla Commissione diverse sollecitazioni dalle imprese assicurative: in particolare, esse misero in evidenza “l’impossibilità di offrire attualmente prodotti assicurativi uniformi in tutta l’UE sulla base di un quadro giuridico europeo unico”, e il fatto che l’assenza di tale unitarietà di disciplina dei contratti di assicurazione generasse “costi aggiuntivi e creano incertezza giuridica per il commercio transfrontaliero di prodotti assicurativi”.
Per rispondere a tali sollecitazioni, la Commissione istituì un gruppo di esperti della materia per studiare gli ostacoli giuridici al commercio transfrontaliero dei prodotti assicurativi, e come si diceva è ora stato reso pubblico il loro rapporto finale, che contiene una serie di spunti e dati interessanti.
2. Come ha evidenziato la stessa Reding nel presentare il rapporto, il commercio transfrontaliero nel settore delle assicurazioni continua ad incontrare notevoli ostacoli di vario ordine: mentre in altri ambiti, anche in materia di servizi, vi sono stati maggiori progressi, in campo assicurativo ancora “pochissimi clienti possono comprare prodotti assicurativi in altri paesi: nell’Ue appena lo 0,6 per cento dei premi delle assicurazioni sugli autoveicoli e il 2,8 per cento dei premi delle assicurazioni sui beni vengono pagati oltrefrontiera”.
Il problema è che, in particolare per quanto attiene al ramo vita e alle polizze per responsabilità civile (auto e non solo), le imprese sono costrette ad adeguare i propri contratti alle normative dei singoli Paesi di residenza dei contraenti, così predisponendo nuovi modelli per ogni singolo Paese, con conseguente ovvio aumento dei costi di compliance.
Le differenze di disciplina ostacolano poi il commercio intra-UE dei prodotti assicurativi, rendendo complesso e in fin dei conti giuridicamente rischioso per cittadini e imprese europei rivolgersi a fornitori in un altro Stato membro.
Tutto ciò riduce la concorrenza e mantiene la segmentazione nazionale dei mercati, ovvero ciò che i Trattati europei si propongono di superare con il completamento della realizzazione del “mercato interno”. Ciò non può che riflettersi a propria volta in un maggior costo per i consumatori e le aziende: e se in alcuni Paesi vi è almeno un soddisfacente grado di concorrenza interno, in Italia sono noti i periodici campanelli d’allarme di antitrust e centri studi sull’esistenza di premi sensibilmente più elevati rispetto agli altri Paesi europei, spia di un sistema di concorrenza ancora non al pieno delle proprie potenzialità nel nostro Paese per quanto concerne questo settore.
In effetti, i dati più recenti a disposizione, tratti da uno studio commissionato da ANIA (l’associazione di categoria delle imprese del settore) al Boston Consulting Group registrano ad esempio in Italia il costo dell’RC auto più caro d’Europa: dal 2008 al 2012, una polizza RC auto è costata mediamente 231 euro più nel Belpaese che in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna (anche se ANIA obietta che una quota consistente di questo sovrapprezzo è dovuta al maggior costo del sinistro e alla tassazione più elevata).
3. Di fronte a questo scenario, vi sono due possibili approcci. Da un lato, vi è la via, suggerita, se pur solo implicitamente, dal rapporto e dalla Reding, di procedere verso un’armonizzazione delle regole europee in materia di assicurazione (ed eventualmente del regime fiscale), in modo da realizzare un cosiddetto “level playing field”, cioè una sorta di uguaglianza di condizioni di partenza per gli operatori del settore. È l’impostazione tipica delle istituzioni UE, secondo cui occorre un intervento regolativo per rendere possibile il pieno ed effettivo operare di un sistema di concorrenza. Essa sembrerebbe incontrare il favore delle stesse imprese assicurative, consentendo loro di ridurre l’incertezza normativa e i costi di compliance.
Tuttavia, questo approccio porta con sé un rischio, ovvero quello di produrre in fin dei conti una diminuzione degli spazi di concorrenza: è vero che diminuirebbe la frammentazione del mercato, ma eliminare le opportunità di concorrenza regolatoria e fiscale, con il serio rischio che, nel medio termine, possa aumentare il carico di obblighi burocratici e fiscali gravante a quel punto su tutte le imprese europee del settore, senza che per consumatori e imprese vi sia più la possibilità di trasferirsi in un regime più favorevole (un esempio molto puntuale è proprio ciò che accadde con la ricordata sentenza Test-Achats, che impose a tutti di praticare lo stesso trattamento, senza più possibilità di adeguare i premi ai reali fattori di rischio per tutto ciò che ha a che fare con differenze di genere e sessuali, tener conto delle quali fu ritenuto discriminatorio dai giudici europei).
Vi è allora la possibilità di seguire una diversa strada rispetto all’armonizzazione, e in particolare una soluzione di policy che cerchi sì di ridurre la frammentazione dei mercati, ma senza rinunciare alla concorrenza regolatoria e fiscale, e anzi cercando di arrivarci proprio attraverso di essa. Infatti, finché sarà possibile per le imprese muoversi verso un ordinamento dove il costo della compliance regolatoria (e fiscale) sia inferiore, vi sarà sempre un deterrente all’innalzamento di tale costo da parte delle autorità dei singoli ordinamenti, e progressivamente tale costo tenderà a scendere un po’ ovunque.
Se ciò non accade, è presumibilmente perché vi sono altri ostacoli al trasferimento di imprese e consumatori (necessità di licenze, costi amministrativi di entrata e uscita, costi amministrativi di gestione), ma è allora contro di essi che occorre rivolgere le proprie attenzioni, invocando il completo rispetto del principio di libertà di stabilimento e di quello di prestare e ricevere servizi, e rimuovendo o almeno riducendo gli ostacoli al loro pieno operare.
In quest’ottica, un’armonizzazione accettabile potrebbe tutt’al più riguardare, come avvenuto in altri settori, alcuni requisiti minimi da rispettare, lasciando agli Stati Membri la libertà di incrementare eventualmente il carico amministrativo richiesto, ma consentendo così l’operare della concorrenza regolatoria, e garantendo a chi rispetti i requisiti minimi il “passaporto” per operare in tutti i Paesi membri: il diritto dei contratti, assicurativi e non, potrebbe così evolversi spontaneamente nei singoli ordinamenti secondo le proprie linee di tendenza, consentendo l’emergere di soluzioni diverse e la benefica circolazione dei modelli, che inevitabilmente verrebbe rimossa alla radice in presenza di un’armonizzazione top-down più o meno forzata.
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