I primi mesi del 2013 si sono rivelati intensi e non privi di novità per la politica inglese: l’UKIP (United Kingdom Indipendence Party ) potrebbe instaurare un quadripartitismo inedito per i canoni britannici, mentre l’azione del governo di coalizione conservatori-liberaldemocratici è difficoltosa e procede a fatica. Il premier David Cameron, superata la prima metà del mandato, intende rinvigorire e aggiornare il suo progetto di Big Society, vero punto di forza della campagna elettorale nel 2010; ma deve fare i conti con diverse problematiche, provenienti anche dal suo partito.
1. In primo luogo, la situazione economica non è delle più rosee: nel 2012, la crescita è stata assente, nonostante l’importante traino dato dalle Olimpiadi di Londra, e nell’anno in corso dovrebbe attestarsi a un livello inferiore all’1%, non certo tale da permettere una vigorosa ripresa. Il rapporto deficit/PIL è risultato del 6,3 % nel 2012; pur se in netta diminuzione rispetto ai picchi del 2010, quando si attestò oltre il 10%, si tratta di un rapporto ancora eccessivo; peraltro, si stima che quest’anno possa nuovamente aumentare, superando il 7%. Il debito pubblico ha raggiunto il 90% del PIL, raddoppiando nel giro di solo cinque anni. Il discusso Ministro delle finanze George Osborne, in sintonia con la volontà di Cameron di cambiare passo, ha appena presentato un piano di austerità da 83 miliardi di sterline, per ridurre la spesa pubblica che attualmente supera la metà del PIL, uno dei valori più alti in Europa: sono previsti il taglio di quasi mezzo milione di dipendenti statali, riduzioni delle spese per la cultura, l’ambiente, la sicurezza, il welfare (in particolare, i sussidi ai disoccupati), il servizio televisivo, e l’innalzamento dell’età pensionabile nel settore pubblico. Inoltre, negli ultimi giorni il Ministro delle attività economiche Vincent Cablet ha annunciato che il governo ha intenzione di dismettere il 51% della quota della cinquecentenaria Royal Mail, le poste britanniche, valutate fra i 2,5 e i 3,5 miliardi di sterline. Contemporaneamente, l’esecutivo spera che l’economia possa giovarsi dell’azione del nuovo Governatore della Banca d’Inghilterra, il canadese Mark Carney, insediatosi il 1 luglio. Carney è favorevole a politiche monetarie espansionistiche, che, anche travalicando gli originari target di inflazioni massima, possano sostenere la disoccupazione (che nel Regno Unito sfiora l’8%) e la crescita del PIL; la sua prima decisione ha confermato questo orientamento, dato che ha scelto di mantenere inalterati al minimo storico dello 0,5% i tassi di interesse.
Inoltre, il partito Conservatore è pungolato da destra dalla crescita di popolarità dell’UKIP, guidato dall’europarlamentare Nigel Farage, che nell’ultimo anno ha fatto breccia fra gli inglesi con un programma liberale fortemente anti-europeista, critico in particolare nei confronti della tecnocrazia di Bruxelles. All'inizio del 2013 Cameron, anche per assecondare le perplessità britanniche riguardanti l’integrazione comunitaria, aveva annunciato che entro il 2017 si sarebbe tenuto un referendum per stabilire se rimanere in Europa o meno. L’avvicinamento da parte del premier alle tematiche antieuropeiste non è però servito a frenare l’ascesa dell’UKIP: in occasione di elezioni locali tenutesi a inizio maggio in Inghilterra e Galles, ha ottenuto il 23% dei voti (alle elezioni nazionali nel 2010 aveva a malapena superato il 3%) accreditandosi per la prima volta come una forza politica di rilievo ed erodendo consensi ai conservatori. La questione del referendum sull’Unione Europea è stata ripresa da 304 deputati Tories, che si sono espressi in favore, seppur in termini non vincolanti, in una votazione tenutasi a inizio luglio. Cameron, che fino a poco tempo fa definiva “fuori di testa” gli attivisti dell’UKIP, potrebbe essere costretto, per fini tattici ed elettorali, ad avvicinarsi ulteriormente alle posizioni di Farage, anche se alcuni conservatori considerano inappropriati e populisti i toni dell’europarlamentare. Nel frattempo, Cameron non può perdere di vista il compagno di partito Boris Johnson, l’estroso sindaco di Londra, che ha resistito al tracollo elettorale dei Tories nel biennio 2012-2013, e, si mormora, non disdegnerebbe puntare alla Premiership nel 2015. In ogni caso, Cameron deve tenere a bada un partito in cerca di un nuovo assetto e una nuova identità, non solo sulle questioni europee: la legalizzazione dei matrimoni gay, voluta dal premier e votata alla fine di maggio alla Camera dei Comuni, ha fatto emergere con forza le divisioni che intercorrono fra le due anime del partito Conservatore.
2. Se i Tories stentano, non stanno meglio i loro rivali laburisti, nonostante la discreta tenuta alle ultime elezioni locali. La guida di Ed Miliband, che nel 2010 sconfisse a sorpresa il fratello David nella corsa alla guida del partito, si sta rivelando meno vigorosa del previsto. Tre anni fa Ed il Rosso, come è comunemente chiamato, stupì l’opinione pubblica presentando una piattaforma ideologica spostata parecchio a sinistra - puntando a una strenua difesa del Welfare State e attaccando ripetutamente il mondo finanziario - unita a un sano pragmatismo che gli permise di non alienarsi i favori dei lavoratori del settore privato. Ma in questi anni il suo operato è stato fortemente condizionato dai sindacati, il cui sostegno fu essenziale nel garantirgli la leadership del Labour Party, e che rappresentano tutt’ora i principali finanziatori, per circa 8 milioni annui, dei laburisti. Le loro posizioni, ritenute troppo spesso estremiste e appiattite sulla difesa dello status quo, non sono benviste dall’ala riformista e blairiana del partito, e rischiano di rendere poco efficace l’opposizione del Labour alle politiche governative. Lo stesso Miliband, negli ultimi giorni, sembra voler inaugurare un nuovo corso; dopo lo scandalo avvenuto a Falkirk, in cui il sindacato Unite, guidato da Len McCluskey, è riuscito con la sua influenza e un consistente pacchetto di voti a pilotare la selezione del candidato laburista al parlamento, Ed è stato costretto a cedere su alcune questioni ai suoi rivali interni: ha preso la storica decisione di rompere con le trade unions e ha promesso un partito più snello, aperto e trasparente nella scelta dei candidati. La sua speranza è di riuscire a essere apprezzato anche dai colleghi più centristi, e in questo modo presentarsi come candidato premier nel 2015 con maggio credibilità e compattezza alle sue spalle.
La coabitazione al governo con i conservatori sembra aver fatto perdere smalto ai liberaldemocratici di Nick Clegg, autentiche rivelazioni nel 2010. Clegg, da vice-premier, viene accusato di essere troppo remissivo rispetto all’operato di Cameron, e di non essere in grado di offrire proposte alternative credibili. La tanto attesa riforma del sistema elettorale britannico non è riuscita; non a caso, gli ultimi sondaggi accreditano i lib-dem sotto il 10%, e questo significherebbe condannarli all’irrilevanza. Se da qui a pochi mesi Clegg non riuscirà a dare nuova linfa ai lib-dem , è molto probabile che sarà rimosso dal vertice del partito.
3. Altre questioni stanno infiammando il dibattito pubblico: la spinta indipendentista della Scozia e del partito SNP (Scottish National Party), guidato dal primo ministro Salmond, dovrebbe portare a un referendum nell’autunno del 2014, e potrebbe radicalmente cambiare l’assetto del Regno Unito; la stretta governativa sugli aiuti agli immigrati, e le campagne pubblicitarie volte a scoraggiare l’immigrazione nel Regno Unito, hanno acceso lo scontro fra i fautori di politiche a di favore verso gli stranieri e chi, invece, teme che ulteriori flussi possano mettere a rischio la sostenibilità del welfare e creare problemi di sicurezza interna.
I prossimi mesi saranno dunque utili per comprendere con maggior chiarezza gli scenari futuri della politica britannica. In particolare si capirà se i tentativi di Cameron e Osborne andranno a buon fine, risollevando un’economia in difficoltà; se l’UKIP si rivelerà un fuoco fatuo o, al contrario, una forza politica in grado di attrarre non solo il voto di protesta, se il declino dei liberaldemocratici è irreversibile; se, infine, la nuova gestione di Ed Miliband si rivelerà tale, o se i laburisti punteranno, per la corsa alla Premiership, su di un candidato più inclusivo.
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