Bassa competitività

Il Global Competitiveness Index è un indice redatto dal World Economic Forum. Si pone l’obiettivo di misurare la competitività di 139 paesi in diversi stadi del proprio sviluppo. Lo fa utilizzando una media ponderata di indicatori raggruppati in dodici “pilastri”: istituzioni, infrastrutture, ambiente macroeconomico, salute ed educazione primaria, educazione superiore e training, efficienza del mercato dei beni, efficienza del mercato del lavoro, sviluppo del mercato finanziario, predisposizione alla tecnologia, dimensione del mercato, sofisticatezza dei mercati e innovazione. 

Tra i paesi del G7, l’Italia è ultima in classifica. In particolare, non è tra i primi cento paesi a livello mondiale, né nel pilastro relativo al mercato del lavoro, né nel pilastro relativo allo sviluppo del mercato finanziario. Nel primo ambito il risultato è dovuto a performance particolarmente deludenti nel campo delle relazioni industriali, alla scarsa flessibilità salariale, alla complessità delle pratiche per assumere/licenziare e a una bassa produttività. L’accesso al credito rappresenta il fattore più problematico per quanto riguarda i mercati finanziari. Il rapporto contiene anche il risultato di un'indagine sui fattori percepiti come maggiormente critici per quanto riguarda gli investitori. L’inefficienza della burocrazia è risultata la prima causa citata, seguita dal difficile accesso al credito e dalle aliquote elevate.

Poca attrattività

Il rapporto Doing Business viene presentato su base annuale dalla World Bank, e fornisce una comparazione delle regolamentazioni che favoriscono o sfavoriscono le attività imprenditoriali. Il confronto avviene sulla base di nove aree di analisi: facilità nel cominciare un’attività, nell’ottenere permessi per costruire, nel registrare le proprietà, nell’accedere al credito, il grado di protezione degli investitori, le caratteristiche del sistema fiscale, la possibilità di commerciare con l’estero, la possibilità di far rispettare ì contratti e di chiudere un’attività senza incedere in costi eccessivi.

L’Italia si classifica 80a, perdendo quattro posizioni rispetto all’anno scorso. Sono meno di un quarto gli Stati in cui le condizioni per fare business si sono fatte più difficili, e il nostro è tra quelli. Sono state intraprese alcune iniziative per migliorare le condizioni per le attività imprenditoriali e per attrarre investimenti, ma insufficienti per permettere un salto di qualità. Un paio di risultati negativi spiccano. Se si parla della facilità nel far rispettare i contratti, l’Italia è 157a; se si considera l’onerosità degli adempimenti fiscali è 128a.


Le conseguenze

Bassa libertà economica, bassa competitività e un ambiente poco favorevole alle attività imprenditoriali non potevano non avere conseguenze sulla crescita italiana.

 

GDP pro-capite, CAGR 1990-2009

PPP a valori costanti

 

immagine_al
immagine_al

Negli ultimi venti anni il tasso di crescita del PIL pro-capite italiano è stato tra i più bassi a livello mondiale. Se avessimo considerato il tasso di crescita del PIL la situazione sarebbe stata ancora peggiore. Anche nei confronti degli altri paesi dell’OCSE (quindi in condizioni di sviluppo comparabile) la performance è deludente: il PIL pro-capite è cresciuto a un tasso di crescita pari al 40% del tasso medio dei paesi OCSE.

E quindi?

Sia analizzando i risultati dell’Indice di Libertà Economica del Fraser Institute sia analizzando i risultati del Global Competitiveness Index e del Doing Business Index, emergono alcune considerazioni.

Il peso dello Stato e il ruolo del governo nell’ambito economico sono di gran lunga eccessivi. La possibilità di fruire di bassi tassi di interesse per tutto il primo decennio di esistenza dell’euro ha allentato i vincoli di bilancio, e gran parte degli sforzi che erano stati precedentemente fatti per sanare le finanze pubbliche sono stai vanificati.

Oltre ad assorbire eccessive risorse all’economia, questo eccesso di settore pubblico non ha neppure prodotto istituzioni efficienti. Burocrazia inefficiente, sistema giudiziario mal funzionante, incapacità di migliorare la regolamentazione dei mercati sono i fattori che emergono dai diversi indicatori.

Risolvere questi problemi farebbe bene all’Italia e potrebbe favorirne davvero la crescita, più di qualsiasi politica attiva per incentivare la ripresa. Forse la crisi obbligherà la classe dirigente del Paese a cercare di migliorare il background istituzionale per favorire lo sviluppo, ma finora è stato fatto troppo poco. È importante verificare se e cosa verrà fatto nei prossimi mesi.