Parto da una constatazione metrica. Il numero di libri dedicati alla corruzione del sistema universitario italiano è aumentato esponenzialmente negli ultimi anni. Fino a qualche tempo fa era quasi un tabù dire che i concorsi a cattedra erano truccati. Oggi siamo giunti all'eccesso opposto, ossia nessuno crede più che un concorso universitario possa essere svolto secondo le regole del gioco. Come interpretare questo dato? Siamo forse a una svolta?

Per rispondere a questa domanda non c'è forse documento migliore del disegno di legge sull'organizzazione universitaria in discussione in Parlamento. Posto il problema del concorso a cattedra, quali soluzioni prospetta il nuovo strumento giuridico?

Dopo aver dato una scorsa al testo attualmente in discussione, diremmo che le soluzioni prospettate sono due: l'abolizione del concorso e la riforma del concorso. Ma come è possibile contemplare le due cose insieme, direte? Il fatto è che il testo prestabilisce due metodi di reclutamento, la chiamata diretta e il concorso per titoli. Nel primo caso, il candidato viene chiamato direttamente, nel secondo occorre prima fare uno spoglio dei titoli. Va detto però che per attuare la chiamata diretta occorre che il candidato sia stabilmente impegnato all'estero (da almeno tre anni, se prima deve passare per lo stretto corridoio del programma Montalcini, già "Rientro dei cervelli"). Quindi il nuovo disegno di legge presuppone un doppio regime, uno per chi si è trasferito all'estero e uno per chi è rimasto in Italia. Di fatto è già da anni che la cosa va avanti. Le novità riguardano soprattutto i concorsi per titoli.

Per evitare i nepotismi, i nuovi concorsi verranno gestiti solo da docenti di specchiata condotta accademica. Per evitare che si assuma a vita un ricercatore che poi decide di non far nulla, scompare la figura del ricercatore a tempo indeterminato e compare quella del ricercatore a tempo determinato. Quest'ultimo si vedrà rinnovare il contratto triennale una volta sola e solo per altri tre anni. Poi il concorso da associato. A gestire questi concorsi saranno i docenti di specchiata condotta di cui sopra, il cui compito sarà quello di valutare il percorso fatto dal ricercatore nei sei anni di lavoro universitario.

Può funzionare? Sì, a patto che effettivamente le commissioni vengano scelte con criteri lineari e non secondo le logiche spartitorie che hanno reso il vecchio concorso impraticabile. A questo proposito un suggerimento: perché non chiamare membri esterni a presiedere questi concorsi? Perché non stabilire per legge che ogni commissione dovrà vedere la presenza di uno studioso straniero di chiara fama e di un traduttore al seguito? Sarebbe questo un segnale molto forte che direbbe che l'Italia ha chiuso con il passato e che da ora in poi si fa come in ogni altra parte del mondo civile: si offre una chance a un giovane scienziato e poi lo si valuta per ciò che produce a valle - non per quello che presumibilmente è, a monte, il giorno che bussa alla porta dell'Università. Sarebbe, questa sì, una rivoluzione copernicana.