Il 21 e 22 giugno si è tenuto a Bruxelles il Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi dell'Unione Europea sotto la presidenza tedesca. Era l'occasione per decidere il rilancio del processo di integrazione europea dopo lo stop al trattato costituzionale dato dal referendum francese. Dopo un duro confronto con la pattuglia dei paesi "euroscettici" guidata da Gran Bretagna e Polonia, si è arrivati ad un compromesso che ha ottenuto l'accordo di tutti con un chiaro mandato a convocare in tempi rapidi una nuova Conferenza Intergovernativa chiamata a scrivere entro dicembre la riforma dell'Unione.

 

Allargamento e integrazione: due politiche divergenti
Numerose sono le voci critiche che si sono levate, soprattutto nei Paesi a più forte tradizione europeista, dopo le conclusioni del Vertice di Bruxelles del 21 e 22 giugno. La delusione di chi sperava in un rilancio più forte e rapido del processo di integrazione europea è giustificata soprattutto dalla scarsa fiducia verso l'Europa che stanno dimostrando alcuni paesi dell'Est, malgrado i grandi sforzi fatti per favorire la loro adesione.
Un senso di frustrazione percorre gli ambienti comunitari nel vedere alcuni di questi paesi, come la Polonia e la Repubblica Ceka, in prima linea nel frenare ogni spinta verso una maggiore integrazione europea.
Tuttavia c'è da stupirsi che ci si stupisca.
Era già chiaro da anni che allargare l'Unione Europea senza attuare preventivamente una radicale riforma in senso federalista avrebbe comportato la paralisi del processo decisionale. Non a caso la Gran Bretagna ha da sempre spinto con grande determinazione il processo di allargamento ad Est, opponendosi nel contempo a significativi processi di integrazione. Gran parte degli altri Paesi europei e l'allora Commissione Europea hanno puntato sul fatto che l'allargamento ad Est era un "imperativo storico" che andava perseguito indipendentemente dalla capacità di autoriforma dell'Unione. La Germania, che più di altri Paesi europei ha vissuto sulla sua pelle le ferite della "Cortina di Ferro", ha voluto, con generosità e determinazione, una politica di allargamento chiara e incondizionata che andasse avanti comunque a tappe precise.
Il pragmatismo britannico non a caso aveva visto con favore la nomina di un commissario tedesco delegato all'allargamento dell'Unione Europea.
Occorre quindi riconoscere che la Gran Bretagna esce vincitrice da quest'ultimo decennio di politica comunitaria. La soddisfazione di Londra fa il paio con lo stupore tedesco nel vedere che l'allargamento ad Est non le ha portato nuovi alleati. Anzi, in Polonia riemerge un becero revanscismo che si tinge di antieuropeismo nella misura in cui per molti polacchi "Europa" vuole in gran parte "Germania".
C'è stato, è corretto ricordarlo, il serio tentativo attuato con la Convenzione Europea di dotarsi di un trattato costituzionale che avrebbe potuto far compiere un salto in avanti nel processo di integrazione. Da questo punto di vista le responsabilità francesi, e in particolare dell'allora presidente Chirac, sono enormi e resteranno scritte nella storia. Il fatto che sia stato un Paese grande e importante, tra i fondatori dell'Unione, a bocciare la Costituzione, ha dato un alibi prezioso a tutti coloro che per diversi motivi si opponevano al processo di integrazione.
L'errore però è stato a monte: non condizionare l'allargamento a reali progressi nel processo di integrazione. Svincolare i due percorsi, è stato il must della politica britannica, e la linea di sconfitta dei tanti che non hanno visto, o hanno fatto finta di non vedere, l'inevitabile deriva che avrebbe subito il processo di integrazione europea.

 

I risultati del vertice
In questo panorama quindi, giudicare un insuccesso il vertice di Bruxelles è ingeneroso.
Guardiamo ai fatti. E' stato strappato l'accordo sul mandato per una nuova Conferenza Intergovernativa (CIG) che avrà tempi stretti. Sarà convocata dalla presidenza portoghese già a fine luglio e dovrà terminare i suoi lavori entro la fine del 2007 con il testo di un nuovo Trattato di riforma dell'Unione che dovrà poi essere ratificato dai vari paesi.
Il vertice di Bruxelles ha dato un mandato chiaro alla CIG sui contenuti del Trattato che emenderà i due trattati esistenti: l'attuale trattato sull'Unione europea che manterrà il suo nome e il trattato istitutivo della CEE che diventerà il "Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea". L'Unione Europea avrà personalità giuridica e la parola "Comunità" sarà sostituita da "Unione".
La Carta dei diritti fondamentali, anche se non sarà inserita nel Trattato (era una delle principali critiche alla Costituzione) avrà carattere vincolante tranne che per il Regno Unito che ha scelto la clausola di opting out.
Vi è l'accordo per estendere il voto a maggioranza qualificata che sarà la regola per 51 settori aggiuntivi rispetto a quelli attuali, tra cui istruzione, politica economica, cooperazione giudiziaria e di polizia. In questi casi scatterà il sistema della doppia maggioranza (55% dei paesi pari al 65% della popolazione dell'Unione Europea) dal 2017, mentre si manterrebbero le disposizioni del trattato di Nizza (con la ponderazione dei voti) fino al 31 dicembre 2014. Tra il 2014 e il 2017 si prevede altresì un periodo transitorio in cui entrerebbe in vigore la doppia maggioranza, con la facoltà per i singoli paesi, se lo vogliono, di chiedere ancora l'applicazione della ponderazione dei voti. L'unanimità rimarrebbe quindi limitata a politica estera, previdenza sociale, fiscalità e cultura. Il Regno Unito ha chiesto su alcune materie a maggioranza la clausola di opting out.
Il mandato del vertice di Bruxelles alla CIG prevede la designazione di un presidente dell'Unione Europea con un mandato di 2 anni rinnovabile una sola volta. Questa nuova istituzione porrà fine alla presidenza a turno ogni 6 mesi e tale funzione sarà incompatibile con qualsiasi altro incarico nazionale.
E' stato archiviato il termine di ministro degli esteri europeo, tuttavia nella sostanza il nuovo "Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune" assomiglia molto a quanto scritto nel Trattato Costituzionale. Assommerà infatti il ruolo attuale di Alto Rappresentante PESC con la carica di Commissario europeo alle relazioni esterne. Sarà dunque un elemento di congiunzione tra il Consiglio e la Commissione europea, poiché sommerà la carica di vice presidente della Commissione Europea e di presidente del Consiglio affari generali, che riunisce i ministri degli esteri.
Infine il mandato alla CIG indica chiaramente un ampliamento della procedura di codecisione al Parlamento Europeo, cosa che fornirà a Strasburgo il diritto di veto in campi nuovi come giustizia e affari interni, aumentando il controllo e la legittimità democratica delle decisioni comunitarie.
Certo, siamo lontani da qualunque ambizione di organica e complessiva riforma dell'Unione in senso federalista. Ma è comunque un risultato in linea con l'ormai abituale politica dei piccoli passi. Ossia di un'integrazione che si realizza poco per volta, con procedure spesso complesse e barocche, ma che alla fine consentono di muoversi tutti insieme.
Aver fatto porre la firma di tutti i 27 su un documento conclusivo che indica questi punti come mandato per una conferenza intergovernativa da convocare già a fine luglio non è un risultato nullo.
Di più, dal vertice di Bruxelles della scorsa settimana, non si poteva chiedere. Per questo non possiamo giudicarlo un insuccesso. Inoltre era la prima vera prova per capire se l'Europa a 27 avrebbe potuto compiere un passo avanti unita. Magari piccolo, come è stato, ma unita. Non era scontato a 27. Vi erano infatti gli elementi per una rottura che, se ci fosse stata, sarebbe stata deflagrante per questa fragile Unione ormai così eterogenea.
Acquisito il risultato di Bruxelles è giusto però interrogarsi sul più ampio contesto in cui va ad inquadrarsi.

Una via di uscita: l'Europa a due velocità
Se la CIG avrà successo e entro il 2009 il nuovo Trattato sarà stato approvato, avremo ottenuto un risultato importante per l'Unione nel suo insieme. Tuttavia è ormai lecito chiedersi: i Paesi che più credono nella necessità di un'Europa più integrata e forte sulla scena mondiale possono compiere qualche passo in più degli altri?
Il nucleo storico e quello dell'Unione Monetaria, che ormai hanno in comune quel potente elemento di coesione che è l'euro, sanno bene che il processo di integrazione a 27 ha tempi incompatibili con le vere sfide a cui i principali paesi europei devono fare fronte: politiche energetiche, stabilità euro-mediterranea ed euro-atlantica, politica monetaria, politica industriale, politica ambientale, politiche migratorie.
E' ormai matura una seria riflessione su una Europa a doppia velocità senza che i due "Club" si escludano a vicenda. Due cerchi, uno dentro l'altro. E' questa una prospettiva che potrebbe maturare, anche prima del previsto, subito dopo la Conferenza Intergovernativa di luglio.
La consapevolezza del bisogno di Europa che vi è nelle elite dirigenti, e nel mondo imprenditoriale ed economico è molto più forte di quanto si pensi e di quello che traspare da un dibattito pubblico inevitabilmente condizionato da logiche e schemi interpretativi nazionali che spesso sono vecchi e superati.
Nonostante tutto occorre guardare con fiducia al processo di integrazione in atto perché la mobilità degli studenti, dei ricercatori, gli scambi economici e la mobilità dei capitali, le fusioni societarie, gli scambi di esperienze tra le varie pubbliche amministrazioni, le cooperazioni industriali, l'interdipendenza dei mercati finanziari soprattutto nell'area euro, insomma tutta la dimensione "reale" dell'integrazione economica e sociale europea, è ormai più avanzata di quella politico – istituzionale. E la storia ci insegna: presto o tardi le istituzioni si adeguano alla realtà.