L’indice S&P500 nei primi cinque mesi del 2017 ha registrato una variazione positiva dell’8%. Gli investitori passivi, ovvero coloro che comprano appunto le repliche degli indici, possono essere soddisfatti nell’aver scelto il mercato americano, sempre che siano investitori in dollari. Un investitore denominato in euro avrebbe visto quasi annullata la crescita dal deprezzamento della valuta americana.
Ma ciò che appare un elemento di maggiore interesse relativamente al comportamento dell’indice è un aspetto che difficilmente può interessare chi investe passivamente ed è il comportamento delle singole componenti. L’interesse dovrebbe nascere dal fatto che, ovviamente, la crescita complessiva in dollari dell’8% non è stata determinata da una variazione equamente distribuita tra le cinquecento società del S&P500 ma è il saldo di movimenti tra di loro anche molto diversi.
Questa affermazione è appunto ovvia, oltreché intuitiva, ma anche per un investitore passivo dovrebbe essere rilevante quanto sommariamente esemplificato nella tabella che segue. La crescita dell’8% dell’indice può essere dovuta alla identica variazione delle tre ipotetiche società che lo compongono, come nell’Ipotesi 1. Oppure possono esserci delle piccole differenze come nell’Ipotesi 2. Ma possono anche esserci differenze veramente significative come nel caso dell’Ipotesi 3. In questo ultimo caso anche il più passivo degli investitori si trova ad essere suo malgrado attivo essendo una sola società a trainare la crescita dell’indice, con il rischio che la mancanza di qualche forma di attivismo nelle scelte di investimento trasformi la passività in incoscienza.
Possiamo velocemente uscire dal terreno teorico per vedere proprio il nostro 8% da inizio anno come e da chi è stato generato. Scopriamo che quasi il 50% della crescita proviene da solo dieci società – su cinquecento - e che una, Apple, ha contribuito da sola per l’1% ed insieme ad altre cinque società del settore tecnologico supera il 2,5% di contributo alla crescita da inizio anno. Il punto centrale non è stabilire se è tanto o poco o se le quotazioni sono alte o basse. L’aspetto rilevante è il modo in cui la variazione è stata generata e ciò lo si può indagare solo approfondendo le caratteristiche dell’indice, atteggiamento che richiede probabilmente un approccio più attivo che passivo.
L’approfondimento permette di scoprire che il contributo delle prime società nel corso del 2017 è stato storicamente molto elevato, quasi il 50% contro una media del 30% nelle fasi di variazione positiva del S&P500 dal 2003. Andando a vedere l’estremo opposto, nel 2013 l’indice S&P500 crebbe del 30% mentre i primi dieci contributori parteciparono solo per 1/6 alla sua variazione. In questo senso il movimento delle altre 490 società fu nel 2013 molto più corale e distribuito. In realtà, come segnalato da un recente articolo (*), la tendenza all’investimento cosiddetto passivo potrebbe aver superato il punto di non ritorno a causa del fenomeno dilagante della offerta di indici che, data la costante riduzione delle società quotate, potrebbero arrivare in un futuro non lontano a replicare solo se stessi per mancanza di materia prima.
© Riproduzione riservata