Le sofferenze (Non Performing Loans=NPL) sono i prestiti che una banca ha effettuato, ma che i debitori non riescono a ripagare. In Italia ammontano intorno ai 200 miliardi di euro. Per la media delle banche italiane le sofferenze sono pari al 10% degli attivi. Le principali banche europee hanno, invece, un livello di NPL in rapporto agli attivi pari al 3,5%. Come possono le banche italiane far fronte ad un volume di sofferenze così elevato?
Una banca può avere effettuato degli accantonamenti e spesato una parte dei NPL in bilancio. Le banche italiane hanno un tasso di copertura pari al 50%, il che significa che rimangono da affrontare perdite potenziali pari al 50% del valore nominale dei NPL. Le banche dovranno ancora fare degli accantonamenti di un certo tenore e quindi per molto tempo vi saranno meno risorse per erogare crediti.
E qui arriva la Bad bank (1), di cui si parla dopo l'accordo di Bruxelles. Essa dovrebbe assorbire una parte più o meno cospicua dei crediti inesigibili a fronte dei quali non vi sono accantonamenti. I crediti inesigibili rimasti verrebbero comprati dagli operatori specializzati, che cercherebbero di riscuoterli. Qui sorge un duplice problema: il prezzo al quale le banche vendono i crediti deteriorati e le eventuali garanzie statali che possono incentivare gli operatori privati ad intervenire. Rispetto al valor facciale, minore il prezzo maggiore è la perdita che le banche debbono coprire, maggiore la garanzia pubblica e più ci si avvicina all'aiuto di stato (che è proibito da Bruxelles).
Bene, vediamo che cosa possiamo affermare, sulla base delle informazioni disponibili. Nella crisi delle quattro banche – l'Etruria e le altre, si è purtroppo scoperto che i crediti probabilmente recuperabili sono pari solo al 20% dei crediti di difficile riscossione. Se questa è la percentuale, o se fosse anche maggiore, poniamo intorno al 30%, le banche riuscirebbero a cedere solo una parte dei loro NPL (2). Resterebbero in carico alla banca il 35% dei crediti di difficile riscossione. Se le sofferenze sono pari al 10% dell'attivo, con la Bad bank è pari al 3,5% dell'attivo, un numero eguale a quello medio delle banche europee (3). Molto meglio di prima, ma non si intravvede “la” soluzione del problema dei cattivi crediti cumulati.
1- Si ha a che fare con le “cartolarizzazioni”. Le banche cedono i loro cattivi crediti agli operatori specializzati (SVP=Special Vehicle Purpose), i quali li impacchettano combinando la loro diversa probabilità di riscossione. Li impacchettano in forma di obbligazioni che vogliono mettere in vendita. Se l'agenzia di rating – quindi un agente terzo rispetto alle banche ed ai SVP – da un giudizio almeno pari a BBB, ecco che l'obbligazione è in vendita. Il quadro si completa se si ha un'assicurazione (CDS= Credit Default Swap), se le cose andassero male. Si compra quest'assicurazione. I rischi sono così assicurati, ma hanno naturalmente un costo.
2 - Abbiamo ragionato come se ci fosse una sola banca (una media senza varianza). Le banche naturalmente sono in condizioni diverse.
3- Le sofferenze sono state spesate per il 50%. Del rimanente 50% da spesare, una parte è ceduta, poniamo il 30%, quindi la banca si libera (50%X30%=15%) del 15% delle sofferenze non ancora spesate. Resta perciò a loro carico il 35% (50%-15%=35%). Resta, infatti, non coperta una parte delle sofferenze: quella oltre la parte già coperta (50%) e quella che finisce nella bad bank (stimabile intorno al 15%). Il (100%-50%-15%=35%) 35% che avanza, se le sofferenze sono pari al 10% dell'attivo, è pari (10%X 35%=3,5%) al 3,5% dell'attivo, un numero eguale a quello medio delle banche europee.
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