Quest’anno l’autunno sembra essere arrivato prima. E con esso pare che siano altrettanto in anticipo le polemiche sull’approvvigionamento energetico in Europa. All’inizio di questo mese, l’Antitrust europeo ha aperto un’inchiesta nei confronti di Gazprom per verificare le attività del colosso energetico russo nei Paesi dell’Europa centro-orientale.

L’Ue sospetta la violazione da parte del gigante russo delle norme sulla regolamentazione dei mercati degli idrocarburi. Gazprom sostiene di essere in linea con gli standard utilizzati da altri produttori ed esportatori di gas e ricorda che prezzi e quantitativi attuali di gas esportato qui da noi sono il risultato di un accordo preso proprio con la Commissione Ue. D’altra parte la compagnia russa si è detta «pronta a continuare il dialogo per un’ulteriore cooperazione costruttiva». Parole di cortesia – quelle dalla nota di Gazprom – che Bruxelles ha raccolto, sostenendo di «non avere indicazioni su eventuali problemi di rifornimenti di gas con la Russia per il prossimo inverno». Dichiarazione, questa, della portavoce del commissario Ue all’energia Marlene Holzner.

Tre sarebbero le pratiche anti-competitive di cui è sospettato il gruppo guidato da Alexei Miller. Gazprom potrebbe aver diviso i mercati impedendo il libero flusso del gas tra gli Stati membri. Potrebbe poi aver impedito la diversificazione delle forniture. Infine potrebbe aver imposto prezzi ingiusti ai suoi clienti, legando insieme i valori del gas e del petrolio. La società da Mosca nega ogni addebito, precisando che i prezzi praticati sono in linea con gli standard in vigore.

Di solito le frizioni Ue-Russia sono inversamente proporzionali alle temperature. Più fa freddo e più la polemica si accende. A pochi giorni dalla fine dell’estate invece, la Mosca degli affari e quella politica sono già sul sentiero di guerra. «Stanno sorgendo le basi per sospettare che le autorità europee, aiutate da giochi condotti dietro le quinte, stiano tentando di arrivare con la forza a una serie di sconti sui prezzi del gas russo», ha sostenuto il numero due di Gazprom, Alexander Medvedev, nessuna parentela con Dimitri, l’ex presidente e ora premier della Federazione russa. Mentre il ministero degli esteri ha fatto sapere di seguire con attenzione la vicenda.

La chiave di lettura utilizzata da Mosca è che si tratti di attacchi al meccanismo dei contratti a lungo termine. Sia di Gazprom sia di altri fornitori. Statoil e Sonatrach per esempio. «Se Bruxelles vuole regolamentare i prezzi del gas con meccanismi amministrativi, allora dovrebbe dirlo apertamente e spiegare allo stesso tempo come questo si rapporta ai suoi appelli a difesa dei principi del libero mercato», hanno aggiunto da Gazprom.

Fin qui il caso. Vedremo come andrà avanti.

Il problema è però europeo. Al di là dei comportamenti dei russi, noi importiamo il 60% di gas da produttori extra-europei. Di questo, oltre il 40% è proprio Gazprom a fornircelo. Sette Paesi del blocco Ue-27 sono quasi completamente vincolati alla compagnia guidata da Miller. L’assenza di materie prime ha spinto spesso Bruxelles a formulare proprie politiche energetiche. Il Libro verde, che risale ancora al novembre 2000, è stato negli anni più volte revisionato. Vi è stato introdotto il concetto dell’efficienza energetica, volta soprattutto alla riduzione delle emissioni di gas inquinanti. Vi si leggono previsioni, per alcuni aspetti allarmanti. Per esempio l’ipotesi che, entro il 2030, il 70% dell’energia consumata verrà da fornitori stranieri. Tuttavia, il documento in questione è un tentativo abortito di ricorrere ai ripari.

Certo, di concorrenza non ce ne può essere molta. Non tanto perché Gazprom non lasci fare, quanto per l’assenza di materia da estrarre a casa nostra. Inoltre le partnership che tutte le compagnie petrolifere europee hanno opportunamente siglato sono proprio con l'impresa russa. Certo, ci sono stati dei precedenti di attriti. I casi di Polonia e Ucraina, sottomesse ai ricatti moscoviti, non si possono dimenticare. Non fosse altro perché gli ucraini sono rimasti davvero al gelo.

Tuttavia, gli stessi padri fondatori dell’Ue – Germania e Italia prime fra tutte – non hanno mai nascosto l’interesse nazionale nel confrontarsi con l’Est. Magari anche in maniera bilaterale, escludendo dal dialogo Bruxelles. Alla fine del 2011, a Lublino, la Merkel per la Germania e Medvedev (Dimitri) per la Russia hanno aperto il rubinetto del Northstream: 1.220 chilometri di gasdotto che dalla russa Viborg arriva alla tedesca Greifswald. Un tubo a due linee parallele, con una capacità complessiva annuale di oltre 50 miliardi di metri cubi e per la cui realizzazione sono stati consultati i leader nel settore francesi e olandesi. Oltre che i tedeschi e la Gazprom ovviamente. Una cordata multicolore che, in passato e con il gasdotto in costruzione, era stata oggetto di polemiche da parte dell’Ue. Così come oggi è sotto attacco il Southstream: fratello minore per nascita della conduttura del Baltico, ma più lungo e articolato. Questo passerà per nove Paesi.

A Bruxelles al Southstream si preferirebbe il Nabucco, che in teoria non chiama in causa la Russia perché sarebbe alimentato dal gas di Azerbaigian, Kazakistan e Turkmenistan. L’Ue pensa che se il suo progetto andasse in porto, la nostra percentuale di dipendenza da Gazprom si ridurrebbe considerevolmente.

Così, a pochi mesi dalla posa della prima pietra del Southstream, l’Unione torna alla carica. Maldestramente però. Primo perché, piaccia o no, il Southstream si farà. L’avvio dei lavori è previsto per dicembre prossimo e si andrà avanti fino al 2015. Secondo perché non ci si rende conto che a) con il Southstream siamo di più a guadagnarci, intesi come membri Ue: sei contro i cinque che partecipano al progetto Nabucco; b) perché non è escluso che in quest’ultimo vi passi gas russo. Già una consulenza tecnologica di Mosca è praticamente scontata. Come nel Northstream c’erano Francia e Olanda. In queste grandi opere internazionali, si prevede un’adunata di vaste dimensioni. Sarebbe illogico tenere fuori una società come Gazprom, che nel settore ne capisce. Non è una regola di mercato, libero e concorrenziale, è una questione di necessità. Ognuno offre il proprio contributo, tutti ne guadagnano qualcosa e altrettanto tutti tornano a casa contenti. c) La capacità di Nabucco rischia di essere superiore alle disponibilità di gas caucasico. Quindi non si esclude che vi si faccia passare anche qualcosa che viene da Iran, Iraq e perfino dall’Egitto. Di nuovo: perché allora tenere fuori la Russia che è lì dietro l’angolo?

Bruxelles vuole svezzarsi da Mosca. Giusta o meno l’ambizione, non è con le inchieste contro Gazprom che si risolve il problema. O meglio, se l’Ue crede che i russi non si stiano comportando con fair play, vadano avanti. Ma non si illudano poi di un’inversione di rotta. Né da Gazprom, la cui suscettibilità potrebbe suscitare reazioni imprevedibili. Né dal mercato in generale. Manca una politica energetica comune. Il Libro verde la auspica. Peccato però che si concentri su come contenere l’inquinamento ambientale. La causa è nobile. Ma non risolve la questione degli approvvigionamenti. Ultima cosa: quali sono le alternative alla Russia? Alternative della cui trasparenza e correttezza possiamo fidarci?