I paesi dell’euro hanno deciso di accordare un prestito alla Grecia per una durata di tre anni. Le quote sono in proporzione al peso di ogni paese nella Banca Centrale Europea. La somma ammonta a 30 miliardi di euro. Essa sarà concessa nel caso in cui la Grecia non riuscisse a finanziarsi a tassi accettabili direttamente sul mercato. A questa somma va aggiunto l’intervento del Fondo Monetario, pari a 15 miliardi di euro. Il tasso d’interesse sarà intorno al 5%. Il tasso richiesto dai mercati è stato negli ultimi tempi pari al 7,5%. Tutto bene? Il 5% è meno di quanto richiesto dai mercati, ma è comunque ancora tanto per portare sotto controllo il debito greco. Non si ha quindi certezza che la Grecia riesca a risanarsi. L’intendimento dei paesi dell’area euro sembra essere quello di «mandare un segnale» per spingere intanto i rendimenti greci fuori dall’area del pericolo, dove si trovano ora. Poi si vedrà.


Il risanamento greco – assente la possibilità di risanarsi svalutando la propria moneta, senza dover pagare ancora di più il proprio debito – passa per una flessione dei salari. La Grecia non può far scendere i propri salari relativamente a quelli altrui attraverso la svalutazione della propria moneta. La Grecia può ottenere una maggior competitività – che di suo è molto modesta – solo facendo scendere i propri salari in termini assoluti. I minori salari potrebbero accrescere le esportazioni e comprimere le importazioni, ossia migliorare i conti con l’estero, in maniera tale che la Grecia smetta di dipendere dai finanziamenti esteri e dalla spesa pubblica per la propria crescita. Una sfida politica pesante.

Si noti che i paesi europei emettono debito al 3% circa (Germania, Olanda) e al 4% circa (Francia, Italia). Prestando alla Grecia al 5%, il premio per il rischio è pari al 2% e all’1%. Essendoci il premio possiamo parlare di una «scommessa» a favore del risanamento, non di un «sussidio».

Per gli approfondimenti sulla crisi greca rimandiamo alle precedenti otto puntate.